L’iniziativa congiunta delle Autonomie speciali ha avviato un processo di riforma formale dei rispettivi Statuti: il primo passo è stato l’elaborazione di un progetto di legge costituzionale, già trasmesso al Governo. In seguito, si è attivato un tavolo di confronto, tuttora in corso, nella prospettiva di una presentazione della proposta da parte del Governo al Parlamento, che potrebbe avvenire in giugno. In quella fase, sarà ancora ammissibile la proposta di emendamenti e integrazioni ma il testo sarà essenzialmente quello concordato e tendenzialmente “blindato” fra l’organo esecutivo di ciascuna Autonomia speciale e il Governo.
È pertanto opportuno che in questo periodo preparatorio si svolga una riflessione critica da parte della dottrina, dei Consigli legislativi (sino ad ora esclusi da ogni partecipazione attiva) e dei cittadini. In questa prospettiva, il Progetto Lia (Laboratorio di innovazione istituzionale per l’autonoma integrale) ha organizzato due incontri: il primo dedicato ai cinque Statuti speciali coinvolti (solo la Sicilia non ha ancora fatto pervenire il proprio testo) e il secondo sul nostro Statuto speciale.
L’analisi ha focalizzato aspetti di forza e di debolezza del testo elaborato da ciascuna delle Autonomie speciali, alcuni dei quali vengono ripresi in questa sede.
Per quanto riguarda il nostro Statuto di autonomia, in particolare, il “piatto forte” è costituito dall’introduzione dell’intesa per ogni revisione del testo: si tratta di un’intesa forte, equivalente, cioè, ad un potere di veto su ogni riforma imposta dall’esterno e non condivisa. Un profilo critico concerne il requisito del consenso di entrambe le Province autonome sul quale non è sempre agevole avere un’aspettativa ragionevole. In ogni modo, tenuto anche conto del fatto che una legge costituzionale del Parlamento di riforma degli Statuti non può più essere sottoposta a un successivo referendum confermativo nazionale, si può ritenere che l’obiettivo sia stato centrato (per ora, dalla bozza di proposta).
Un contenuto più problematico concerne, invece, l’eliminazione del limite posto alla competenza legislativa della Regione e delle Province autonome: attualmente il limite della tutela delle minoranze linguistiche locali è formulato con riguardo alle fonti del diritto interno (letteralmente nell’ambito degli “interessi nazionali”) mentre nella bozza proposta esso viene fatto discendere dagli obblighi di diritto internazionale, in primo luogo, verosimilmente dall’Accordo Degasperi-Gruber. Si risolverebbe così uno dei problemi di interpretazione mai risolto, fra chi collega l’autonomia speciale al solo Accordo del 1946 – riferito unicamente alle popolazioni sudtirolesi di lingua tedesca, con esclusione, pertanto del Trentino e del quadro (frame) regionale riconducibile (anche) agli articoli 6 (tutela delle minoranze linguistiche) e 116 (riconoscimento di forme e condizioni particolari di autonomia regionale) della Costituzione. Sorprende che da parte trentina si sia espresso consenso su tale nuova formulazione.
Segue tutta una serie di proposte rivolte a superare la giurisprudenza della Corte costituzionale che, soprattutto dalla grande riforma dell’ordinamento regionale del 2001, ha “eroso” le competenze delle Autonomie speciali, collocandole nel contesto delle Regioni ordinarie. Il medesimo risultato di progressiva restrizione degli spazi dell’autonomia speciale è imputabile all’espansione del diritto dell’Unione europea.
La materia è delicata perché i postulati ideologici della forma di stato costituzionale di diritto sono fondati proprio sul rispetto dell’autonomia della giurisdizione e sul carattere vincolante delle decisioni giurisprudenziali. Al momento, si agisce sulla formulazione testuale delle disposizioni statutarie, introducendo norme che sembrano porsi quali “fotocopie al contrario” di singole sentenze. Si dovrà capire se tali riforme saranno sufficienti per coprire una generalità dei casi e se e come la Corte costituzionale si atterrà in futuro a questo nuovo assetto.
Vi sono moltissime altre osservazioni critiche che si possono formulare su vari aspetti della bozza. Ma si possono formulare, in conclusione, due ordini di rilievi che riguardano una visione generale del progetto.
In primo, luogo, anche se non mancano innovazioni significative (fra tutte, la previa intesa forte per ogni futura riforma dello Statuto), per quanto riguarda la nostra esperienza, occorre segnalare che la bozza non va oltre una prospettiva di “manutenzione” dello Statuto. In altre parole, non siamo di fronte a un “Terzo Statuto”. Troppe sono, infatti, le omissioni: il quadro regionale rimane escluso da ogni tentativo di razionalizzazione normativa che sia espressione di una visione condivisa del futuro (potendosi ancora verificare mostruosità di gestione della “staffetta” regionale come quella testé esperita). Nulla si dice, inoltre, della cooperazione transfrontaliera, dei rapporti con l’Unione europea, delle relazioni internazionali in generale, delle competenze in materia universitaria e di ricerca scientifica, e altro. In ordine a questi argomenti, il Terzo Statuto dovrebbe offrire almeno una disciplina di principio. Non si formula, inoltre, neppure un preambolo, che rappresenterebbe la sede più adeguata per manifestare il senso della condivisione del futuro da parte dei gruppi linguistici del territorio.
Allo stesso modo, non è dato cogliere il contributo specifico trentino alla formulazione della bozza. Le singole innovazioni sono, infatti, riconducibili soprattutto all’esperienza, alla sensibilità e alla visione dell’Alto Adige/Südtirol. Quando (e, soprattutto, se) l’atmosfera di opacità che ancora circonda il progetto di riforma verrà meno, sarà interessante, infatti, ricostruire il ruolo originale e propositivo che le nostre istituzioni politiche hanno svolto in questa fase così importante e delicata della nostra autonomia speciale.