Editoriali

Pericolo di escalation nucleare

Sotto attacco non-proliferazione e disarmo. Corre l’orologio dell’apocalisse

29 aprile 2024
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il professor Paolo Foradori
di Paolo Foradori
Professore associato di Scienza politica, Scuola di Studi internazionali e Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale, coordinatore International Master in Security, Intelligence & Strategic Studies (Imsiss)

Le armi nucleari sono tornate drammaticamente al centro delle preoccupazioni internazionali dopo essere state, per un breve periodo, erroneamente considerate “residuati” della Guerra fredda o percepite come una minaccia secondaria rispetto ad altre sfide come quella del terrorismo globale. In realtà, mai come oggi il rischio di un conflitto nucleare è concreto, così come un’ulteriore proliferazione di queste armi.
Anche quest'anno, la rivista The Bulletin of the Atomic Scientists – fondata da Albert Einstein e Robert Oppenheimer nel 1947 per sensibilizzare l'opinione pubblica sul rischio atomico – ha spostato in avanti le lancette del cosiddetto “orologio dell'apocalisse” (Doomsday Clock), a soli novanta secondi dalla mezzanotte, che metaforicamente simboleggia la fine del mondo, la catastrofe nucleare, il giorno del giudizio. Secondo l’autorevole rivista, nemmeno nei momenti più bui della contrapposizione tra Stati Uniti e Unione Sovietica, il mondo è stato così vicino a un conflitto nucleare. 
Nonostante la riduzione numerica degli arsenali dagli insensati picchi della Guerra fredda, quando si contavano più di 70mila armi nucleari, nove paesi continuano a schierare più di 12.500 testate, molte delle quali in stato di massima allerta e pronte all’uso nel giro di pochi minuti. 
Tutte le nove potenze nucleari stanno inoltre modernizzando i propri arsenali e relativi sistemi di lancio (in particolare missili balistici e cruise), rendendoli più precisi, efficaci e letali. Gli Stati Uniti investiranno nel 2024 quasi settanta miliardi di dollari per sviluppare, mantenere e schierare le proprie armi nucleari, mentre la Cina è impegnata in un programma di rapida e destabilizzante proliferazione verticale, che potrebbe portarla nel giro di pochi anni ad avere un arsenale nucleare paragonabile a quello americano e russo. Ancor più preoccupante è l’accresciuta rilevanza che le armi nucleari sono tornate ad avere nelle posture e politiche strategico-militari di questi paesi, ritornando ad essere un elemento centrale delle rispettive politiche di sicurezza e difesa nazionali.
Il pericolo di un’escalation nucleare della guerra in Ucraina non può essere poi sottostimato. Non solo il deterrente nucleare russo è in già azione per scoraggiare un intervento più diretto dei paesi occidentali a difesa dell’Ucraina, ma Putin, minacciando a giorni alterni di ricorrere al nucleare, contribuisce a normalizzare l’idea che l’uso di armi atomiche possa essere un’opzione accettabile in un conflitto, indebolendo il “tabù nucleare” che ha resistito finora dai giorni di Hiroshima e Nagasaki. La Nato è vittima di un terribile dilemma: una vittoria di Putin rischia di creare un grave precedente, minando l’ordine internazionale e la sicurezza in Europa; dovesse invece la guerra evolvere a favore dell’Ucraina, Putin avrebbe forti incentivi a impiegare le armi nucleari per costringere l’Ucraina e i paesi suoi sostenitori alla capitolazione.
Nel frattempo, l’intero regime di non-proliferazione e disarmo è sotto attacco, rischiando di sgretolarsi un pezzo alla volta. Due successive conferenze di riesame del Trattato di non-proliferazione, nel 2015 e 2022, sono di fatto fallite non producendo alcun documento finale. Nel giro di pochi anni, i principali accordi di controllo degli armamenti sono saltati o versano in uno stato di grave crisi, a partire dallo storico trattato per l’eliminazione dei missili a raggio intermedio (Inf), l’accordo sul nucleare iraniano (Jcpoa) stracciato da Donald Trump, mentre la Russia ha de-ratificato il Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari (Ctbt). A livello bilaterale, solo il trattato New Start contribuisce a porre un limite agli arsenali americani e russi, ma è fortemente indebolito dalla decisione di Mosca e di Washinton di sospenderne l’implementazione e dall’avvicinarsi della sua scadenza nel 2026. In questo scenario cupo è difficile immaginare qualche significativo progresso del Trattato per la proibizione delle armi nucleari (Tpnw) che, entrato in vigore nel 2021, non è stato firmato da nessuno dei paesi nucleari, né dai loro alleati, compresi i paesi della Nato, tra cui l’Italia, su cui si estende l’“ombrello nucleare” americano. Il ritiro americano dall’accordo sul programma nucleare iraniano ha infine visto Teheran procedere nell’arricchimento dell’uranio in quantità e livelli pericolosamente vicini a una soglia utile per costruire un’arma nucleare. In questo contesto, il pessimismo è dominante, come ha confermato Stephan Klement, l’inviato speciale dell’Unione europea per il disarmo e la non-proliferazione, e consigliere speciale della Ue per la questione nucleare iraniana, che è stato ospite all’Università di Trento. In un incontro con gli studenti della Scuola di Studi internazionali, il diplomatico ha raccontato la sua esperienza diretta nel negoziato, condividendo la sua frustrazione per la malaugurata decisione di Trump di abbandonare l’accordo e le sue preoccupazioni per le crescenti tensioni nella travagliata regione medio-orientale.