La democrazia pare in affanno. A farla scricchiolare sono varie sfide: ambientale, migratoria, economica, tensione internazionale, innovazione tecnologica, usura dei meccanismi interni di funzionamento istituzionale. Esiste una cura? Proviamo a individuare alcune pratiche politiche per una ricostruzione della democrazia.
La strada inizia dal diffuso senso di insicurezza della gente. Per dirla con Guardini, se ciò che i totalitarismi vecchi e nuovi fanno è spossessare le persone di loro stesse, noi dobbiamo lavorare sul senso di auto-appartenenza, sulla costruzione di personalità indipendenti, che ritrovino se stesse e il governo di sé nello spazio dell’interiorità, del silenzio, delle relazioni e delle comunicazioni autentiche, del rispetto e del riconoscimento, del sottrarre il proprio corpo, la propria anima, i propri dati alla dinamica della mercificazione.
Dentro ciò si colloca una più vigorosa difesa dei diritti delle persone. Per citare Bobbio: i diritti sociali sono la precondizione per il godimento di qualsiasi altro diritto. Una persona senza cibo, senza casa, senza lavoro, senza accesso all’istruzione e alle cure sanitarie di quale libertà può godere? La grande battaglia del personalismo sul piano del diritto del lavoro nel ‘900 è stata quella affermare che il rapporto di lavoro non è il prendere in affitto una merce, ma entrare in relazione con una persona. Questa battaglia umanistica è ancora tutta da combattere solo a pensare alla tragedia di Satnam Singh, dove abbiamo toccato l’abisso non solo dello sfruttamento ma della disumanizzazione.
Un’altra pratica consiste nell’animare la democrazia locale. Lo vedeva con chiarezza Tocqueville. Se la democrazia muore nel piccolo, soffoca anche nella grande dimensione. Rimangono straordinari spazi di partecipazione e impegno.
Poi bisogna ridare vita alla dimensione deliberativa della democrazia. La democrazia non è solo elezione di capi. È anzitutto discussione e formazione discorsiva della volontà collettiva. La democrazia come spazio di discussione reale e di decisione si sta atrofizzando schiacciata da un lato dal prevalere della tecnocrazia dall’altro dall’invadenza della vuota chiacchiera. Servirebbero in ogni realtà locale dei centri studi politici che potessero mettere a disposizione della discussione pubblica le competenze di esperti.
Imprescindibile a questo punto battersi per una riforma dei partiti. Sono uno snodo cruciale nelle democrazie complesse. Abbiamo rimosso l'articolo 49 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. “Determinare” non significa genericamente “orientare” o “influenzare”, ma significa “stabilire” in ultima istanza così come fa la legge che appunto “determina”. La partecipazione politica se non è partecipazione reale alla determinazione delle decisioni rischia di produrre frustrazione e sfiducia. E i rappresentanti devono recuperare una consapevolezza più profonda della loro natura nel segno di accountability e responsiveness costanti.
La democrazia deve accogliere la sfida di una democrazia “riparativa” che proviene dal mondo ambientalista. Si tratta di dare voce a chi non ha nessuno che si faccia interprete delle sue istanze. Non c’è politica ambientalista che si possa attuare senza partecipazione. Lo vediamo ogni volta che discutiamo di gestione dei rifiuti o risparmi energetici.
Poiché la sfida della democrazia si gioca in gran parte sul piano europeo e internazionale, dobbiamo chiederci quanto spazio diamo nella nostra formazione sociale e politica alla comprensione dei fenomeni internazionali, delle dinamiche economiche, militari, politiche che governano la pace e la guerra e che sono così influenti sulla vita personale e collettiva.
Infine le nostre energie devono essere indirizzate alla ricostruzione di un ethos democratico. Dobbiamo ricostruire pratiche politiche fondate sul rispetto del senso delle parole, sulla ricerca razionale delle soluzioni più adeguate ai bisogni di tutti, su uno stile di radicale nonviolenza, sulla consapevolezza dei limiti strutturali della politica, sulla coscienza della parzialità delle proprie proposte, sullo sforzo di comprensione delle ragioni altrui, su uno studio approfondito dei problemi a partire dalla incidenza dei fattori economici e dei rapporti di forza nella vita collettiva.
Eppure, nonostante queste difficoltà in cui la democrazia si dibatte, essa rimane ancora l’ideale di politica a cui aspirare e il principio dominante di legittimazione formale del potere politico. Si pensi all’Iran. Nel settembre del 2022 una ragazza di 16 anni, Nika Shahkarami, è stata aggredita, violentata e uccisa dalle forze di polizia per aver protestato contro il regime e sognato la libertà. E con lei centinaia di ragazze e ragazzi. Si tratta di giovani che sono nati e hanno vissuto la loro intera esistenza sotto un regime autoritario. Lo stesso potremmo dire dei ragazzi della Rosa Bianca nella Germania di Hitler o dei dissidenti sovietici ai tempi di Stalin. Da dove viene fuori questo desiderio di libertà così forte da sfidare i carri armati? Noi dovremmo, per sensibilità culturale, vorrei dire per teologia della storia, essere quelli che si inchinano di fronte a questo mistero della coscienza che non si sa da dove attinge tutta questa immensa forza. Dovremmo essere coloro che non solo per noi ma per tutti custodiscono la fede che, anche nei tornanti più bui della storia, anche nei momenti di crisi delle democrazie storiche, il desiderio della libertà e l’ideale della democrazia possano spaccare la crosta delle consuetudini e delle imposizioni. Esiste la possibilità di un “inizio”, di un’azione prodotta da una coscienza libera. Questa è la scaturigine della democrazia.