
Lo Sveriges Riksbank Prize per le scienze economiche, in memoria di Alfred Nobel, è stato assegnato, nel 2024, parimerito a due economisti del MIT, Daron Acemoglu e Simon Johnson e ad un economista dell’Università di Chicago, James Robinson, per i loro studi su come le istituzioni sono originate e influiscono sulla prosperità delle nazioni. I tre sono nomi noti non solo fra gli addetti ai lavori, ma anche internazionalmente ad un pubblico più ampio, e meritatamente. Ricordo solo tre testi, fondamentali per ricostruire la storia e le motivazioni alla base di questo prestigiosissimo riconoscimento: Why Nations Fail, scritto da Acemoglu e Johnson e uscito nel 2013, a cui i due autori hanno fatto seguire, nel 2023 Power and Progress e infine, di Acemoglu e Robinson, The Narrow Corridor: States, Societies, and the Fate of Liberty del 2019. A tali milestones, si aggiungono però centinaia di articoli di analisi teorica ed empirica che in questa sede è impossibile riprendere.
Come ricorda la motivazione accademica al premio, la diseguaglianza economica e sociale è uno dei problemi maggiori delle società odierne. Spiegarla, comprenderne le origini, i meccanismi da cui trae origine e le politiche che possono contribuire ad arginarla è il maggiore impegno delle scienze sociali che vogliono occuparsi di problemi reali, e non di chiacchiere... Il lavoro dei tre premiati contribuisce in modo sostanziale a tale sforzo collettivo.
La metà più povera della popolazione mondiale guadagna meno di un decimo del reddito prodotto e possiede solo il 2 per cento della ricchezza netta prodotta: si tratta di una diseguaglianza materiale che dipende primariamente dalle disparità esistenti fra paesi, la quale è infatti alla base di circa i due terzi della diseguaglianza di reddito complessiva. Il problema, per gli economisti, si pone in quanto tali differenze di reddito e ricchezza fra paesi sono teoricamente incompatibili con il modello neoclassico di sviluppo economico, secondo cui i paesi poveri dovrebbero raggiungere le condizioni dei paesi ricchi nel corso del tempo, in accordo con un processo di convergenza economica che in ambito sociologico è stato a suo tempo discusso come teoria della modernizzazione. È questione di tempo, e poi, “all else being equal” lo sviluppo socioeconomico globale dovrebbe realizzare un processo di convergenza economica e sociale fra paesi. Malauguratamente, di tale ‘convergenza’ non vi è traccia né osservando l’evoluzione del reddito pro capite fra paesi, né considerando le condizioni sociali e politiche delle popolazioni coinvolte. Lo stesso progresso tecnologico al centro dell’analisi di Robinson e Acemoglu del 2023 (per non parlare dei moltissimi articoli di ricerca che Acemoglu ha pubblicato, nel corso degli ultimi 20 anni, sul tema dell’innovazione tecnologica, della A.I. e delle ricadute occupazionali, sociali e professionali che ne discendono) in realtà non ha creato condizioni di sviluppo e di crescita economica equidistribuite e socialmente progressive.
La ragione di tali diseguaglianze, di prosperità, sviluppo economico-sociale, di reddito e di efficacia della stessa innovazione tecnologica (una delle rivoluzioni più importanti oggi in corso per gli autori) va trovata nelle diverse istituzioni proprie dei diversi paesi e nel ruolo da queste avuto sin dal momento storico della loro introduzione, spesso ad opera di potenze coloniali. La scienza sociale ha lungamente dibattuto il ruolo e l’origine delle istituzioni, intese come vincoli e norme, formali e informali, che danno forma alle interazioni economiche e sociali e che lo stesso Douglas North (economista istituzionalista, premio Nobel nel 1993) definiva “drivers of prosperity”. Si tratta di un punto in cui analisi economica, sociologica e storico-politica convergono magistralmente nei lavori dei tre premiati, accanto ad una altrettanto magistrale disamina di uno dei maggiori problemi che incorrono nell’analisi del ruolo delle istituzioni rispetto ad esiti aggregati: quello dell’endogeneità delle istituzioni medesime. Come lo stesso Acemoglu (2005) notò: “[institutions] are, at least in part, determined by society, or a segment of it”. Nella proposta teorica sua e dei suoi co-premiati, le istituzioni sono endogenamente originate per stratificare l’allocazione di risorse fra differenti gruppi (o classi sociali), in base al potere politico-economico dei gruppi stessi nella società. Acemoglu, Johnson e Robinson (2001, 2002), in due lavori fondamentali, hanno analizzato l'impatto delle istituzioni sulla prosperità economica, utilizzando l'esperienza del colonialismo europeo come “esperimento naturale” ed evidenziando l'importanza e la persistenza delle strategie coloniali per il successivo sviluppo economico, fino ai nostri giorni. La loro ipotesi prevedeva che le istituzioni create o mantenute selettivamente a proprio vantaggio dalle potenze coloniali, anche in funzione delle condizioni iniziali delle aree colonizzate, siano alla base della diseguaglianza economico-sociale che ancora si riscontra nel mondo. Distinguendo fra istituzioni inclusive versus istituzioni estrattive, gli autori mostrano come l'esperienza coloniale estrattiva abbia avuto un forte impatto sulla prosperità di lungo periodo dei paesi conquistati, tale da condizionarne tuttora lo sviluppo e il benessere economico e socio-politico.
Per contrastare tali esiti disfunzionali e iniqui creati da istituzioni di stampo “estrattivo” sullo sviluppo economico e sociale c’è bisogno che si crei un equilibrio di check and balances fra i poteri dello stato e della società. Tale bilanciamento può consentire di creare quelle condizioni politico-istituzionali che favoriscono la nascita e successivamente l’operato di istituzioni inclusive, assicurando la creazione di quello “stretto corridoio” virtuoso in grado di condurre popoli e nazioni ad una maggiore libertà politica e sociale. Un equilibrio fatto di istituzioni forti, in grado di fornire servizi e far rispettare le leggi, ma altresì di cittadini in grado di tenere sotto controllo e chiamare in causa, se necessario, il potere. Una lezione valida tanto più oggi e per tutti: stati, entità amministrative, università e realtà locali comprese.