![il professor Guido Zolezzi ©UniTrento ph. Pierluigi Cattani Faggion](https://mag.unitn.it/file/mag/styles/autore_articoli/public/images/autori/guidozolezzi.jpg?itok=Tqq5G11L)
L’Ateneo trentino è impegnato nella cooperazione allo sviluppo da diversi decenni, in tutti gli ambiti della propria missione: didattica, ricerca, terza missione.
“Cooperazione allo sviluppo”. Che significato diamo oggi a questo termine? Tradizionalmente il termine richiama un rapporto di solidarietà, ma in un mondo che cambia rapidamente, oggi assume senz’altro una dimensione molto più ampia, simmetrica, complessa. Anche gli attori sono diversi. La legge nazionale sulla cooperazione (125/2014) indica una serie di soggetti, pubblici e privati, profit e non-profit, e in particolare le università.
La cooperazione allo sviluppo ha una forte valenza territoriale. Quali sono, oggi, i territori, i contesti in cui si realizza la cooperazione allo sviluppo? Possiamo inquadrarli individuandone alcuni tratti comuni. Sono contesti nei quali istituzioni e governi nazionali e locali non riescono a garantire i servizi di base a cui una larga parte della cittadinanza nei paesi più ricchi è abituata da tempo. Sono comunità vulnerabili, più di altre, dal punto di vista sociale, economico, ambientale, dove ampie fasce della popolazione sono intrappolate in condizioni di povertà. Sono spesso contesti in rapida trasformazione, con importanti dinamiche demografiche e migratorie, e accentuate disparità sociali ed economiche. Si possono trovare in ogni area del pianeta, ma in alcuni continenti rappresentano più la norma che l’eccezione.
Perché allora un ateneo sceglie di investire nella cooperazione internazionale allo sviluppo? I motivi sono molteplici, e riguardano tutti gli ambiti delle attività universitarie.
Nella didattica il motivo portante è legato a quella che oggi spesso viene chiamata “didattica innovativa”. Sono qualche centinaio studenti e studentesse che hanno svolto tesi di laurea, stage e tirocini, con enti di cooperazione allo sviluppo, e diverse attività dirette sul campo. Queste esperienze hanno un grande valore formativo: sono per natura occasioni per fare sintesi delle conoscenze apprese nel corso degli studi per applicarle nella pratica. I ragazzi interagiscono con contesti reali, con esponenti di comunità e attori locali, pubblici e privati, partner di progetto, mettendosi alla prova in dinamiche relazionali che caratterizzeranno i contesti lavorativi a cui si preparano. Capita anche spesso di conoscere, sul campo, società, ong, rappresentanti di organismi internazionali, magari non direttamente coinvolti nel proprio progetto, con cui si concretizzano proposte lavorative, iniziando così a costruire la propria rete di relazioni professionali.
Nella ricerca, sono sempre di più i giovani ricercatori e ricercatrici che sviluppano i loro studi in sinergia con progetti di cooperazione allo sviluppo. Per loro, fare esperienza in progetti di cooperazione, è spesso l’occasione per impostare originali percorsi di ricerca, entrando in contatto con realtà in cui le proprie discipline si confrontano con problemi e domande nuove. Da questo lavoro all’interfaccia (boundary work in inglese) scaturiscono idee, avanzamenti di conoscenza, nuove direzioni grazie al contatto fra più punti di vista. “Ricerca per lo sviluppo locale” è il termine che spesso si usa fra gli universitari impegnati nella cooperazione. Si intende sia ricerca volta a produrre ricadute sui contesti locali, e condotta, auspicabilmente, insieme a ricercatori di università locali. Questo è uno dei temi portanti promossi dal Cucs, Coordinamento universitario per la Cooperazione allo Sviluppo, rete Crui che conta più di 50 atenei italiani (ed è attualmente coordinata proprio dall’Università di Trento). Nel Cucs, ogni ateneo è rappresentato da un delegato/a, che fa da riferimento per le iniziative didattiche e di ricerca che la propria università mette in campo nella cooperazione allo sviluppo nei molteplici ambiti disciplinari. Da due anni, inoltre, proprio in seno al Cucs, è nata una rete “Early Career Scientists Cucs”, che vede l’adesione di decine di giovani dottorandi/e, post doc, impegnati a coniugare la ricerca con i contesti della cooperazione.
La dimensione di rete propria della cooperazione allo sviluppo delle università è un ultimo tassello fondamentale. Attraverso progetti, borse di studio, capacity building istituzionale, si creano legami duraturi fra università e molti alumni di molteplci paesi del mondo, che spesso vanno a ricoprire posizioni importanti nel proprio paese, nelle istituzioni e nei centri di ricerca o nelle università, diventando “ambasciatori” degli atenei in cui si sono formati e partner in progetti congiunti. Si creano canali di dialogo e di “diplomazia scientifica”, che procede indipendentemente e parallelamente rispetto alla diplomazia tradizionale, spesso costituendo un fondamentale canale di dialogo per la pace e la convivenza dei popoli quando quelli dei governi subiscono un arresto.
La ricchezza che si crea in questi rapporti di cooperazione, attraverso didattica, ricerca, “terza missione”, va molto oltre il tradizionale concetto di “aiuto allo sviluppo”, ormai superato per una dimensione molto più ricca.
Per tutti, docenti e studenti e partner coinvolti, l’esperienza nella cooperazione allo sviluppo è un’occasione di uscita dal proprio contesto per cambiare, anche se temporaneamente, punto di vista: sulla propria professione, attuale o futura; sui concetti stessi di sviluppo, visti da culture diverse che hanno vissuto traiettorie storiche diverse; in ultima analisi una grossa spinta di crescita anche sul piano personale.