Editoriali

L’inganno del Buy Now

Consumatori di tutto il mondo, unitevi! Ma non solo per consumare meglio

10 dicembre 2024
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la professoressa Francesca Forno (ph. Alan Di Grazia)
di Francesca Forno
professoressa di Sociologia all’Università di Trento

È tempo di Natale… è tempo di regali, ci ricorda la pubblicità. Ma queste settimane prenatalizie sono segnate anche dall’uscita di “Buy Now! L'inganno del consumismo", un documentario che sta facendo molto discutere, anche se le rivelazioni vere e proprie sono poche, almeno per chi di questi temi si occupa da anni.

Reso disponibile su Netflix il 20 novembre, nove giorni prima della frenesia consumistica del Black Friday, Buy Now! The Shopping Conspiracy è un documentario diretto da Nic Stacey che mette al centro il consumismo, le strategie che lo guidano e i suoi veri costi.

Di documentari di denuncia del consumismo ne sono stati realizzati tanti negli ultimi anni. Uno – fino ad ora il mio preferito – dal titolo “The True Costs” lo discuto ogni anno con i miei studenti del corso di Lifestyles and Consumption Practices. Questo nuovo documentario ha tuttavia un taglio diverso perché ci parla del lato oscuro di quelle aziende che fanno ormai parte della nostra vita quotidiana e di come riescano a manipolarci per indurci ad acquistare sempre di più cose di cui non abbiamo un reale bisogno.

Capace di trattare in modo vivace e “pop” argomenti come l'obsolescenza programmata e il greenwashing, nel film si alternano diversi testimoni, da un user experience designer di Amazon, che ha contribuito a sviluppare le tecnologie di persuasione subliminale del sito a un ex amministratore delegato di Unilever e ad un ex dirigente di Adidas che, mentre fanno mea culpa, rivelano i loro segreti commerciali. Tra gli altri testimoni anche un esperto di riparazioni che spiega come le aziende cospirino per accorciare “artificialmente” il ciclo di vita naturale dei rispettivi prodotti, velocizzando il ricambio di ciò che acquistiamo. Una testimonianza che ben fa capire i risultati della dipendenza dal consumo e della produzione eccessiva, che si spingono a vicenda in un circolo vizioso ecologicamente catastrofico.

Tenuto assieme da una voce narrante che ricorda quella di Alexa e alternando immagini CGI evocative da incubo - città inghiottite da montagne di spazzatura sempre più grandi - a riprese reali come quella di una spiaggia sommersa da una marea di abiti dismessi, il film ci ricorda le inquietanti verità che si celano dietro la patina scintillante del consumismo a cui partecipiamo ogni giorno distratti e complici.

D’altronde gli scienziati sociali hanno evidenziato da tempo come le dinamiche del consumo siano radicate in complesse interconnessioni tra infrastrutture materiali, ideologie culturali e fattori personali. Questa intricata rete non solo modella le decisioni individuali, ma ostacola anche un cambiamento sostanziale verso modelli più sostenibili, mantenendo spesso intatto lo status quo (a questo riguardo molto interessante è l’articolo di Culpepper & Thelen, intitolato “We are all Amazon Primed?”).

Nonostante gli sforzi dei singoli, perché i consumatori responsabili sono cresciuti negli ultimi decenni, il potere di generare un cambiamento reale attraverso scelte individuali è però infatti rimasto limitato. La velocità con cui il mercato è in grado di appropriarsi e mercificare le istanze sociali e politiche rappresenta una sfida significativa per coloro che cercano di promuovere il cambiamento soprattutto attraverso azioni individuali. Non solo il mercato è veloce nell’assimilazione delle rivendicazioni sociali e politiche, ma sempre più velocemente riesce a trasformarle in beni o servizi commerciali, spesso riducendo la loro essenza a meri elementi di marketing.

In un contesto di crisi ambientale e crescenti disuguaglianze, ripensare il consumo significa confrontarsi con i limiti ecologici e sociali. Un processo che richiede una riflessione profonda, sia individuale che collettiva, su cosa rappresenti una "buona vita": vale davvero la pena inseguire incessantemente bisogni indotti o non è forse più sensato interrogarsi su ciò di cui abbiamo realmente bisogno? In tale prospettiva, esperienze di gestione collettiva come le comunità di supporto all’agricoltura, le comunità energetiche, le food-coop e i consigli del cibo (peraltro tutte esperienze presenti anche sul nostro territorio) assumono a mio avviso un ruolo cruciale, dimostrando il potenziale per creare modelli di consumo più sostenibili e partecipativi. Solo attraverso trasformazioni integrate – culturali, istituzionali e sociali – è possibile costruire una società più equa e rispettosa del pianeta, in cui i bisogni umani siano armonizzati con i limiti del tessuto socio-ecologico.

Francesca Forno è professoressa associata di Sociologia al Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale e ricercatrice associata al Centro Agricoltura Alimentazione Ambiente (C3A). La sua ricerca si concentra su partecipazione civica, cambiamento sociale, consumerismo politico, consumo collaborativo, innovazione eco-sociale e reti alimentari alternative.