Editoriali

Platform politics

Politica delle piattaforme in tempi di crisi ecosociale

29 gennaio 2025
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l'assegnista di ricerca Alice Dal Gobbo
di Alice Dal Gobbo
assegnista di ricerca della Scuola di Studi internazionali dell’Università di Trento

Sono molte le domande aperte rispetto alla relazione tra piattaforme e politica nel presente, soprattutto nel momento in cui assistiamo a una transizione da un’epoca neoliberale a una politicamente autoritaria ed economicamente liberista: che spazio di agibilità politica e resistenza al dominio delle grandi piattaforme rimane per i movimenti sociali, le istituzioni e gli attori di innovazione che sul territorio si impegnano a perseguire obiettivi quali l’equità socioambientale e il benessere della popolazione?

Temi di cui da anni si occupano molti ricercatori e ricercatrici del nostro Ateneo, incluso il gruppo (*) coordinato dalla professoressa Francesca Forno al Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale: come i processi di digitalizzazione stiano trasformando il tessuto sociale e come le piattaforme digitali possano inserirsi in una “transizione” verso modelli di società più sostenibili – non solo dal punto di vista ecologico, ma anche sociale ed economico.

Un momento di confronto che ha messo in luce il ruolo cruciale della ricerca nel leggere e orientare i cambiamenti del nostro tempo è stato l’incontro con Luke Yates, ricercatore del Sustainable Consumption Institute dell’Università di Manchester, ospite d’eccezione nei giorni scorsi del ciclo di seminari promosso dall'unità di ricerca CoAct (Collective Action, Change and Transition) al Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale.

Yates ha proposto un’analisi incisiva sulle piattaforme digitali e sul loro impatto nella società contemporanea. Si è concentrato su quelle che vengono in gergo chiamate “lean platforms”, ossia quelle piattaforme che, pur senza detenere la proprietà di alcuna struttura e infrastruttura, sono in grado di creare enormi profitti nel mettere in collegamento diversi soggetti che, rispettivamente, offrono e richiedono dei servizi. Questi soggetti, che sono stati al centro della presunta rivoluzione della “sharing economy”, sono stati per anni portatori di una trasformazione sociale attraverso narrazioni di cambiamento che hanno influito profondamente sugli immaginari collettivi. Ad esempio, esse hanno plasmato l’idea che la digitalizzazione e la sostenibilità costituiscano delle “transizioni gemelle”, ossia due processi che necessariamente vanno a braccetto: la digitalizzazione infatti permetterebbe maggiore efficienza nei processi socioeconomici e quindi favorirebbe la sostenibilità. Sul territorio trentino, abbiamo seguito come gruppo di ricerca un processo di innovazione, che emergeva da una partnership pubblico-privato, basato proprio su questo ideale: che attraverso lo sviluppo di un algoritmo “intelligente” sarebbe stato possibile sviluppare una piattaforma di e-commerce sostenibile.

Tuttavia, come la letteratura sulle piattaforme mette in evidenza e come la nostra stessa ricerca conclude, tale nesso non è per nulla dato, anzi, notiamo che le transizioni sociotecniche non avvengono semplicemente grazie alla tecnologia, ma anzi presuppongono un cambiamento politico e socioeconomico più ampio per poter non soltanto cambiare le relazioni e le pratiche ma anche “rimanere a galla” in un mercato altamente competitivo come quello delle piattaforme.

Ciò su cui l’incontro con Yates ci ha permesso di riflettere maggiormente ha riguardato i soggetti che possono portare avanti questo cambiamento. Mentre storicamente gli attori più coinvolti in processi di trasformazione sociale sono stati individuati nei movimenti sociali e nelle istituzioni, nel campo dell’economia di piattaforma e nella fase neoliberale del capitalismo la tesi di Yates è che le piattaforme stesse agiscano come movimenti sociali. Anche grazie alla mobilitazione di risorse umane che vengono dal campo delle Ong e dell’organizzazione di comunità, piattaforme come Airbnb mettono in campo strumenti, narrazioni e forme di relazione che somigliano fortemente a quelle dei movimenti sociali: apparentemente orizzontali, che valorizzano l’esperienza del singolo e che si radicano negli spazi urbani e territoriali. Inoltre, similmente ai movimenti sociali, esse perseguono degli obiettivi specifici di trasformazione, spesso attraverso attività di lobbying. Per esempio, si fanno pressioni per cambiare la legislazione e la regolamentazione del mercato. Il peculiare potere delle piattaforme oggi è il rapporto diretto – e spesso di dipendenza – che stabiliscono con chi le usa, avendo la possibilità di mobilitare le persone che le utilizzano per fare pressioni su governi e istituzioni verso regolamentazioni che le favoriscano al meglio. Tuttavia, possiamo davvero analizzare questo tipo di pressione sulle istituzioni da parte delle grandi piattaforme come un movimento sociale? Notiamo infatti che, sebbene alcuni dei metodi e strumenti organizzativi siano comuni, per molti altri versi si discostano dalle loro logiche: non perseguono una trasformazione sociale ampia ma soltanto i propri interessi, e hanno delle modalità di partecipazione che, sebbene apparentemente orizzontali, sono fortemente orchestrate dagli organi direzionali delle piattaforme stesse.

Le nostre ricerche sul territorio suggeriscono anche che c’è un ulteriore senso in cui le piattaforme agiscono come attori politici: quando i processi di innovazione sociale vengono “spostati” dalle istituzioni agli attori della società civile e del mercato. Nel loro impegno verso strategie per perseguire obiettivi come la sostenibilità ambientale o una maggiore equità economica, questi attori agiscono sempre secondo degli orientamenti propriamente politici, anche se a volte non espliciti, che indirizzano le loro azioni in direzioni specifiche. Al contempo, notiamo che il loro potenziale trasformativo è limitato se rimangono isolati dal contesto più ampio. Spesso, infatti, le innovazioni “profonde” falliscono e si devono invece allineare alle logiche economiche e di mercato esistenti se vogliono continuare ad esistere.

 

(*) Alice Dal Gobbo fa parte di questo gruppo di ricerca: uno dei suoi filoni di ricerca riguarda l'innovazione socio-tecnica nella “transizione sostenibile” e come essa influisca sulle pratiche quotidiane