
Il 9 maggio 1950, il Ministro degli Esteri francese Robert Schuman tenne a Parigi uno storico discorso riguardante la proposta di una Comunità europea del carbone e dell'acciaio. La Dichiarazione aprì un processo che portò nel 1951 alla firma del Trattato di Parigi, che diede vita alla Ceca, cui seguirono nel 1957 i Trattati di Roma, che istituirono la Comunità europea dell’energia atomica (Ceea, o Euratom) e la Comunità economica europea (Cee).
Sono trascorsi 75 anni da quel giorno, che segna una data fondamentale nel processo di integrazione europea.
La Dichiarazione Schuman si apre affermando il legame fra pace, sicurezza e cooperazione: ‘La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano. Il contributo che un'Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche. (…) L'Europa non è stata fatta: abbiamo avuto la guerra.’
Al tempo stesso, si riconosce che il processo di integrazione deve essere raggiunto con gradualità e pragmatismo: ‘L'Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto.’
In questo contesto, l’integrazione economica risulta strumentale al raggiungimento di finalità politiche complessive, secondo una visione di natura federativa (in linea con un altro documento fondamentale per l’Europa, il Manifesto di Ventotene, scritto da Spinelli e Rossi nel 1941): ‘La fusione della produzione di carbone e di acciaio assicurerà subito la costituzione di basi comuni per lo sviluppo economico, prima tappa della Federazione europea.’ Infatti, la creazione di un modello sovranazionale, in cui gli Stati cedono parte della loro sovranità, mira non solo a garantire la pace e lo sviluppo economico, ma anche ad aprire la strada ad un nuovo modello politico europeo: ‘La solidarietà di produzione in tal modo realizzata farà sì che una qualsiasi guerra tra la Francia e la Germania diventi non solo impensabile, ma materialmente impossibile. La creazione di questa potente unità di produzione, aperta a tutti i paesi che vorranno aderirvi e intesa a fornire a tutti i paesi in essa riuniti gli elementi di base della produzione industriale a condizioni uguali, getterà le fondamenta reali della loro unificazione economica.’ Attraverso un’intensa integrazione economica, ‘Questa proposta, mettendo in comune le produzioni di base e istituendo una nuova Alta Autorità, le cui decisioni saranno vincolanti per la Francia, la Germania e i paesi che vi aderiranno, costituirà il primo nucleo concreto di una Federazione europea indispensabile al mantenimento della pace.’
La Dichiarazione Schuman va letta e compresa nel contesto storico dell’epoca, dopo la fine della seconda guerra mondiale, in cui l’immane distruzione materiale e spirituale poneva una sfida epocale per i politici e la società civile europea: cosa occorre fare non solo per ricostruire l’Europa, ma anche per evitare che simili tragedie possano verificarsi in futuro? In questo quadro, l’integrazione europea attraverso le Comunità europee è connessa ed allineata con il processo di costituzione di un sistema multilaterale articolato a livello mondiale, in primis attraverso la creazione delle Nazioni Unite (Onu). Al tempo, stesso, la specificità del contesto europeo ha consentito di puntare su forme di integrazione più spinte ed innovative.
Nel tortuoso e accidentato percorso europeo dei decenni successivi si è a tratti perso di vista il fatto che sviluppo economico, cooperazione politica e pace sono considerati un trinomio inscindibile del processo di integrazione europeo.
Se ci domandiamo cosa ne è oggi della visione di Schuman, possiamo dire che essa si è avverata per quanto riguarda il progetto di integrazione economica, che ha portato ad un mercato interno in larga parte integrato. Non altrettanto si può dire invece per l’obiettivo di costruire un’integrazione politica: in questo campo si è rimasti alla metà del guado, e per molti aspetti non ci si sta più muovendo in quella direzione. Assistiamo infatti negli ultimi decenni ad una forte crescita di nazionalismi e di euroscetticismo populista.
Questa situazione di incertezza e confusione è pericolosa, perché mai come ora è evidente che le grandi sfide non possono essere affrontate da interventi frammentati a livello statale: si pensi alla crisi ambientale, alla sfida delle nuove tecnologie, alla gestione economica e finanziaria, alla sicurezza e alla difesa. L’opzione di un'Europa federale è una questione politica, che richiede un dibattito politico aperto e condiviso. Al contrario, le discussioni odierne hanno generalmente carattere settoriale e tecnico, al di fuori di un quadro complessivo di riferimento. Questa mancanza di visione si colloca inoltre in una fase di radicale incertezza e torsione della situazione internazionale, in cui il ruolo mondiale rivendicato dall’Occidente quale garante della democrazia, dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali, nonché di promotore del multilateralismo e dell’apertura commerciale, sta crollando sotto i colpi di maglio del governo Trump negli Stati Uniti. Gli eventi degli ultimi mesi hanno accelerato un processo di riposizionamento mondiale, trascinando con sé l’intero assetto internazionale post-bellico, in cui pace e stabilità tornano ad essere temi di vitale importanza, anche per l’Europa.
Rimanere a metà del guado del processo di integrazione europea in un simile contesto rischia non solo di confondere i cittadini europei ed allontanarli da una visione condivisa del progetto europeo, ma anche di rendere l’Unione europea un vaso di coccio di manzoniana memoria fra i vasi di ferro degli Stati Uniti e della Cina. La visione contenuta nella Dichiarazione Schuman è stata il motore del processo di costruzione europea, ma perché possa ancora costituire un motore vitale dobbiamo avere il coraggio di calarlo nella realtà, nei bisogni e nelle aspirazioni dei cittadini europei in un mondo che è profondamente cambiato.