La Costituzione della Repubblica italiana ispira ancora la vita del Paese, a livello individuale e collettivo? Di quali riforme avrebbe bisogno la Carta del 1948 per essere aggiornata alla complessità attuale? Domande che sorgono mentre si osserva una polarizzazione di singole identità e una disgregazione del senso della socialità, dell’interesse comune, del senso di appartenenza. Il giurista Ernst-Wolfgang Böckenförde (1930 - 2019), vedeva nello sfaldamento e nella svolta autoritaria i rischi opposti che gli stati liberali secolarizzati corrono nel tentativo di garantire la piena libertà alla cittadinanza. Anche in Italia, allora, la democrazia è a rischio? “Le identità furiose, Böckenförde e la Costituzione” è il tema della lezione magistrale affidata a Giuliano Amato. Giurista e uomo politico, ministro in varie legislature e due volte presidente del Consiglio, giudice e presidente della Corte costituzionale fino al settembre 2022, torna all’Università di Trento giovedì 11 maggio. Questa volta per la conclusione dei corsi di Istituzioni di diritto pubblico.
Professor Amato, una progressiva attenzione alle libertà individuali può minacciare la garanzia dell’interesse comune?
«L’espansione delle libertà individuali è stata parte essenziale della crescita nel tempo della nostra democrazia; una democrazia nata con una Costituzione che di libertà ne proclamava molte, nella perdurante presenza di una legislazione ancora fascista che le restringeva contro i suoi stessi dettami. Poi si sono venute esplicitando altre aspettative sulla libera gestione da parte di ciascuno della sua vita privata. Ne sono uscite le libertà, o le pretese di libertà e diritti, le più diverse, dalla scelta di morire quando e come si vuole a quella di avere figli quando e come li si vuole, a quella di ricoverarsi in strutture di cura, essendo però gli unici legittimati a decidere sui trattamenti sanitari. ai quali si dovrà essere sottoposti.
Sono solo alcuni esempi e non è detto che a tutti dobbiamo dare la medesima soluzione. Certo si è che –avremmo notato insieme Jurgens Habermas e Joseph Ratzinger- una società nella quale ciascuno decide per sé ignorando gli altri, ignorando il rapporto fra ciò che vuole e i valori condivisi nella comunità di cui fa parte, con un’etica, insomma, che non è più il filo comune di un tessuto collettivo, ma è l’etica individuale di ciascuno, una società cosiffatta è destinata a sfaldarsi. È da quando ce ne siamo resi conto che si sono moltiplicate le spinte e le sedi per ritrovare, come diciamo per l’Europa, le ragioni di una essenziale unità nelle nostre diversità. In fondo anche oggi, 11 maggio, io sono qui a Trento per questo».
Condivide il dilemma di Böckenförde?
«Assolutamente sì. Ed è sbagliato leggerlo come se si riferisse soltanto ai valori religiosi. Esso vale per tutto ciò che attiene ai principi, al rispetto dei diritti altrui, all’uso responsabile dei propri, all’adempimento dei doveri di solidarietà. Se tutto ciò non entra nelle coscienze non ha forza, non ha osservanza. E la democrazia è tale se l’osservanza di ciò che le sta a cuore la ottiene per convinzione, non per costrizione».
La Costituzione della Repubblica italiana è compromissoria, laica e democratica. Quanto aiuta nei rapporti con l’Europa e con gli altri Paesi del mondo? E nella gestione dei flussi migratori e nelle politiche dell’accoglienza?
«La nostra Costituzione aveva fin dall’origine principi lungimiranti per collocare il nostro ordinamento entro la più larga comunità umana. Basti pensare al primo comma dell’art.10, che al nostro ordinamento chiede di conformarsi alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute; o all’art. 11, che ci dice di promuovere e favorire, rinunciando anche a pezzi di sovranità, le organizzazioni internazionali volte ad assicurare la pace e la giustizia fra le Nazioni. Su questo abbiamo fondato la nostra partecipazione all’Unione Europea. Poi, nel 2001, il nuovo art. 117 ha ribadito questi vincoli per la nostra legislazione. Pensando ai flussi migratori, la Costituzione conosce e garantisce il diritto di emigrazione e la tutela degli italiani all’estero, perché questi erano, a quel tempo, i flussi migratori a cui eravamo interessati. Gli stranieri che arrivano li vedeva solo in chiave di asilo politico, ed era molto generosa nel garantire i nostri diritti a coloro a cui vengono negati nel loro paese. Certo si è che per alcuni diritti fondamentali, in primis l’eguaglianza ma anche la salute, parla di “cittadini”. È stata poi la lettura che ne abbiamo fatto, e che ne hanno fatto i giudici, a riferire non solo ai cittadini, ma a “tutti” i diritti fondamentali, così come del resto la stessa Costituzione dice ad altri riguardi. Ma non neghiamo che il lavoro comune nell’Unione Europea, e le direttive e i regolamenti da essa adottati, ci hanno molto aiutato a riconoscere i diritti dei nuovi arrivati».
Il Paese è molto diverso da come si presentava nel Dopoguerra. La situazione socio-economica è migliore, eppure ci sono vistosi divari. Trova che i principi fondamentali della Carta siano rispettati?
«Il rispetto delle disposizioni di una Costituzione come la nostra non si può misurare sempre con lo stesso metro. Se scrive che le misure limitative della libertà personale può adottarle solo il giudice, dal giorno dopo della sua entrata in vigore così deve essere e non c’è il suo rispetto se così non è. Se dice che devono essere rimossi gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e riducono l’eguaglianza, questo è un programma di lungo periodo, il cui rispetto si misura nel lungo periodo. Ebbene, va detto con amarezza che molto si è fatto in questi decenni per corrispondere a un tale programma, ma il minimo che si possa aggiungere è che si è ben lungi dal traguardo. Certo, non tutto dipende dalle politiche pubbliche. Pensiamo all’eguaglianza fra uomo e donna. Abbiamo al riguardo una legislazione quasi perfetta. Eppure le diseguaglianze perdurano, addirittura le retribuzioni femminili sono ancora più basse. Perché? Direbbe Böckenförde che in troppe coscienze maschiliste nulla è cambiato. Ed è vero che è rimasto il divario Nord Sud, come è vero che sono aumentate le diseguaglianze sociali quando sono giunti fra noi gli immigrati, ai quali spesso riserviamo, con indifferenza, condizioni di vita che mai ammetteremmo per noi stessi. E quindi c’è ancora molto, molto da fare. In noi stessi e nell’azione pubblica».
Dalla riforma del Titolo V al fallimento della proposta Renzi-Boschi fino alla revisione che ha portato alla riduzione del numero di chi siede in Parlamento. E ora? Ritiene che la Costituzione abbia bisogno solo di qualche aggiornamento o necessita di una riforma sostanziale per essere rivitalizzata?
«È bene prendere atto, proprio dopo l’esperienza negativa delle grandi riforme costituzionali (respinte dal voto dei cittadini) che gli italiani sono affezionati alla loro Costituzione e ne accettano solo emendamenti specifici, con specifiche ragioni migliorative. Sappiamo da sempre, da quando fu scritto e votato il famoso odg Perassi alla Costituente, che una maggior forza del Presidente del Consiglio nel governo e una migliore organizzazione dei lavori parlamentari e della loro tempistica, renderebbero più efficiente la nostra democrazia, evitando il diluvio quotidiano di decreti legge e di voti di fiducia, che da anni ha sfigurato e sminuito il ruolo del Parlamento».
Qual è il ruolo che i partiti hanno avuto nella crisi della democrazia italiana?
«I partiti hanno avuto un grande ruolo nel far funzionare la nostra e le altre democrazie del ventesimo secolo. È solo grazie a loro, alla loro capacità di aggregare in vaste identità collettive milioni e milioni di persone, che hanno potuto funzionare istituzioni nate, in realtà, per ristrette élite. La nostra Costituzione, quando parla della partecipazione dei cittadini alla determinazione delle politiche –un ingrediente essenziale di una democrazia- dice che essa avviene attraverso i partiti. Per questo la crisi dei partiti ha contribuito poi potentemente alla fragilità delle democrazie contemporanee, che si sono frammentate e nelle quali la politica di vertice non dialoga più col paese, ma ne coglie gli umori attraverso i comunicatori e le letture che questi le offrono; mentre la partecipazione attraverso i social è più spesso fonte di contumelie e di babele che non di ponderata partecipazione».
Come si cura il declino costante nell’affluenza al voto, anche nelle elezioni amministrative attraverso cui si scelgono le rappresentanze più vicine?
«Anni addietro, quando da noi si arrivava all’80, 90%, mentre nelle democrazie più mature si era molto più bassi, il commento più frequente era che là la gente era nell’insieme soddisfatta dei livelli di vita a cui era arrivata e quindi era disinteressata alla scelta di chi andava a governare. Sembrava quindi una meta che noi dovevamo raggiungere. Ecco, ora a quelle basse percentuali ci siamo arrivati e l’impressione generale è che esse siano dovute non a soddisfazione, ma a sfiducia».
L’incontro con Giuliano Amato, a ingresso libero con prenotazione, sarà alle 11 nell’auditorium di Palazzo Paolo Prodi. I corsi di Istituzioni di diritto pubblico, tenuti da Damiano Florenzano, Fulvio Cortese e Matteo Cosulich alla Facoltà di Giurisprudenza di UniTrento, per consuetudine si chiudono con qualche esponente di rilievo delle discipline giuspubblicistiche. Nelle edizioni precedenti, studenti e studentesse hanno avuto modo di ascoltare Ettore Rotelli, Marco Cammelli, Lorenza Carlassare, Valerio Onida, Giandomenico Falcon, Sabino Cassese, Sergio Bartole, Achille Chiappetti, Luciano Vandelli e Massimo Luciani.