Le storie fantascientifiche di Jules Verne. Lo sbarco sulla Luna del 1969. La corsa alla conquista dello spazio. Le nuove prospettive aperte dallo sviluppo tecnologico. L’ipotesi, che in 15 anni potrebbe finalmente diventare realtà, di andare su Marte. All’Università di Trento le persone appassionate di pianeti, stelle e galassie il 4 luglio potranno essere accompagnate nell'esplorazione umana dello spazio da un testimone diretto qual è Paolo Nespoli. Ecco qualche anticipazione su UniTrentoMag.
Ingegner Nespoli, quali sono state finora le fasi salienti dell’esplorazione umana dello spazio e a che punto siamo?
«Siamo ancora agli inizi dell’esplorazione dello spazio. È una storia piuttosto recente. È stata la realizzazione di alcuni motori liquidi e di altre strumentazioni a inizio Novecento a far capire che, in prospettiva, all’uomo sarebbe stato possibile uscire dall’atmosfera. Fino a quel momento i viaggi interplanetari erano stati fatti solo con l’immaginazione, come nei romanzi di Jules Verne. Dopo le prime costruzioni industriali, un altro impulso è arrivato durante la seconda guerra mondiale. I tedeschi hanno sviluppato un razzo che, in seguito, è stato utilizzato per andare oltre l’atmosfera e cercare di raggiungere altri corpi celesti. Ci sono stati poi gli anni Settanta che hanno visto Stati Uniti e Unione sovietica in corsa per la conquista dello spazio. L’idea era cercare un posto dove poter fare test per aumentare la propria potenza tecnologica senza correre il rischio di azzerare l’umanità. Era troppo vivo il ricordo di ciò che era successo in Giappone con la bomba atomica. Nel 1969 arrivò lo sbarco sulla Luna con cui gli Usa dimostrarono la propria capacità tecnologica e organizzativa. Nella fase successiva si è cercato più che altro di trovare soluzioni per migliorare la vita sulla terra con attività in quella che viene definita l’orbita bassa terrestre e qualche esplorazione interplanetaria. Oggi siamo al punto in cui le agenzie spaziali, come Esa e Asi, si trovano in difficoltà a giustificare gli investimenti nelle missioni spaziali mentre sono i privati, come Elon Musk, a sviluppare tecnologie per consentire a tutti di andare nello spazio».
Lei ha scoperto all’improvviso di essere fatto per lo spazio?
«In realtà avevo questo sogno fin da ragazzino, ma non riuscivo a capire se avessi le qualità necessarie e la possibilità di realizzarlo. Capire cosa fare da grande è una cosa non facile fra tante alternative. Si deve cercare di coniugare ciò che si vorrebbe fare con ciò che si può fare e con ciò che le condizioni permettono».
Come si diventa astronauta? Come ci si prepara? Occorrono delle particolari caratteristiche?
«Occorre una laurea tecnica, saper lavorare in gruppo e la capacità di adattarsi alla vita extraterrestre e poi, al ritorno dalla missione, di nuovo alla vita terrestre. Nella realizzazione di questo sogno, però, l’aspetto più complesso è trovare le opportunità perché tu possa essere selezionato come astronauta. Le candidature sono innumerevoli. Devi essere nel posto giusto al momento giusto. È come una lotteria: tanti partecipano, ma uno solo vince».
Come trascorre il tempo quando si è nello spazio? E in quale prospettiva si vivono "dall'alto" le vicende della vita come può essere la morte di una persona cara?
«La consapevolezza che hai come astronauta è che sei una delle risorse nello spazio. Sei lì per fare qualcosa di importante per la scienza e per l’umanità e devi cercare di farti turbare il meno possibile. Il lavoro è intenso, condensato. Devi svolgere molte attività di studio e lo devi fare nel tempo che hai. Quindi devi dare il massimo di te, devi garantire continuità, seguire i compiti che ti sono stati assegnati e gli ordini che ti arrivano dalla base. Certo, mentre sei nello spazio, nella tua famiglia possono esserci nascite e lutti. Allora cerchi di vivere questi eventi così forti nel miglior modo possibile. A me è successo quando è mancata mia madre, mi sono trovato lontano da casa, ma ho sentito la vicinanza di tanti che partecipavano al mio dolore da varie parti del mondo».
Cosa si prova quando si rientra da una missione spaziale?
«Al rientro ho provato soprattutto la soddisfazione per aver svolto l’attività che le mie missioni prevedevano, di aver concluso felicemente il lavoro. Si ritrova il proprio ambiente. E, da extraterrestre, si deve tornare terrestre nel sentire gli odori e i sapori, nell’incontrare persone diverse rispetto a quelle che sono state nello spazio con te».
Nel passaggio di testimone da astronauta alle nuove generazioni, cosa si augura per il futuro della ricerca spaziale?
«Quando ero ragazzo, si diceva che un giorno saremmo arrivati su Marte. Dopo Apollo 11: "Oggi sulla Luna, domani su Marte". Quando sono stato assunto come astronauta dall'Esa, la prospettiva era che in 15 anni saremmo andati su Marte. Mi auguro che le nuove generazioni in 15 anni possano davvero andare su Marte. Ma, perché ciò accada, bisogna iniziare a lavorare a questo obiettivo. Abbiamo sviluppato una tecnologia che ora lo permetterebbe. Occorrerebbero, però, le condizioni di contorno, è necessario un investimento di forze, tempo e denaro che, dall’allunaggio, nessuno è mai riuscito a fare. Alcuni privati stanno andando in quella direzione».