Il nido aziendale UniTrento ©UniTrento - Ph. Alessio Coser

Eventi

Giocare è una cosa seria

Elinor Goldschmied, pioniera del prendersi cura di piccoli e grandi al nido

9 novembre 2023
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di Alessandra Saletti
Ufficio Stampa e Relazioni esterne

Sulla copertina del suo primo e più famoso libro "Persone da zero a tre anni", edito nel 1994, ha voluto la foto della sua piccola nipotina. Oggi Emma è diventata grande, lavora come musicoterapeuta in Inghilterra ed è tornata a Trento in questi giorni per un tributo alla sua straordinaria nonna: Elinor Goldschmied, pioniera dell’educazione dei bambini e delle bambine da zero a tre anni. "Persone", ci correggerebbe Elinor Goldschmied, attenta a restituire loro quella dimensione umana di rispetto e attenzione, che poco ha a che fare con l’età anagrafica. Ne abbiamo parlato con Barbara Ongari, psicoterapeuta per l’età evolutiva già professoressa di Psicologia dello sviluppo all’Università di Trento e fondatrice, ormai quasi vent’anni fa, del nido aziendale dell’Università di Trento. Il primo nido con la direzione pedagogica affidata direttamente a personale di Ateneo, dove sperimentare un approccio diverso, più coinvolgente, ispirato al modello proposto dall’apripista Elinor Goldschmied a cui è dedicato un incontro al Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale.

«Chiamiamoli persone. Sì, questo è il suo primo insegnamento» ricorda Barbara Ongari che anni fa a Milano ha conosciuto Elinor Goldschmied e da lei ha appreso un’impostazione che nel tempo è diventata quasi una missione: mettere al centro i bambini, percepire i loro bisogni, lavorare sul nostro modo di star loro accanto. «È stata la prima a dare importanza al bambino non come oggetto di cura, ma come persona che, in quanto tale, ha diritto di essere vista, ascoltata. Osservare bambini che ancora non sanno parlare mentre giocano o si relazionano tra loro e con noi ci spinge ad affinare il nostro sguardo, a cogliere in maniera microanalitica i loro comportamenti, per imparare a leggerne i bisogni, a intuire le competenze e a valorizzarle. Elinor Goldschmied è stata la prima a chiedersi come valorizzare nella pratica dei servizi – nei nidi, negli spazi genitori bambino, nei centri gioco – le enormi competenze e le risorse che sono presenti nell’essere umano fin dalla nascita».Elinor Goldschmied

E qui entra in ballo la pratica del gioco. «Sì perché giocare è davvero una cosa seria. Non è un passatempo, come spesso lo intendiamo noi» chiarisce Ongari. «Per i bambini e le bambine anche di pochi mesi, è proprio un lavoro, un impegno della mente in cui testano tutta la loro personalità. Ci sorprende sempre osservare quanto i bambini molto piccoli siano capaci di concentrarsi per lunghi periodi, anche più a lungo di noi adulti se vengono messi a loro a disposizione i materiali e le circostanze adatte. E siano propensi anche a collaborare, se posti nelle giuste condizioni».

Ma ci sono giochi più adatti di altri? Ongari sorride: «Oggi le nostre case sono generalmente invase da oggetti e giocattoli di ogni foggia. E in generale sappiamo così poco dei nostri figli. In realtà basta osservarli con attenzione. Fino ai due anni, i bambini e le bambine mettono tutte le loro energie nella scoperta degli oggetti, delle caratteristiche sensoriali. Bastano oggetti semplici, da scegliere e da porgere loro con cura. Poi, dal secondo anno di vita, capita che tanti genitori si lamentino che non stanno mai fermi. Fanno così perché la loro concentrazione è in movimento e si attiva mentre si spostano o trasportano cose. Capire come funzionano nei primi anni di vita è davvero una rivoluzione copernicana nell’approccio con loro».

Tra i punti chiave dell’approccio di Elinor Goldschmied c’è anche l’attenzione ai grandi, ai genitori e a chi, più in generale, svolge un ruolo di “figura chiave” nella relazione con il bambino. Lo spiega Ongari: «Sì, non dobbiamo limitarci a insegnare come si fanno le cose. Il ruolo dell’adulto è invece quello di fare ancoraggio emotivo. Tutt’altro che facile, come ruolo, ma in cambio si hanno tante soddisfazioni. Bisogna aiutare il bambino o la bambina a fare da sé. Osservare con cura e attenzione, incoraggiare con la propria presenza senza interferire. Sappiamo poi che il benessere dei bambini dipende dal benessere emotivo degli adulti che stanno con loro. Se la madre, il padre o la persona adulta di riferimento si trova in una condizione di serenità – ad esempio nella decisione di lasciare il bambino al nido – questo si traduce in modo positivo nel vissuto del bambino. Il nostro obiettivo è quindi creare comunità in cui i bambini sperimentino condizioni di benessere. Persone, che esplorano, che conoscono, a loro agio insieme agli adulti».

Ma come si fa a far star bene, far sentire sicuri i genitori? «Mettendo attenzione anche su di loro. Un nido che accoglie per davvero, che funziona bene, deve aver capito che il bambino è parte di una famiglia. Gli adulti hanno la chiave per direzionare lo sviluppo dei bambini. Se riescono a far emergere l’alleanza con i propri figli, con gli educatori e le educatrici, li aiutano a sviluppare una sicurezza che rafforza i legami familiari ma che allo stesso tempo rafforza la fiducia verso l’esterno, incoraggia la spinta a esplorare. Quindi i genitori vanno ricompresi nell’ottica del servizio. Fin da subito all’Università di Trento abbiamo dato vita a un nido per i genitori, con i genitori. Non li consideriamo semplici accompagnatori, ma protagonisti insieme ai loro bambini del progetto educativo. Vogliamo che si sentano accolti, ascoltati in un modo empatico. Vogliamo costruire con loro ponti di fiducia. Questa è la novità, la piattaforma su cui si costruisce il benessere del bambino, la sua velocissima storia, fatta di continue alleanze».

Proprio sul benessere dei genitori nel nido aziendale UniTrento è stata condotta di recente una ricerca socio-demografica nell’ambito del più ampio progetto “Parenting academia” che vuole indagare il ruolo di genere e genitorialità nello svilupparsi delle carriere accademiche. A coordinarlo, la demografa Agnese Vitali, che ha condotto alcune interviste. Da queste interviste emerge anche un aspetto interessante legato al nido dell’Università di Trento. «I genitori accademici che hanno utilizzato il nido aziendale lo descrivono come ‘un privilegio’ e ‘un valore aggiunto’ sia per l’alta qualità del servizio offerto, sia perché il nido di fatto è percepito anche come uno spazio per i genitori dove si creano network tra dipendenti dell’Università. Dai loro racconti emerge come questa rete di relazione anche tra pari, con gli altri genitori, sia utile anche da un punto di vista lavorativo per la circolazione delle informazioni, per la costruzione di role model positivi all’interno dell’Università, per la condivisione di consigli, feedback e questioni pratiche in un contesto molto flessibile e accogliente di welfare aziendale».

Il funzionamento di un nido sulla base di questi principi è tutt’altro che facile, ci spiega Barbara Ongari: «Occorre sviluppare una continuità di presenza di uno o due adulti chiave che accompagnano i bambini e le bambine per tutto il tempo della loro permanenza. Una metodologia difficile da implementare, per questo poco diffusa, che richiede cura e pianificazione nelle relazioni tra genitori ed educatori. È fatta di accorgimenti, piccole buone pratiche. Che comprendono anche educatrici ed educatori dei nidi, perché prendersi cura tutto il giorno di bambini di altri che spesso piangono, magari sono a disagio o disperati può essere un peso enorme, sia dal punto di vista fisico sia emotivo. Un lavoro spesso trascurato nella sua importanza, ma che invece ha trovato un posto cruciale nel pensiero di Goldschmied. Merita riconoscimento, ascolto, attenzione. Chi si sforza di permettere ai bambini di stare bene sono persone con vissuti propri, storie, caratteristiche, competenze diverse. Ognuno porta una parte di sé in questo lavoro, cose belle ma magari anche lutti, difficoltà. Serve una presa in carico globale da parte del nido di tutte queste persone».

L’eredità di Goldschmied

Elinor Goldschmied è stata una pioniera. Si dice spesso di tante persone, ma nel suo caso l’accostamento ad altre figure fondamentali per l’accudimento e l’educazione dei bambini non è forzato. Prima fra tutte Maria Montessori, che è nota per il suo lavoro con i bambini dai tre anni in su e poi Emmi Pikler, pediatra ungherese che ha dato vita a un metodo educativo sperimentato in orfanatrofio, basato sui principi della libera attività, sul benessere dei bambini e sulla qualità della cura. «Anche Elinor Goldschmied ha lavorato in un secolo duro, il Novecento, segnato da cambiamenti profondi e due guerre mondiali. Ha potuto osservare i bambini in situazioni di normalità e tranquillità, ma anche in condizioni di profondo disagio, nella povertà, nella solitudine ed emarginazione. Sappiamo che sono proprio i contesti diversi a formare la personalità, fin dai primi anni di vita. Le intuizioni di Goldschmied si sono sviluppate negli anni, nutrendosi del continuo rapporto con gli psicanalisti più importanti del secolo scorso. In questo senso è stata un’antesignana della traduzione nella pratica delle grandi scoperte psicanalitiche sullo sviluppo dei bambini. Infatti, quando molti anni dopo sono comparse, le neuroscienze hanno dimostrato in termini empirici, di ricerca e di documentazione, tutte le sue intuizioni sul funzionamento della mente infantile, acquisite osservando il loro comportamento. Dalla pratica educativa si è passati poi alla validazione scientifica. Pensiamo al lavoro che ha svolto con lo psicologo John Bowlby sulle dinamiche di attaccamento, un processo che arriva a compimento proprio entro il terzo anno di vita. Il lavoro ispirato da Goldschmied che viene svolto al nido è quello di rinforzare, implementare l’attaccamento del bambino con i suoi caregiver, allo stesso tempo creando un attaccamento con un’educatrice o un educatore di riferimento, la “persona chiave”».

Il convegno “Prendersi cura di piccoli e grandi al nido” che si terrà sabato 11 novembre al Palazzo di Sociologia intende presentare e valorizzare l’archivio di tutto il lavoro italiano condotto da Elinor Goldschmied nei 25 anni in cui ha lavorato in Italia. Un’ampia produzione raccolta anche grazie al Museo storico del Trentino che ha accettato di dare vita all’archivio italiano e al sostegno della Fondazione Caritro che ha permesso di digitalizzare tutti i materiali. La sua produzione e i quaderni che ne sono nati saranno messi a disposizione dei genitori e del personale dei nidi per accompagnarli nell’acquisizione degli strumenti e delle modalità in cui proporre e gestire le varie attività con i bambini.
La presenza della nipote, Emma Goldschmied, permetterà di ricostruire anche l’ampia produzione inglese dal 1955 fino agli anni Ottanta. In Inghilterra Goldschmied ha infatti ricoperto ruoli chiave come consulente delle politiche sociali per la prima infanzia e per le donne in Inghilterra per il governo, portando al varo di politiche sociali all’avanguardia per la prima infanzia.