Studiare i fenomeni della società di oggi e prepararsi a quelli che potrebbero accadere domani. È l’aspirazione della Sociologia del futuro: comprendere non solo i mutamenti in corso, ma sviluppare la capacità di gettare con lungimiranza lo sguardo oltre, a quello che ancora non c’è, per elaborare analisi e strategie di adattamento ai cambiamenti. E per fare questo, non serve avere la sfera di cristallo ma nuovi strumenti di indagine per la ricerca sociologica. Il Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale organizza una stagione di seminari serali, aperti al pubblico, dal titolo "Sociologia del Futuro", per ragionare su diverse implicazioni del Futuro e avvicinare alla tematica. Ne parliamo con Roberto Poli, professore di Filosofia della Scienza, titolare della Cattedra Unesco sui Sistemi anticipanti.
Professore, un ciclo di incontri dal titolo che si presta a una doppia interpretazione.
«Un titolo volutamente ambiguo. Da una parte l’attenzione è focalizzata sui modi in cui la sociologia affronta il tema del futuro, la sua capacità di riflettere sui futuri possibili. Dall’altra il focus riguarda possibili sviluppi della sociologia stessa, che tipo di scienza sociale potrà esserci domani. Il futuro diventa argomento di una riflessione sociologica. Gran parte degli interventi proposti nella rassegna verteranno sul primo aspetto. Che cosa il sociologo, lo scienziato sociale in maniera più generale, può dire rispetto ai futuri in preparazione, quali difficoltà possono esserci e quale impostazione metodologica serve. Il futuro non ‘invia’ dati, quindi non si possono usare le usuali regole di indagine scientifica. Occorrono nuovi metodi di ricerca. Nel corso della rassegna ci sarà un mix di proposte, alcune più legate alla letteratura e altre invece a riflessioni contemporanee».
In che modo le scienze sociali possono essere predittive e prevedere i cambiamenti?
«Questo è un punto importante. Non si tratta di prevedere, perché le previsioni, in un senso autentico del termine, si possono fare solo in alcune specifiche situazioni. Si tratta invece di capire i diversi modi in cui le cose possono andare. Se si prova a capire quello che potrebbe succedere si prende anche un impegno. Se ho un’idea sui diversi modi in cui le cose si possono articolare, posso anche provare a preparami. Non è detto che ci riesca, ma almeno ci posso provare. Si tratta quindi di prepararsi alle sorprese, ai cambiamenti, con la consapevolezza che le cose possono andare in molti modi, perché molte variabili sono ancora aperte. Alcune di queste dimensioni sono indipendenti da noi, altre invece sono nelle nostre mani e possiamo esercitare un ruolo attivo nell’avvicinare i futuri che consideriamo positivi».
Quali sono gli strumenti che la ricerca offre e come si sta muovendo la sociologia a livello accademico su questo fronte?
«A Trento abbiamo l’unico master italiano dedicato agli studi di futuro, il Master in Previsione sociale, ormai alla sua decima edizione. Nel tempo ha avuto occasione di crescere e di consolidarsi. Da diversi anni il numero di domande è da due a tre volte il numero di posti disponibili».
Chi parla oggi di studi di futuro?
Il segretario generale delle Nazioni Unite vede gli studi di futuro come una delle cinque nuove competenze che l’organizzazione deve acquisire per affrontare i suoi impegni istituzionali. Un membro della Commissione europea ha l’incarico istituzionale di coordinare gli studi di futuro della Commissione; inoltre ha anche istituito la Rete dei ministri per il futuro, a cui appartiene anche il nostro governo. Potrei continuare a lungo: Croce rossa, Interpol, Fondo monetario internazionale e moltissime altre istituzioni assumono futuristi e hanno unità specializzare negli studi di futuro.
I cambiamenti esistono da sempre, ma oggi avvengono sempre più rapidamente. È aumentata l’incertezza, e l’esperienza non è più sufficiente a dirci cosa fare.
«Viviamo in un’era di cambiamenti sempre più veloci. Ed è questo che distingue l’epoca contemporanea da tanti altri periodi storici. Certo, questo crea incertezza. Un secondo aspetto altrettanto critico è che molti dei cambiamenti che stanno maturando oggi sono fuori scala. Basti pensare ai cambiamenti climatici, a quelli tecnologici o all’invecchiamento della popolazione. Sono fenomeni talmente grandi che gli strumenti tradizionali balbettano, non ce la fanno a starci dietro. Da qui l’esigenza di ricorrere a una nuova strumentazione».