Un volo di andata e ritorno da Parigi, in giornata, in una giornata piovosa. Ma ci teneva ad essere a Trento per partecipare alla Targetti Lecture, il tradizionale appuntamento con cui ogni anno la Scuola di Studi Internazionali apre ufficialmente le proprie attività accademiche e onora la memoria di Ferdinando Targetti, primo direttore del Centro. Arancha Gonzalez Laya è preside della Paris School of International Affairs (PSIA) a Sciences Po. È stata accolta in una sala conferenze del Dipartimento di Economia e Management piena di studenti e studentesse che hanno seguito attentamente il suo intervento e che hanno partecipato con numerose domande e riflessioni. Una lezione appassionata, lucida, concreta, sul futuro dell’Europa. In questo momento storico caratterizzato da una frammentazione finanziaria, politica e sociale, questa è la sua analisi, l’Unione europea deve trovare al suo interno la capacità di rispondere alle sfide e mostrarsi competitiva nei settori chiave che sono energia, economia, tecnologia e difesa. UniTrentoMag l’ha intervistata a margine dell’incontro.
Direttrice Gonzalez Laya, l'Unione Europea, come ha sottolineato nel suo intervento, sta vivendo un periodo di forti tensioni geopolitiche, di volatilità economica e frammentazione sociale. Oggi assistiamo all'avanzata dei nazionalismi, dei partiti di destra anche in quei paesi che hanno fondato l'Unione europea. Secondo lei, esiste ancora e resiste il sogno di un'Europa unita? È a rischio la democrazia europea?
È a rischio l’Europa stessa, che oggi si trova davanti a un bivio. Due sono le possibilità: o l'Unione europea resta dove è, e allora non potrà avere la capacità di influire nel mondo, oppure deve fare passi avanti verso la sua integrazione. Solo potrà decidere del suo futuro, altrimenti lo faranno per lei la Cina o gli Stati uniti.
Lei ha detto, ricordando le elezioni americane di novembre, che Trump non è il problema e Harris non è la risposta ai problemi che sta vivendo il mondo. La soluzione è dentro l'Europa. Ma se dovesse vincere Trump si ridisegnerebbero aspetti geopolitici importanti, cambierebbe anche l'atteggiamento nei confronti del conflitto russo-ucraino e di quello in Medio Oriente. Che scenari si potrebbero aprire dopo il voto americano?
La questione, per gli europei, è capire che se siamo più uniti siamo anche più forti e possiamo avere un peso nel mondo. È chiaro che se la scelta americana dovesse essere per Donald Trump sarà più difficile per noi perché lui è ostile all'Unione Europea e nel suo precedente mandato ha cercato di indebolirla. Per essere coesa e farsi trovare pronta, l'Europa deve lavorare su due fronti. Il primo è l'economia. Trump ha già detto di voler aumentare le tasse sull'importazione da tutto il mondo. Bisogna fargli capire che se lo fa lui lo faremo anche noi. Ma ne usciremmo tutti indeboliti. Il secondo è l'Ucraina. Il nostro futuro è legato a questo paese. Se perde contro la Russia è l'Unione Europea che perde. dobbiamo fare il possibile per aiutare l'Ucraina a essere più forte possibile nei negoziati con la Russia.
Ha parlato anche della necessità di rafforzare il sistema di difesa europeo. Questo si fa anche incrementando le spese militari. Come convincere chi invece dice che questa non è la soluzione per la fine della guerra?
L'Unione Europea è un progetto di pace. Non dobbiamo trasformarla in un progetto di guerra. Però dobbiamo essere anche lucidi e vedere che oggi la guerra è tornata nel continente europeo. Non ci piace, ma è la realtà. In passato, siccome non c'era la guerra e visto che siamo all’interno della Nato, si è investito poco nella nostra capacità di difesa. Ma oggi la situazione è cambiata. Trump ha detto che non è nel suo interesse restare nella Nato. L'Unione Europea deve essere pronta a difendere il suo progetto di pace, rafforzando le proprie capacità militari. Questo vuol dire rinforzare il pilastro europeo nella Nato, costruire un mercato unico per il materiale di difesa in Europa, decidere, tutti i 27 stati membri insieme, come investire per la nostra tutela.
Un'altra sfida che ha citato nel suo intervento è quella che riguarda i cambiamenti climatici. Ci sono delle forze politiche oggi, quelle di cui parlavamo all’inizio, che non si possono definire amiche del clima. Su questo fronte l'Europa cosa può fare?
Io credo che i giovani in Europa stiano dando un messaggio molto chiaro. Le scelte che noi facciamo oggi sono le scelte che loro vivranno domani e dopodomani. E dicono che così non va bene, che dobbiamo fare investimenti per diminuire le emissioni di CO2, che per farlo dobbiamo seguire un modello economico di industrie verdi. La sostenibilità non è contraria alla competitività e allo sviluppo, anzi. È un modo per essere ancora più concorrenziali.
A proposito di giovani, ha citato il forte calo demografico che abbiamo in Europa. E questo si collega al tema della migrazione, di cui c’è bisogno. Invece alcuni governi tornano a parlare di muri e di frontiere. Questo si infrange con il sogno europeo.
L’età media in Europa è di 48 anni, in Cina e Stati Uniti di 38. In India 28 e in Africa 19. Questa è la realtà. Non possiamo permetterci risposte incantatrici. Abbiamo bisogno di soluzion
Qual è il ruolo della formazione negli studi delle relazioni internazionali? di quali competenze hanno bisogno gli studenti e le studentesse che oggi erano qui ad ascoltarla?
Il ruolo delle istituzioni accademiche è importante per aiutare questi giovani a fare due cose. La prima è conoscere la nostra storia, l’economia, la demografia, quali sono le forze che oggi muovono il nostro mondo. La seconda è imparare anche a gestirlo. Un'università come quella di Trento sta preparando ragazzi e ragazze a entrare nel mercato di lavoro, a essere dirigenti di aziende, di organizzazioni internazionali, di amministrazioni pubbliche. Le loro capacità saranno molto apprezzate perché sanno leggere il mondo e sono in grado di proporre soluzioni per rispondere alle grandi sfide.
La diplomazia e la cooperazione internazionale, in questo momento rischiano di perdere la loro centralità nel confronto politico?
Sì. La diplomazia oggi è svalutata. Però quando c'è un problema, a livello internazionale o nazionale, è necessario che ci siano degli spazi dove la gente può parlare. E dobbiamo proteggerli. La stessa università è un luogo in cui persone di altri paesi, di diversi partiti politici, di religioni differenti, possono confrontarsi. Sono luoghi preziosi, in un mondo che sta creando fratture e frammentazioni.