Dal 16 al 20 ottobre l’Italia è stata ospite d’onore alla Fiera del libro di Francoforte. L’ultima volta era successo nel 1988 e in questi anni il panorama editoriale del nostro paese ha subito alcune profonde trasformazioni. Massimo Rizzante, docente di Letteratura italiana contemporanea al Dipartimento di Lettere e Filosofia, racconta a UniTrentoMag le sue impressioni sulla Buchmesse, riflettendo sugli sviluppi, le criticità e le sfide che l’industria del libro deve affrontare.
Professore, cosa ne pensa degli autori italiani che sono stati presentati a Francoforte la scorsa settimana? C’è qualcuno da tenere d’occhio?
«A Francoforte sono stati presentati più di ottanta autori e autrici del nostro paese, i più conosciuti del panorama attuale. Sono stati invitati, per citarne alcuni, Roberto Saviano, Alessandro Baricco, Claudio Magris, Alessandro Barbero, e molti altri.
Come ogni fiera, anche la Buchmesse è una vetrina che mette in risalto gli autori più famosi, ma i veri affari si fanno con i libri inediti. Sembra che sia stato un successo, sono stati venduti parecchi titoli. C’erano nomi che però a me non dicono niente. Non perché non sappia chi sono, ma, se guardiamo agli autori degli ultimi trent’anni, non sono riuscito a fare entrare nessuno all’interno delle mie lezioni. Ogni tanto mi capita di citare, ad esempio, Baricco e Saviano ma quasi sempre in modo abbastanza polemico. Non posso pensare che questi autori siano alla stregua di quelli che hanno scritto negli anni Settanta e Ottanta».
Qual è per lei la discriminante per inserire o meno un autore all’interno del canone?
«La discriminante non può essere il successo in termini di copie vendute, anche se sembra essere una tendenza dell’ultimo periodo. Dico sempre ai miei studenti che pensare, e quindi giudicare, vuol dire comparare. Se noi compariamo le opere attuali a quelle meno recenti ci accorgiamo che a livello linguistico, stilistico, formale e a livello di coraggio intellettuale non c’è storia. D’altra parte però non si possono leggere solo gli autori del passato, la contemporaneità è importante. C’è un problema, come dico spesso, i ragazzi (e non intendo solo i giovanissimi) tendono a prendere per letteratura cose che letteratura non sono, ma che io invece definirei giornalismo o informazione. Questo è un tema che è venuto fuori anche alla Buchmesse: in un mondo in cui l’informazione assedia è difficile distinguere ciò che è effettivamente informazione e ciò che invece è espressione.
Dalla seconda metà degli anni Ottanta, un periodo di frattura storico, politica, sociale, tecnologica, le case editrici hanno cominciato a pubblicare i libri per ragazzi. L’editoria per giovani, che oggi è uno dei compartimenti più importanti dal punto di vista economico insieme ai manuali scolastici, non esisteva prima di allora. I ragazzi, che avessero sei o quindici anni, prima leggevano quello che leggevano gli adulti, con qualche semplificazione magari. C’è una grande differenza tra una generazione che fin dalla giovane età legge i classici, seppur semplificati, da una che probabilmente non li leggerà mai. Non è un caso se alla Buchmesse di Francoforte il contributo dell’editoria per ragazzi è fondamentale. L’editoria non potrebbe sostenersi solo con i saggi e i classici».
A cos’è dovuto questo cambiamento secondo lei?
«Poco prima dell’inizio della Buchmesse, l’Aie, l’Associazione italiana degli editori, ha pubblicato il Rapporto sullo stato dell’editoria in Italia 2023. Lo scorso anno sono stati mandati in stampa più di 85.000 titoli. È un numero stratosferico.
Nascono però due problemi. Il primo riguarda la fine che fanno questi libri, perché essendo così tanti alcuni sono destinati al macero. Il secondo riguarda il tempo che viene dedicato al singolo libro; data la vastità di proposte un titolo rimane in libreria al massimo una settimana o due. Prima, quando la produzione era minore, i libri restavano di più in libreria e il lettore aveva il tempo materiale di venirne a contatto.
Ma questi dati non sono gli unici a non essere incoraggianti. Un sondaggio dell’Istat ha rilevato che circa il 70% dei giovani dai 6 fino ai 19 anni in Italia non è mai andato in biblioteca. Questo dimostra in maniera evidente come in pochi decenni sono cambiati costumi e abitudini che erano radicati nella nostra cultura da secoli».
Parlando invece di mercato editoriale, cosa succede oggi nel nostro paese? E cosa prevede per il futuro?
«Penso che nei prossimi anni i due grandi monopoli, e sto parlando di Feltrinelli e Mondadori, si consolideranno definitivamente. Tutte le altre case editrici o sono già state assorbite o lo saranno presto. Nei prossimi anni ci saranno questi due grandi “pianeti”, se vogliamo chiamarli così, e poi ci saranno moltissimi satelliti, e sto parlando delle piccole e medie realtà con cataloghi molto meno ricchi.
La mortalità delle piccole case editrici purtroppo ad oggi è altissima. Quelle che resistono compiono un grande atto di coraggio; la distribuzione dei pochi libri che producono viene inevitabilmente surclassata dai titoli proposti da questi due grandi monopoli.
Uno dei pregi però è che queste realtà lavorano su pochi titoli e sono molto attente alla qualità».
C’è qualcuna di queste che vuole consigliarci?
«Tra le più conosciute, ad esempio, Edizioni Nottetempo, Edizioni Effigie, Edizione E/O. Tra le più particolari invece direi le edizioni Italo Svevo di Trieste. Ce ne sono molte anche di nuova generazione, ma sarà il tempo a decretarne valore.
Ci tengo a citare infine la casa editrice Keller di Rovereto, che ha alle spalle una storia molto importante, anche con qualche premio Nobel, ed è l’unica realtà che è riuscita a sopravvivere sul territorio trentino».