© Adobe Stock

Eventi

Giù dalla torre

Antenne delle telecomunicazioni, canoni ed espropri. Le difficoltà dei Comuni sotto la lente dell'Università di Trento

21 novembre 2024
Versione stampabile
Paola Siano
Ufficio Stampa e Relazioni esterne

Il settore della telefonia mobile è alle prese con un’intricata situazione giuridica, che vede in contrapposizione gli interessi degli enti locali, quelli degli operatori del servizio e infine quelli delle società proprietarie delle antenne. Una normativa nebulosa negli ultimi anni ha di fatto impoverito le casse dei Comuni italiani, soprattutto quelli di dimensioni più piccole, che hanno perso la facoltà di decidere se ospitare o meno sul proprio territorio nuovi impianti. Una situazione che ha un forte impatto sulla finanza pubblica locale ma anche su quella dei privati. Come uscirne? Se ne discuterà in un convegno organizzato per il 2 dicembre alla Facoltà di Giurisprudenza. Per partecipare è necessario prenotarsi a questo link. Ne parliamo con Francesco Dalla Balla, assegnista di ricerca del Dipartimento Cibio, che ha fatto parte del gruppo di ricerca trentino guidato dal professor Fulvio Cortese nel Prin (Progetto di rilevante interesse nazionale) “Re.s.to.r.e”, diretto dal professor Aldo Sandulli dell’Università Luiss Guido Carli di Roma, nell’ambito del quale nasce l’idea di questo incontro.

Centinaia di milioni, se non addirittura oltre il miliardo di euro. A tanto ammonta l’impatto economico per le amministrazioni locali italiane, che non solo hanno perso voce in capitolo sulla possibilità di localizzare gli impianti di comunicazione elettronica sul proprio territorio, ma si sono anche viste ridurre – e di molto – le entrate derivanti dalle antenne posizionate sui propri terreni e fabbricati. «Un taglio di risorse la cui stima è ancora imprecisa e forse impossibile – sottolinea Francesco Dalla Balla – e che sta riversando presso i Tribunali un’enorme quantità di contenzioso giudiziario». La situazione è ingarbugliata e complessa dal punto di vista giuridico ma ha un forte interesse sulla vita della comunità. Basti sapere che, secondo i dati dell'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), nelle sole province di Trento e Bolzano, sono operative oltre mille stazioni radio base, per un totale di oltre duemila impianti. In Veneto sono quasi cinquemila le stazioni e ottomila gli impianti. «Ciascuna di queste infrastrutture – sottolinea il ricercatore – fruttava ai Comuni introiti contrattuali variabili dai 5 mila ai 50 mila euro all’anno. Oggi questi corrispettivi di mercato sono sostituiti per legge da un canone forfettario pari a 800 euro all'anno. Rapportata agli 85 mila impianti esistenti sul territorio nazionale, si tratta di una misura di enorme impatto per la finanza pubblica locale». Ma come si è arrivati a questa situazione? Negli ultimi cinque anni si sono succedute modifiche normative caotiche e veloci del sistema delle telecomunicazioni (alcune delle quali abrogate prima ancora di essere entrate in vigore), che hanno gettato nell’incertezza i bilanci degli enti locali e dei concessionari pubblici, privandoli di entrate significative provenienti dalle royalties (i compensi, ndr) concordate con gli operatori delle telecomunicazioni mobili e le cosiddette società delle torri. Si tratta di importi già messi a bilancio dalle Amministrazioni per il finanziamento di servizi pubblici o per investimenti.
A complicare ulteriormente la situazione ci si mette l'espansione della rete 5G, spinta dal Pnrr, che porterà un considerevole aumento degli impianti. Questa tecnologia infatti utilizza trasmissioni ad alta frequenza. Di conseguenza serviranno molte più antenne per collegare le utenze. Ma come si lega tutto questo discorso al tema della sicurezza, di cui si parlerà anche al convegno? «Quello delle telecomunicazioni è un settore estremamente sensibile e globalizzato. A livello europeo – risponde Dalla Balla, che prosegue – è in corso una vera e propria guerra commerciale per l’accaparramento delle torri e il controllo delle infrastrutture di rete». Vanno in questa direzione le iniziative del Ministero dell’Economia e di Cassa Depositi e Prestiti per la costituzione di una nuova rete pubblica. Nonché l’estensione del cosiddetto golden power della Presidenza del Consiglio a tutti i servizi di comunicazione elettronica a banda larga basati sulla tecnologia 5G, che – per legge – costituiscono attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale.
«In questo contesto – specifica ancora lo studioso - sono state approvate radicali misure di semplificazione, che hanno reso gli impianti compatibili con qualunque destinazione urbanistica; irrobustito i poteri espropriativi degli operatori che possono superare forzosamente il dissenso del proprietario del terreno su cui insediare l'antenna; limitato la possibilità per gli enti territoriali di decidere la localizzazione degli impianti sul relativo territorio». L’esautorazione dei territori dal processo decisionale ha soffiato sul fuoco dello scontro con le comunità locali selezionate per ospitare gli impianti, che si andava paradossalmente ormai disinnescando. Sono perciò tornate all’ordine del giorno le polemiche sull’installazione di questo o quell’ antenna.
Il combinato normativo, che si pensava a favore delle società di Tlc, sembra essere diventato un boomerang per le stesse imprese e, soprattutto, per il settore delle Tower Company.
Innanzitutto, si avviano progressivamente alla scadenza decine di migliaia di concessioni, che – con il venire meno di ogni convenienza economica per gli enti territoriali ospitanti – ripropongono il vecchio problema della conflittualità tra le comunità locali e i gestori della rete (ricordate Nimby?). In secondo luogo, il legislatore ha “controbilanciato” la misura imponendo limiti legislativi ai profitti delle tower companies, che, per ora, hanno trovato scarsa applicazione, ma rischiano di avere un impatto deflagrante sul mercato (che vale miliardi di euro e negli ultimi dieci anni ha quadruplicato i ricavi). In terzo luogo, questo intreccio rischia di richiamare l’interesse dell’Unione europea ed aprire una nuova “questione spiagge” (specie per quanto riguarda la diffusa prassi dei rinnovi automatici e la stipulazione dei c.d. diritti di superficie pluriennali). C’è ancora margine per intervenire o siamo a un punto di non ritorno? «Il 2 dicembre presenteremo una sintesi dei risultati del progetto di ricerca da cui emerge, a mio parere, che il sistema così com’è sfavorisce tutti», risponde Dalla Balla. «L'equilibrio è molto delicato – sottolinea – e rischiano di farne le spese i comuni che si trovano senza soldi; gli operatori che rischiano di incorrere in un limite legislativo ai profitti; lo Stato perché si ritrova con un intrico normativo complicato che lo pone in contrasto con il diritto UE della concorrenza». L’organizzazione del convegno nasce nell’ambito del progetto Prin Re.s.to.r.e. (Recovering the state towards a reformed economy) che ha impegnato le Università di Trento, Palermo, Bologna, Luiss Guido Carli e Iuav. Il gruppo di ricerca si occupa di esaminare il nuovo ruolo delle autorità pubbliche nel governo dell’economia, in un contesto globale nel quale la concorrenza va cedendo il passo ad un crescente protezionismo nei settori strategici.