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Intelligente, generativa, umanistica

A Palazzo Prodi un incontro dedicato al rapporto tra Artificial Intelligence e scienze umane

12 dicembre 2024
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Daniele Santuliana
Ufficio Stampa e Relazioni esterne

L’intelligenza artificiale pervade ormai ogni aspetto delle nostre vite e spesso non ne siamo nemmeno consapevoli. Se è generalmente chiara la sua applicazione nell’ambito delle discipline tecniche e scientifiche, più oscuro è come possa portare beneficio a chi coltiva le materie umanistiche. Lunedì 2 dicembre, Luisa Mich, docente di Sistemi informativi del Dipartimento di Ingegneria industriale dell’Università di Trento, è stata ospite del ciclo di seminari in Digital Humanities per parlare del rapporto tra il paradigma dell’intelligenza artificiale e l’umanistica digitale.

Professoressa Mich, è possibile definire un glossario per l’intelligenza artificiale?

«Più che di glossario, io parlerei di temi, di tendenze, di argomenti più o meno caldi. La nostra è una società impregnata dall’intelligenza artificiale, spesso senza consapevolezza. Tutto quello che facciamo, l'uso del cellulare, i suggerimenti che ci vengono dati per i messaggi e le ricerche, piuttosto che le promozioni, le notifiche, il riconoscimento facciale, sono tutte funzioni che in un modo o nell'altro usano qualche algoritmo di intelligenza artificiale. Ricordiamoci che l'intelligenza artificiale di per sé è una disciplina nata nel dopoguerra, a metà degli anni Cinquanta. La sua storia è intrecciata con quella dell'informatica». 

Qual è stato il momento di rottura? Quando l’intelligenza artificiale è diventata per tutti?

«La discontinuità c’è stata con i sistemi di IA generativa aperti al pubblico. Parliamo del novembre 2022 e in particolare dell’intelligenza artificiale conversazionale, con ChatGPT. Ormai – tra eventi, articoli, conferenze, promozioni, pubblicità – si parla di intelligenza artificiale ovunque. Viene usata come fosse un brand, spesso con poca consapevolezza».

Quali sono gli effetti più evidenti di questa trasformazione?

«L'effetto più evidente, se vogliamo metterci dal punto di vista della ricerca, è che da un lato questi strumenti permettono al sistema di accelerare il progresso in diversi campi. Dall'altro, gli investimenti più importanti ormai sono nelle mani delle grandi aziende che creano e sviluppano questi sistemi. Come confermano i dati raccolti nel rapporto annuale sull’IA della Stanford University, c’è stato un passaggio dei finanziamenti dal mondo pubblico a quello aziendale».

Guardando agli ultimi 12 mesi, quali sono i concetti emersi nell'ambito dell'intelligenza artificiale? 

«Di sicuro, nulla di così dirompente come fu ChatGPT nel 2022. E questo è solo un esempio, perché esiste una pluralità di sistemi di quel tipo. Quest’anno si è parlato molto di algoritmo, anche se decisamente non è un termine nuovo, ma anzi è il concetto base dell'informatica, dell'automazione, delle tecnologie digitali. Si è parlato anche di Machine learning, o addestramento automatico. E poi del problema delle “allucinazioni”, il termine usato per indicare l'output del sistema con informazioni assolutamente inventate, che nascono dall’approccio statistico probabilistico sui cui si basano questi sistemi».

L’evento del 2 dicembre era ospitato dal Dipartimento di Lettere e Filosofia, all’interno del ciclo di seminari in Digital Humanities. Qual è il rapporto tra intelligenza artificiale e scienze umane? 

«Anche all’interno delle scienze umane, abbiamo visto negli ultimi anni un allargamento notevole dell’ambito di applicazione dell’intelligenza artificiale. Dai testi, ai video, alle immagini, l’IA può supportare le discipline umanistiche in molti modi. Potremmo, ad esempio, addestrare un algoritmo a riconoscere le peculiarità di un autore e usare poi questa competenza per individuare testi non noti dello stesso autore. Oppure, pensiamo
all'analisi linguistica, al linguaggio naturale, dove l’IA può aiutare nella traduzione. Anche la musica può essere creata da sistemi artificiali. Con tutti i problemi che questo comporta».

Lei si occupa di intelligenza artificiale e turismo: cosa riusciremo a fare un giorno che oggi non possiamo ancora fare?

«Anche in questo ambito possiamo cogliere delle tendenze. Ad esempio, guardiamo ai robot che le catene alberghiere adottano per sostituire non solo chi si occupa di servizio, ma anche chi sta alla reception, chi ci accoglie in albergo. Il tentativo è poi quello di creare robot con sembianze umane, che, oltre a una funzione di servizio, diano almeno una sensazione di emozione, di empatia».

C’è il rischio che anche nei settori a basso tasso di tecnologia gli esseri umani vengano sostituiti dalle macchine?

«Sicuramente c’è una fortissima necessità di formazione e di aggiornamento tecnologico in tutti i settori, anche in quello turistico. Qualcuno si è spinto a dire che ogni lavoro ormai è tecnologico. Il rischio non è che un’intelligenza artificiale ci porti via il lavoro, ma che a farlo sia una persona che sa usare l’intelligenza artificiale».