Veduta di Pechino, circondata dalle mura e punteggiata da torri di guardia e pagode.  Amsterdam, Jacob van Meurs, 1665, incisione colorata, L’Aia, Koninklijke Bibliotheek

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Da Marco Polo a Martino Martini

Il Centro Studi dedicato al missionario trentino celebra con una mostra i 700 anni dalla morte dell’esploratore veneziano

20 gennaio 2025
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Daniele Santuliana
Ufficio Stampa e Relazioni esterne

Marco Polo, Qubilay Khan, i portoghesi di Macao, Matteo Ricci, Martino Martini, Johann Nieuhof e la Compagnia Olandese delle Indie Orientali: sono loro i protagonisti della mostra che il Centro Studi Martino Martini ha inaugurato lo scorso novembre in occasione dei Martini Days 2024. La mostra è approdata ora nella sala Thun di Torre Mirana, dove rimarrà allestita fino alla fine di gennaio. UniTrentoMag ha intervistato il curatore Aldo Caterino, funzionario dell’Istituto Idrografico della Marina e capo redattore della rivista “Sulla via del Catai”.

Dottor Caterino, quali materiali troviamo in mostra?

«La mostra è stata pensata in occasione delle celebrazioni per il 700° anniversario della morte di Marco Polo e vuole contribuire a far conoscere l’influenza che il mercante veneziano (prototipo del viaggiatore moderno) ha avuto sulla storia, la geografia e i rapporti con l’Oriente. Metà delle opere sono miniature tratte da una copia del Livre des merveilles conservata presso la Bibliothèque nationale de France. Rappresentano ovviamente le scene principali del libro di Marco Polo, tradotte però in un linguaggio occidentale, o meglio, in una visione occidentale dell'Oriente, che a volte può apparire quasi onirica. La seconda parte della mostra è dedicata invece al ruolo del missionario gesuita trentino Martino Martini nello sviluppo della conoscenza della Cina. In questo caso le immagini sono tratte da L'ambassade de la Compagnie orientale des Provinces Unies vers l'empereur de la Chine di Johann Nieuhof, che fu l'accompagnatore e il disegnatore della prima ambasceria ufficiale olandese in Cina, inviata grazie alle informazioni fornite dallo stesso Martini».

Cosa ci racconta la mostra dei rapporti tra Cina e Occidente tra Basso Medioevo ed Età Barocca?

«Tra XIII e XIV secolo, la pax mongolica stabilizzò un’area immensa che va dal mar Adriatico a quello del Giappone, garantendo libertà di transito e di commercio e un collegamento diretto tra Cina e Occidente. Attraverso i porti del Mar Nero, era possibile, percorrendo il ramo settentrionale della Via della Seta, che attraversava le steppe siberiane, raggiungere direttamente il nord della Cina, all'epoca chiamato Catai, e da lì il resto dell’Asia orientale. I primi a percorrere questa strada furono i missionari inviati dal papa e dal re di Francia per spiare i mongoli e avviare con loro trattative diplomatiche. Si stima che dalla metà del ‘200 alla metà del ‘300, circa 3mila europei, soprattutto mercanti genovesi e veneziani, raggiunsero la Cina. Questo periodo felice si chiuse con la caduta della dinastia mongola degli Yuan nel 1368 e l’ascesa di quella cinese dei Ming che chiuse i confini terrestri della Cina per proteggersi dai popoli delle steppe. I rapporti cambiarono nuovamente nel 1513, quando i portoghesi sbarcarono per la prima volta in Cina. Con loro, arrivarono sulle coste cinesi anche i missionari, soprattutto gesuiti, che furono poi gli artefici principali dello studio e della conoscenza delle civiltà orientali da parte degli europei».

La mostra distingue tra il Catai, la Cina settentrionale, visitata da Marco Polo, e il Mangi, la Cina meridionale conosciuta da Martini. Quante “Cine” esistevano?

 

«Marco Polo parla di due Cine, la Cina a nord del fiume Azzurro, il Catai, e la Cina a sud del fiume Azzurro, il Mangi. Per gli occidentali esistevano due Cine, perché pensavano che fossero due mondi differenti. Quello più conosciuto era senz’altro il Catai, la Cina settentrionale, quella dei Gran Khan mongoli, quella di Pechino, quella della Grande Muraglia. Pensavano che nel sud ci fosse un altro paese. A chiarire la situazione fu il gesuita maceratese Matteo Ricci, che inviò un proprio confratello portoghese a percorrere la Via della Seta, dimostrando che il Catai di Marco Polo era la Cina dei gesuiti».

Cos’era la Cina per gli occidentali?

«La Cina vista dagli europei era sostanzialmente il paese della seta, la “Serica” dei romani. Per gli antichi, la Cina era un paese da sogno, dove la seta cresceva sugli alberi, anche perché i cinesi mantenevano ben celato il segreto sulla tecnica di produzione. Una conoscenza migliore si sviluppò nel corso del Basso Medioevo, anche perché c'erano diversi mercanti che operavano da quelle parti, muovendosi tra il Mediterraneo orientale e il Mar Cinese Orientale e Meridionale. Questo, naturalmente, solo tra la popolazione colta. Agli occhi di tutti gli altri, la Cina e l’Oriente rimasero a lungo un paese incantato, un luogo mitico, un posto dove abitavano popoli e animali fantastici, che poi è quello che raccontano anche Il Milione e le miniature che troviamo in mostra. Anche i gesuiti alimentarono il mito della Cina, non più però di una Cina sconosciuta e misteriosa, ma di una Cina estremamente ben organizzata, governata dalla burocrazia confuciana. Nel Settecento, si diffuse poi in Europa la gusto per le “cineserie”, ossia le porcellane, le lacche, le giade e gli altri prodotti che imitavano quelli cinesi. Le cose cambiarono al passaggio del secolo, quando i funzionari della Compagnia Inglese delle Indie Orientali, che avevano iniziato a porre le proprie basi in Cina, raccontavano di un paese vecchio, arretrato, eccessivamente legato alle tradizioni, che non sapeva innovare, che non intendeva industrializzarsi, un paese troppo agricolo e poco manifatturiero, insomma, un territorio di conquista».


La mostra “Il Catai di Marco Polo e la Cina di Martino Martini” rimarrà allestita nella Sala Thun di Torre Mirana (via Belenzani, 3) fino a venerdì 31 gennaio. L’esposizione è aperta tutti i giorni dalle 11 alle 13.15 e dalle 14.15 alle 18.30.