© Adobe Stock

Eventi

Fare memoria oggi, contro le mistificazioni del passato

In occasione del 27 gennaio dialogo con Giorgia Proietti (Dfl) sull’impegno del Lims per una conoscenza critica della storia

23 gennaio 2025
Versione stampabile
Paola Siano
Ufficio Stampa e Relazioni esterne

Ottant’anni fa, il 27 gennaio 1945, furono aperti i cancelli del campo di sterminio di Auschwitz. Da quel momento il mondo conobbe l’orrore della Shoah, il progetto nazista di sterminio del popolo ebraico, ma anche delle minoranze rom e sinti, delle persone omosessuali, degli oppositori politici. I campi di concentramento rappresentano il compimento di un percorso iniziato anni prima dal regime hitleriano e portato avanti con ogni genere di discriminazione verso questa parte di popolazione, per la costruzione del “nemico” nell’opinione pubblica. Il dovere di fare memoria, oggi che i testimoni di quella pagina buia della storia dell’umanità stanno piano piano scomparendo, è ancora più necessario. Affinché la storia non diventi strumento di manipolazione politica. Ne parliamo con Giorgia Proietti, ricercatrice di Storia greca al Dipartimento di Lettere e Filosofia e coordinatrice del Lims - Laboratorio interdipartimentale Memoria e Società, il primo centro di studi interdisciplinari sulla memoria nelle università italiane, nato dal lavoro congiunto del Dipartimento di Lettere e Filosofia e quello di Sociologia e Ricerca sociale UniTrento.

Dottoressa Proietti, quali sono i rischi che corre oggi la memoria, in un’epoca in cui l’intelligenza artificiale riesce a creare contenuti realistici e circolano fake news e riletture del passato?

«Fare memoria non vuol dire semplicemente ricordare ma anche e soprattutto fare critica del passato. Significa selezionare, discernere (in greco krino, da cui, appunto, critica) cosa ricordare e cosa dimenticare, e come ricordare. Per muoverci con consapevolezza nel presente e attrezzarci contro manipolazioni e falsificazioni, conoscere il passato come una mera successione di eventi non basta. Per la semplice ragione che gli eventi nel momento stesso in cui accadono diventano oggetto di racconti, rappresentazioni, memorie. Che vanno prese seriamente. Perché non sono tanto gli eventi di per sé a orientare gli sviluppi storici successivi, bensì proprio le storie e le rappresentazioni che degli eventi vengono date, dai diversi gruppi coinvolti, nel corso del tempo e dello spazio. Le memorie diventano bacini di senso e motori dell’azione per il presente e per il futuro, purtroppo spesso e volentieri in chiave conflittuale, come tragicamente dimostrano oggi tanto il conflitto russo-ucraino quanto quello israelo-palestinese. Occorre allora interrogarsi sui significati del passato: ricostruirne e decostruirne racconti e rappresentazioni, tentando di distinguere le interpretazioni frutto del ‘fisiologico’ adattamento della memoria alle esigenze di senso del presente, e le falsificazioni riconducibili a politiche della memoria a fine propagandistico. Questo impegno può contribuire a dotarsi degli anticorpi contro le falsificazioni e le mistificazioni del passato da cui siamo letteralmente bombardati».

Cosa vuol dire fare memoria oggi di un evento come la Shoah, alla luce anche del conflitto che si sta consumando tra Israele e Palestina? 

«Sin dall’inizio del conflitto tanto Israele quanto la Palestina hanno chiamato in causa la Shoah, come metro di paragone o come monito rispetto alla guerra in corso. Sia l’azione dello stato ebraico sia quella di Hamas sono state connesse alla vicenda storica dell’Olocausto da un certo discorso politico e mediatico, da ambo le parti. In particolare gli attacchi del 7 ottobre 2023 hanno sollevato reazioni importanti anche da parte di alcuni tra i più importanti studiosi della Shoah e storici contemporanei, da Marianne Hirsch a Enzo Traverso, che hanno messo in guardia dall’utilizzo di paragoni storici tra i due eventi. Questi confronti confondono la gravità dell’uno con la gravità dell’altro, e viceversa: la collocazione dell’Olocausto in cima alla scala dei crimini universali e la sua sclerotizzazione simbolica come trauma universale hanno l’effetto di ostacolare, invece che contribuire a chiarire, la conoscenza della guerra in corso a Gaza, con le sue specificità e contingenze. E soprattutto distolgono dal cuore del conflitto: le persone, le famiglie, la vita umana. Fare a gara a chi sia stato più vittima in passato e chi dunque sia (o meglio, si ritenga) più legittimato a fare la guerra oggi non fa che innescare ulteriori violenze. A fronte di questo uso strumentale e deleterio della Shoah come supposta ragione storica di conflitti presenti è fondamentale continuare a coltivarne la memoria come occasione di solidarietà umana, di resistenza attiva e ‘cosmopolita’. E forse anche di speranza».

Il legame tra memoria e storia può diventare divisivo, soggettivo e non oggettivo. Qual è l’impegno del Lims?

«Abbiamo detto che fare memoria significa tenere alta la soglia critica rispetto a tutte le ‘versioni’ del passato che nei conflitti in corso oggi vengono messe in campo. Se è così, la memoria non è nemica della storia, come secondo certe visioni superficiali e banalizzanti, che vedono nella storia il passato oggettivamente ricostruito e nella memoria il passato soggettivamente ricordato. Memoria e storia non sono una coppia di opposti. Il punto è che essendo le memorie e le rappresentazioni intrinseche agli eventi, occorre considerarle parte integrante dello studio del passato. Con la consapevolezza che il passato non è interamente appannaggio del presente, non è disponibile a infinite mistificazioni. Per esercitare questa capacità critica occorre conoscere nel maggior dettaglio possibile cosa sia e come funzioni la memoria, a livello sia individuale sia collettivo. Il Lims, con la sua impostazione inter-e multi-disciplinare, che spazia dalla storia alla sociologia, dalla psicologia all’antropologia, dalla letteratura alla filosofia, si impegna proprio primariamente a costruire e trasmettere conoscenza della memoria come prerogativa umana complessa: articolata, dinamica, trasversale. Al netto di certe banalizzazioni, purtroppo frequenti in tanto discorso politico e mediatico, dove ‘memoria’ spesso risuona come una sorta di slogan di moda. Dalla banalizzazione alla mistificazione il passo è breve, perciò occorre attrezzarsi».