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Eventi

Dentro le pieghe dell’umanità

Leggere insieme “Speranza e disperazione” di Borgna. L’invito del Circolo dei lettori tra psichiatria, letteratura e filosofia

23 gennaio 2025
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Sara Carneri
Ufficio Eventi

“Speranza e disperazione”, pubblicato nel 2020 da Einaudi, è un libro agile. La prima lettura è veloce, poi bisogna tornarci su. È strutturato in due parti: speranza come infinita ricerca di senso; speranza come memoria del futuro. L’ha scritto Eugenio Borgna, morto di recente a Borgomanero, in provincia di Novara. Borgna ha dedicato la sua vita alla psichiatria, o meglio, alle persone – donne per lo più – con malattie mentali, internate, prima, e accolte, dopo, all’interno del reparto femminile dell'ospedale psichiatrico di Novara. Il “prima” e il “dopo” è segnato dalla generazione di Franco Basaglia, coevo di Borgna. Se consideriamo che "Pellegrini di speranza" è il motto del Giubileo 2025, il contesto in cui viviamo, l’attesa di buone notizie sui fronti aperti e martoriati in Europa, in Medioriente e nel mondo, vale la pena indagare questi temi e partecipare all’incontro “Leggendo insieme ‘Speranza e disperazione’ di Eugenio Borgna” che si terrà in aula Piscopia, a Palazzo Paolo Prodi, mercoledì 29 gennaio alle 18. A introdurre la lettura e la discussione su questo libro, insieme a Francesca Paternolli, docente del Liceo scientifico Galilei di Trento, ci sarà Fabrizio Meroi, professore di Storia della filosofia dell’Ateneo, che abbiamo intervistato per UniTrentoMag.

Professor Meroi, Borgna è un esponente della psichiatria di orientamento fenomenologico. Quali sono le caratteristiche di questo approccio?

«È un approccio umano. Potremmo dire che questo approccio si basa su tre elementi. Il primo: il riconoscimento della dignità della sofferenza, di chi è affetto da malattia mentale. Detto così, malattia mentale, è già un’etichetta. Diciamo meglio, è un approccio che porta al centro dell’attenzione la persona malata, con un qualche tipo di disturbo psichico, in inglese diremmo “disorder”. Basaglia diceva “io non so cos’è la follia”. Quindi entrambi – Borgna e Basaglia – mettono tra parentesi “malattia mentale”, un contenitore che rischia di essere ingannevole. Il secondo: la consapevolezza che la follia fa parte dell’umano. Il terzo: se così stanno le cose, rifiutiamo l’etichetta “malattia mentale” e guardiamo alla persona. In questo approccio c’è una continua ricerca di senso. La speranza di cui parla Borgna sta proprio qui. Ciò che ne consegue, a livello di strategia terapeutica, è la centralità del colloquio – fatto di parola, sguardo, gesto, sorriso -il valorizzare al massimo il ruolo delle emozioni – che sono le stesse per tutti, le mie, le tue, quelle di una persona malata. Le emozioni ci mettono sullo stesso livello ed è lì che avviene l’incontro».

Se dovesse orientare un lettore frettoloso, ancorché mosso dalla curiosità, quali sono gli ingredienti essenziali di questo libro? Lei insegna Storia della filosofia, è questa l’angolatura per avvicinarsi al testo di Borgna?

«Non è facile fare sintesi di un libro come questo. Direi che la parola è centrale. Questo elemento si ritrova in molte citazioni nel testo, che mescola psichiatria, letteratura, filosofia. Un tema è il suicidio, un altro tema è il tempo. Borgna parla del futuro della speranza, un futuro che ci allontana dal presente delle piccole preoccupazioni ma è, al contempo, in profonda relazione con il passato. Ecco la continuità tra passato, presente e futuro. C’è un bellissimo film di Bergman, del 1957, Il posto delle fragole, per chi volesse cogliere quanta speranza c’è nel passato. C’è il tema del mistero, che allontana questo approccio dalla psichiatria otto-novecentesca di chi riguardava la schizofrenia come qualcosa di incomprensibile e quindi da nascondere, perché scandalosa e pericolosa».

Questa iniziativa è promossa all’interno del Circolo dei lettori, coordinato da Irene Zavattero, professoressa di Storia della filosofia medievale. L’esperienza è alla terza edizione e, come si legge sul calendario degli eventi di ateneo, è rivolta principalmente a docenti delle scuole superiori, con l’obiettivo di "fare filosofia". Poi questi insegnanti, si presume, porteranno in classe qualche riflessione emersa nell’appuntamento. Mi può dire che risposta c’è da parte dei giovani?

«Posso rispondere a questa domanda dall’osservatorio che frequento insegnando Storia della filosofia e incontrando ogni anno molti studenti. Ho sempre trovato grande interesse e rispondenza. E vorrei precisare un punto: le lezioni all’università, al di là del “pubblico” per cui sono pensate, sono aperte e libere a chiunque. I frequentatori occasionali, persone curiose o di passaggio, sono benvenuti a lezione come agli incontri che vengono organizzati dall’università».