Costruire la pace attraverso il dialogo, la diplomazia, il confronto. E con uno sguardo femminile. Diversi studi hanno dimostrato che gli accordi raggiunti con il coinvolgimento attivo delle donne hanno maggiori possibilità di essere efficaci. Nonostante questo, il numero di donne coinvolte nei negoziati e nelle missioni di pace e è ancora basso. Una partecipazione che andrebbe dunque sostenuta maggiormente, soprattutto in tempi come quelli che stiamo vivendo, in cui gli equilibri mondiali si stanno ridisegnando a causa delle guerre in corso. Questo è l’impegno di Irene Fellin, Rappresentante speciale del Segretario generale della Nato per Donne, Pace e Sicurezza e per la Sicurezza Umana. Esperta di mediazione e peace building, ha fondato la versione italiana di Women In International Security – Wiis, una rete internazionale dedicata a promuovere la leadership e lo sviluppo professionale delle donne nel campo della pace e della sicurezza internazionali. Fellin è l’ospite dell’incontro “Strategie globali e leadership femminile: il ruolo della Nato a 25 anni dalla Risoluzione 1325”, organizzato dalla Scuola di Studi internazionali dell’Università di Trento in programma il 27 marzo. L’evento rientra nel ciclo di appuntamenti “Women in International Affairs” che promuovono il dialogo sul contributo delle donne agli affari globali, realizzati nell’ambito del protocollo UniCittà. UniTrentoMag l’ha intervistata.
Dottoressa Fellin, nel 2000, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione 1325, che ha istituito l'agenda “Donne, pace e sicurezza”. Questo documento mirava a garantire che i diritti, l'azione e la protezione delle donne e delle ragazze fossero osservati e sostenuti in ogni momento. Cosa è cambiato da allora?
La Risoluzione 1325 è stata storica perché ha portato il tema delle donne al centro della sicurezza internazionale. I suoi due pilastri restano la protezione delle donne nei conflitti e la loro partecipazione nei processi di pace, con un focus crescente sulla prevenzione. Oggi, il 56% degli Stati membri dell'Onu ha adottato almeno un Piano d'Azione nazionale. Tuttavia, il contesto geopolitico cambia e con esso le sfide: la guerra in Ucraina ha avuto un impatto sulla sicurezza europea, la tecnologia ha introdotto nuove forme di violenza di genere, e il cambiamento climatico ha influenze dirette sulla sicurezza globale. Inoltre, 14 paesi hanno adottato una politica estera femminista, con un approccio più ampio rispetto all'Agenda Donne, Pace e Sicurezza. Nonostante i progressi, l'obiettivo dell'Agenda 2030 sulla parità di genere resta il più arretrato, e la partecipazione delle donne in politica rimane limitata: solo 18 paesi hanno un capo di Stato donna.
Cosa si intende per politica estera femminista?
Dipende dai paesi. La Francia, per esempio, ha un piano dettagliato che integra la dimensione di genere in tutte le politiche estere, dalle ambasciate ai finanziamenti dedicati. La Svezia basava la sua strategia su risorse, responsabilità e integrazione. L'Italia e la Nato non adottano una politica estera femminista, ma si concentrano sull'Agenda Donne, Pace e Sicurezza. La chiave è garantire che la dimensione di genere sia sempre presente nelle decisioni diplomatiche e politiche.
Nel contesto attuale di trasformazioni geopolitiche, qual è il ruolo della Nato?
La Nato sta vivendo una fase di crescita e adattamento alle nuove sfide, passando dalla gestione delle crisi alla difesa collettiva. L'invasione dell'Ucraina ha trasformato il modo in cui si guarda alla sicurezza, richiedendo un maggiore investimento nella difesa. Il dialogo con l'Unione europea è cruciale per evitare duplicazioni e creare sinergie. Nonostante le differenze di opinione tra alleati, la Nato ha dimostrato la capacità di mantenere unità e consenso.
In che modo la Nato sta integrando l'Agenda Donne, Pace e Sicurezza?
La Nato ha aggiornato la sua strategia, includendo per la prima volta l'Agenda Donne, Pace e Sicurezza nel suo Concetto Strategico del 2022. La nuova politica, adottata nel 2024, affronta le sfide emergenti come la violenza tecnologica e il cambiamento climatico. Sul piano militare, la Nato non ha un esercito proprio, ma stabilisce standard per i paesi membri, promuovendo politiche di reclutamento più inclusive. La partecipazione femminile è cruciale non solo nei ruoli tradizionali, ma anche, per esempio, nella sicurezza informatica. La flessibilità è un elemento chiave per conciliare la vita privata e professionale, guardando anche all’impiego delle forze di riserva nazionali.
Come stanno cambiando il ruolo e il linguaggio della diplomazia?
L’uso dei sociali media ha creato uno spazio diverso dove esercitare la diplomazia. Questa nasce nei palazzi, a porte chiuse, con linguaggi e modalità non accessibili a tutti. Oggi questa barriera è venuta a cadere. Si fa diplomazia e si dialoga di fronte alle telecamere o si fanno battute sui social. È chiaro che l’obiettivo non è più quello di parlare con la controparte ma di comunicare al mondo esterno. È cambiato anche il linguaggio che vuole essere più vicino alla società e rifletterla. Cresce l'attenzione verso un approccio inclusivo e rappresentativo, con un aumento (seppur lento) delle donne nelle carriere diplomatiche, soprattutto ai livelli medi, mentre restano meno rappresentate nelle posizioni apicali.
Come avvicinare le giovani alla diplomazia?
Molte ragazze faticano a riconoscersi nei percorsi tradizionali. Programmi di mentorato e di supporto aiutano a superare queste barriere. Mostrare modelli positivi è essenziale. Serve un linguaggio inclusivo, sostegno alle giovani e un messaggio chiaro: seguire le proprie passioni senza paura.