Letteralmente “oggettivazione” implica rendere qualcuno qualcosa, una persona un oggetto. L’oggettivazione rappresenta un modo potente e potenzialmente molto dannoso in cui possiamo vedere e trattare gli altri. Questo processo può avere una connotazione sessuale, come accade, ad esempio, nel caso delle donne oggetto in televisione o, più generalmente, nella pubblicità. Tuttavia, l’oggettivazione può andare oltre la sfera sessuale. Può riguardare il mondo del lavoro, le relazioni di potere o interazioni molto delicate e complesse come quelle tra medico e paziente. L’oggettivazione – la riduzione di una persona a una cosa – può potenzialmente verificarsi in qualsiasi rapporto umano.
Lo small group meeting che si è tenuto il mese scorso a Rovereto presso il Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive dell’Università di Trento, organizzato con il supporto della European Association of Social Psychology, ha messo in luce la pluralità di queste manifestazioni. Trentasette esperte ed esperti, provenienti da dodici diversi paesi in tre continenti, hanno discusso le cause, i processi cognitivi e le conseguenze dell’oggettivazione in vari contesti sociali.
Durante lo small group meeting ci si è focalizzati in primo luogo sull’oggettivazione sessuale della donna e sulle sue conseguenze, tra cui la più nota è l’auto-oggettivazione. Si tratta della percezione del sé come oggetto osservato, piuttosto che soggetto agente. Le donne, più degli uomini, crescono in una cultura in cui imparano ad interiorizzare e adottare una prospettiva in terza persona guardandosi come oggetti da valutare e apprezzare. Le conseguenze psicologiche per le donne che adottano questa prospettiva auto-oggettivante sono innumerevoli, come evidenziato dalla ricerca e da alcuni dei contributi al meeting: abbassamento dell’autostima, riduzione della capacità cognitiva, diminuzione dei sentimenti di piacere legati al proprio corpo. Diventa perfino un ostacolo per partecipare ad azioni collettive a favore delle donne.
Le conseguenze dell’oggettivazione femminile vanno al di là dell’auto-oggettivazione. Nel meeting si è discusso di violenza sulle donne e di come l’oggettivazione femminile sia uno dei suoi precursori. Si è anche molto discusso di cause dell’auto-oggettivazione e dell’oggettivazione delle donne più in generale. Diversi interventi hanno presentato i risultati di ricerche empiriche che dimostrano il ruolo del più ampio contesto sociale e delle relazioni, mettendo in evidenza il ruolo dei media, delle credenze sessiste nella società, delle norme sulla mascolinità, e di pratiche culturali diffuse come la molestia verbale in strada nel fomentare e alimentare questo fenomeno. A completare il quadro sull’oggettivazione femminile, l’intervento di Tomi-Ann Roberts del Colorado College, la prima studiosa all’interno delle scienze sociali a porre l’attenzione sui costi psicologici dell’oggettivazione e dell’auto-oggettivazione. La studiosa, in occasione del meeting, ha discusso di pratiche per aumentare la consapevolezza e la resistenza alla cultura pervasiva dell’oggettivazione sessuale femminile.
Come detto, l’oggettivazione può potenzialmente verificarsi in qualsiasi rapporto umano. Nello small group meeting un’intera giornata è stata dedicata all’oggettivazione nelle relazioni di potere ed economiche. Gli interventi hanno proposto ricerche empiriche volte a dimostrare come alcune condizioni di lavoro connotate da ripetitività e depersonalizzazione portano ad oggettivazione e auto-oggettivazione. Altri interventi si sono invece focalizzati sul ruolo dei soldi e delle valutazioni economiche nell’indurre una deumanizzazione e oggettivazione dell’altro.
Lo small group meeting “Objectification: Seeing and treating other people as objects” è stata un’occasione per confrontarsi su questo tema attuale e di grande importanza, declinare lo stato dell’arte, avere l’opportunità di instaurare collaborazioni e determinare un’agenda per future collaborazioni di ricerca.
Lo small group meeting “Objectification: Seeing and treating other people as objects” si è svolto dall’11 al 13 giugno scorso presso il Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive dell’Università di Trento. Responsabili scientifici sono stati Jeroen Vaes, professore associato presso il Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive, e Steve Loughnan della School of Philosophy, Psychology, and Language Sciences dell’Università di Edimburgo (UK).