A dispetto delle apparenze, il rapporto tra letteratura e scuola non ha mai avuto una storia serena. Il fatto che oggi a una prima impressione ciò possa sembrare privo di problemi appartiene più alla stagione che stiamo vivendo, in cui sia la letteratura sia la scuola incontrano numerose difficoltà, che alla loro lunga e reciproca influenza. La scuola dell’obbligo ha conservato una certa diffidenza nei confronti della letteratura, che a sua volta si è occupata poco di scuola.
In effetti, per quanto gli studenti si siano affaticati per secoli sopra i testi letterari – mezzo principale per imparare a leggere e a scrivere – l’istituzione scolastica non ha sempre accolto tempestivamente le grandi opere, badando più che altro a consolidare il rapporto con un ristretto numero di testi che si riduceva a una serie di buoni esempi didattici tratti da vari libri, non solo da quelli che si sarebbero imposti come il canone della nostra tradizione. La scuola ha guardato con sospetto soprattutto il romanzo, il quale è rimasto a lungo emblema di una lettura libera e indisciplinata che poco sembrava avere a che fare con l’istruzione e che infatti veniva per lo più esclusa dal curriculum di una formazione elevata. Così, per entrare in classe il romanzo è stato spesso addomesticato attraverso retoriche edificanti, indicazioni di contenuto, griglie formali e schede di lettura, il tutto frutto di un’ostilità nata non tanto in nome del pensiero analitico, quanto dal timore dell’identificazione dei giovani lettori nei personaggi. Eppure il confronto con la narrativa si è rivelato decisivo: si pensi al romanzo di formazione. Il romanzo ha perciò inciso nelle avventure scolastiche come lettura non prescritta e poco raccomandata (quindi molto gradita dagli studenti).
Se questa serie di questioni ha caratterizzato a lungo il rapporto tra scuola e letteratura, bisogna riconoscere che oggi i problemi sono ben altri, a cominciare da una delle principali esigenze avvertite dai docenti, quella di recuperare un senso della successione storica che negli studenti appare più fragile di quanto non fosse un tempo (quando era imposto da un modello scolastico influenzato dall’idealismo). Oggi, ancor più di ieri, il confronto con i vari tipi di narrazione, oltre a favorire la formazione di un individuo, diventa un interrogativo sui presupposti del vivere comune, come ha ricordato Eraldo Affinati nel suo Elogio del ripetente, libro che è stato al centro di un incontro tenutosi il primo marzo scorso presso il Liceo Scientifico “Leonardo Da Vinci” di Trento nell’ambito del Seminario Internazionale sul Romanzo, organizzato dal Dipartimento di Lettere e Filosofia in collaborazione con tre licei della città di Trento: “G. Prati”, “G. Galilei” e appunto “L. Da Vinci”.
Più che fornire una delle tante analisi sui problemi che affliggono il mondo della scuola, Affinati ha raccontato con grande forza narrativa la quotidianità di chi si trova a condividere lo spazio di un’aula e l’esigenza della trasmissione del sapere. La convivenza e il lavoro di una comunità di soggetti che per procedere deve superare la “finzione pedagogica”, in nome della quale i docenti recitano la parte di chi insegna e gli studenti fingono più o meno disciplinatamente di studiare. L’insegnamento e l’apprendimento del sapere per Affinati devono accettare il rischio di un confronto aperto e diretto con gli interrogativi che la letteratura ha posto e continua a porre sull’interpretazione delle scelte più impegnative cui la vita chiama ogni individuo. La “responsabilità della parola”, che per Affinati va equamente divisa tra docenti e studenti, diventa lo spazio comune di confronto in cui anche il ripetente, lo studente che per varie ragioni è rimasto indietro, rimette in gioco le sue carte che in molti casi mostrano insospettate doti civili. Questo racconto di vicende scolastiche mette in luce il vuoto dialettico in cui oggi si trovano molti studenti, lasciati senza riferimenti credibili dagli adulti che li circondano. Il racconto illumina quindi per contrasto anche ciò che resta attorno alla scuola, una società spesso priva di equilibrio, come il padre che in una pagina memorabile viene a prendere il figlio il quale ha preteso di poter andare in bagno a casa propria: il padre al volante di una station-wagon nella quale, accanto al sedile di guida, ha portato con sé la gabbia dei pappagallini perché non può lasciarli a casa da soli.