Lo strumento è strano, per l’Università. Perché comunicare attraverso un post di Instagram non è facile e c’è sempre il rischio di cadere nella banalità. Il “Laboratorio sull’interculturalità” attivato a Giurisprudenza dalla professoressa Cinzia Piciocchi ha colto la sfida e ha cercato una forma di comunicazione diversa, peer to peer, aperta alla condivisione. «L’obiettivo del laboratorio era creare contenuti per un social network, ma in una prospettiva di divulgazione scientifica», ci spiegano le tutor del laboratorio Marta Fasan e Carla Maria Reale, assegniste di ricerca, esperte di biodiritto e diritti umani.
Studenti e studentesse si sono così confrontati con i simboli religiosi, l’idea di morte, i vaccini e l’obiezione di coscienza, il cibo, l’interlingua, ma anche con analisi di contesto, come il multiculturalismo negli USA e il diritto alla differenza. «Nella prima parte del laboratorio, tramite lezioni frontali, abbiamo introdotto il concetto giuridico di intercultura, abbiamo presentato alcuni strumenti giuridici essenziali per interpretare e accomodare la diversità culturale – raccontano Fasan e Reale. – Poi abbiamo portato alcuni esempi concreti, come l’interculturalità nel campo della salute e dell’istruzione. Nella seconda parte abbiamo chiesto ai gruppi di individuare un tema da esplorare e di creare un contenuto multimediale divulgativo». Contenuti che si possono guardare e ascoltare sulla pagina Instagram del progetto.
Se i risultati sono così positivi, è grazie a contenuti e metodi solidi: l’esperienza s’inserisce nell’ambito delle azioni di didattica innovativa della Facoltà di Giurisprudenza di Trento, nel solco delle ricerche svolte nell’ambito di un progetto Prin dedicato al rapporto tra diritto e interculturalità, coordinato a Trento da Cinzia Piciocchi. Un tema di grande attualità e molto dibattuto anche in campo giuridico: «Rispetto al concetto di multiculturalità, l’interculturalità mette l’accento sul dialogo e la contaminazione, cerca di dare più spazio alla comunicazione e l’emersione di punti comuni tra culture e religioni – spiega Reale. – Si cerca di capire, ad esempio, se in altri sistemi giuridici ci sono dei modelli di interculturalità adatti anche alla nostra società».
All’inizio, tra gli studenti e le studentesse c’è stato un momento di spaesamento. Perché la loro è una generazione abituata sì al digitale, ma anche a molti anni di insegnamento tradizionale, che ha sempre chiesto tesine scritte e presentazioni. Il laboratorio è stato il terreno di prova per un modo nuovo di insegnare e di studiare. Un esempio di quella didattica innovativa che l’Ateneo sostiene anche nel suo nuovo Piano strategico.
Un primo successo didattico è la consapevolezza che si matura quando si prova a fare qualcosa. «La sfida per gli studenti e le studentesse è stata trovare un linguaggio adeguato – osserva Fasan. – Dovevano comunicare un tema in modo comprensibile e corretto. È una richiesta non facile, perché si deve padroneggiare molto bene l’argomento. Un dato interessante, dal punto di vista didattico, è che hanno capito come la divulgazione richieda molto studio e approfondimento». Ci si accorge ad esempio che le idee iniziali possono cambiare in corso d’opera: «Hanno verificato che fare sintesi è difficile, che un tema può essere troppo ampio e richiederebbe studi molto lunghi – nota Fasan. – E hanno visto che non tutti gli argomenti che ci vengono in mente sono sempre scientificamente sostenibili». Non solo: «Il laboratorio ha insegnato a orientarsi tra gli strumenti comunicativi, ha aumentato la capacità critica necessaria per capire se un prodotto di divulgazione è un buon prodotto», conferma Reale.
Questo modo di fare didattica è una sorpresa anche per chi insegna. «Insegnando, ci siamo appassionate ad argomenti che all’inizio ci sembravano poco adatti e che invece si sono rivelati davvero calzanti. Il tema dell’interculturalità, che è per sua natura interdisciplinare, si presta bene all’obiettivo delle nostre ricerche, che è il dialogo tra il diritto, i diritti e il tessuto sociale, tra lo strumento giuridico e la persona – concludono Fasan e Reale. – Alla fine, quello che ci piace del diritto è il suo essere uno strumento per lo sviluppo della persona in tutta la sua ricchezza».
La parola degli studenti e delle studentesse
Anche chi ha partecipato conferma l’efficacia di questa esperienza. Il Laboratorio sa «creare un’esperienza cooperativa e inclusiva tra studenti e studentesse e docenti», in cui si acquisiscono «conoscenze tecniche e nozionistiche, ma soprattutto la curiosità e la motivazione di apprendere. Abbiamo potuto progettare, sperimentare e acquisire un metodo di lavoro» (Martina Favia). «È stata un’esperienza interessante, dalla prospettiva di uno studente del primo anno: entrare in contatto con ricercatori che si approcciano a una forma di divulgazione innovativa. Un’occasione per “attivarsi”, sviluppare competenze espositive e collaborative». (Umberto Boco). «Abbiamo approfondito un tema che ha sempre catturato il nostro interesse. Siamo partiti con un sondaggio tra le stories di Instagram per poi far luce su un dibattito che ha avuto luogo anche in alcune sentenze. Con la nostra presentazione abbiamo cercato di offrire uno spunto di riflessione ai nostri colleghi» (Tommaso Casellato, Giulia Grillo e Martina Persenico).
Il “Laboratorio d’interculturalità: un approccio partecipativo (Learning by doing)” è stato organizzato nell’ambito delle attività di didattica innovativa della Facoltà di Giurisprudenza e delle riflessioni svolte nell’ambito di un progetto Prin coordinato a Trento da Cinzia Piciocchi, professoressa associata di Diritto pubblico comparato, “Dal pluralismo giuridico allo Stato interculturale. Statuti personali, deroghe al diritto comune e limiti inderogabili nello spazio giuridico europeo”. Il laboratorio, promosso dalla professoressa Cinzia Piciocchi, organizzato in venti ore ripartite in una parte di formazione teorica e una più pratica e operativa, ha visto la partecipazione di una ventina di studenti e studentesse, sotto la guida delle dottoresse Marta Fasan e Carla Maria Reale (in foto).