Il prossimo 12 giugno si vota per i cinque quesiti del Referendum sulla giustizia. Una buona occasione per approfondire l’istituto del referendum nella nostra storia e nella Costituzione italiana anche in vista della Festa della Repubblica del 2 giugno. Informarsi sul referendum è un modo per partecipare attivamente alla vita del nostro paese.
Il referendum abrogativo è un istituto di democrazia diretta previsto e disciplinato dall’articolo 75 della Costituzione della Repubblica italiana. Può essere richiesto da non meno di 500mila elettori o cinque consigli regionali.
Attraverso la consultazione referendaria, gli elettori e le elettrici possono recarsi alle urne per decretare l’abrogazione totale o parziale di una legge o di un atto avente forza di legge. Più precisamente, i cittadini e le cittadine esprimono una preferenza per il sì o per il no sugli appositi spazi delle schede elettorali. In tal modo, possono votare a favore o contro le proposte di abrogazione dei quesiti referendari pubblicati, prima della votazione, sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica.
Nel corso del tempo, anche se con consapevolezze e sensibilità molto diverse, il referendum abrogativo è entrato sempre più a far parte del dibattito giuridico, diventando parte integrante del nostro stesso modo di essere cittadini. La storia dei referendum abrogativi e, più in generale, quella di tutte le consultazioni referendarie, si lega, infatti, a doppio filo con alcuni dei più importanti momenti della nostra storia repubblicana.
E questo non solo perché la nostra Repubblica è nata da un referendum, quello, non abrogativo, bensì “istituzionale” del 2 giugno del 1946 di cui in questi giorni celebriamo la ricorrenza. Ma anche, e soprattutto, perché il referendum ha spesso accompagnato e consacrato dibattiti e svolte epocali, fin dalle prime volte in cui è stato indetto. Basti pensare, tra gli altri, ai referendum per l’abrogazione della legge sul divorzio, del finanziamento pubblico ai partiti o, ancora, della legge sull’interruzione volontaria di gravidanza. In anni più recenti, ha fatto molto discutere quello, approvato, per l’abrogazione delle norme che consentivano la produzione di energia nucleare sul territorio nazionale.
Il 12 giugno di quest’anno la storia del referendum abrogativo si arricchirà di un nuovo capitolo.
La Corte costituzionale ha infatti dichiarato ammissibili cinque dei sei quesiti promossi dai Consigli regionali di Lombardia, Basilicata, Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Liguria, Sicilia, Umbria, Veneto e Piemonte (sentenze 56, 57, 58, 59 e 60 del 2022).
Il giudizio di ammissibilità dei quesiti espresso dal giudice costituzionale è stato il passaggio formale decisivo per la convocazione della votazione referendaria. In circa mille Comuni italiani questo appuntamento coinciderà con le elezioni comunali.
Il primo quesito propone di abrogare la parte di un articolo in cui si dispone che le candidature per il Consiglio superiore della magistratura debbano essere presentate unitamente a una lista di magistrati sottoscrittori di non meno di 25 e di non più di 50 elementi. Il riferimento è l’art. 25, comma 3, della legge 24 marzo 1958, n. 195 relativa alle Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura.
Con il secondo quesito, i promotori chiedono l’abrogazione parziale di due disposizioni che attualmente escludono che i membri non togati dei consigli giudiziari possano partecipare alle discussioni e alle deliberazioni relative ai pareri sulla valutazione dei magistrati. Si tratta delle cosiddette “pagelle” che i consigli giudiziari trasmettono al CSM perché adotti i provvedimenti di sua competenza. È sottoposta a referendum l’abrogazione di parte degli articoli 8 e 16 del decreto legislativo 27 gennaio 2006, n. 25 recante Istituzione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e nuova disciplina dei consigli giudiziari.
Il terzo quesito riguarda il tema dibattuto della separazione delle carriere dei magistrati. Allo stato attuale, i magistrati e le magistrate possono, infatti, esercitare – sebbene non contemporaneamente – sia funzioni giudicanti, sia funzioni requirenti, vale a dire le attività di indagine e di impulso alla prosecuzione giudiziaria. Il riferimento qui è ai pubblici ministeri. Possono passare da una funzione all’altra nel rispetto di diversi limiti e preclusioni, che i promotori del referendum ritengono però insufficienti. Il quesito chiede dunque di eliminare tutti i punti del regio decreto del 30 gennaio 1941 (Legge sull’ordinamento giudiziario) che consentono ai magistrati di passare dall’esercizio di un tipo di funzioni a un altro.
Il quarto quesito si occupa di misure cautelari e riguarda l’art. 274 del Codice di procedura penale. In particolare, si chiede l’abrogazione di una parte della lettera c) del comma 1 che consente l’adozione di misure cautelari (custodia cautelare e altre misure) nell’ipotesi in cui sussista il rischio che l’indagato o l’imputato possano reiterare il reato. Restano ferme il pericolo di fuga dell’indagato o dell’imputato e tutte le altre ipotesi per cui l’art. 274 prevede la possibilità di adottare misure cautelari.
Il quinto e ultimo quesito si propone invece l’abrogazione totale della Legge Severino (n. 235 del 2012). Questo decreto legislativo prende il nome dall’ex ministra della Giustizia, Paola Severino. Disciplina le ipotesi di incandidabilità, ineleggibilità e decadenza dei parlamentari, dei membri del governo e degli amministratori regionali e locali che abbiano conseguito condanne penali. Se approvato, verrebbero a cadere tutte le cause di incandidabilità, ineleggibilità e decadenza dagli incarichi che attualmente colpiscono parlamentari e amministratori condannati per delitti puniti con la reclusione superiore ai due anni o commessi con abuso di poteri o violazione di doveri inerenti alla carica.