Alice Acquadro, Elena Capobianco ed Emanuela Gasparro, prima di cominciare la magistrale in Storia dell’arte e Studi museali a Trento, avevano fatto percorsi piuttosto diversi. La prima frequentava un corso triennale in beni culturali con un curriculum geografico-paesaggistico, la seconda aveva studiato culture e pratiche della moda, mentre la terza aveva una triennale in storia dell’arte. In comune, avevano la passione per l’arte in tutte le sue forme. Una passione che le ha portate a partecipare all’Officina espositiva, un progetto che permette alla comunità studentesca di Beni culturali e della magistrale di Storia dell’arte e Studi museali di provare in prima persona cosa significa lavorare nell’ambito della curatela museale. UniTrentoMag racconta l’esperienza delle prime tre studentesse che hanno curato la prima mostra del progetto.
«L’Officina è nata con uno scopo preciso: avvicinare studenti e studentesse alla prassi espositiva», spiega Denis Viva, docente di Storia dell’arte contemporanea e responsabile del progetto. «Con la nascita della nuova magistrale in Storia dell’arte e studi museali, era cruciale creare occasioni per fare esperienza diretta nella curatela delle mostre, con conferenze workshop e tirocini. Così, a ottobre 2022 è stata attivata ufficialmente l’Officina espositiva, grazie ai finanziamenti del piano strategico triennale del Dipartimento di Lettere e Filosofia».
Il primo degli stage interni del progetto è stato proprio quello a cui hanno partecipato Alice, Elena ed Emanuela, che hanno lavorato assieme per organizzare la mostra "Punti di vista. Catturare le memorie di un luogo". Si tratta di un percorso fotografico sulla Val di Peio, in cui, sopra sedici leggii, numerose fotografie storiche erano accostate ad altrettante foto contemporanee scattate da Claudia Marini. A seguire le studentesse, Roberta Opassi dell’Archivio fotografico storico provinciale, che ha spiegato loro come realizzare un’esposizione, passo dopo passo.
Scegliere le foto da esporre, decidere come esporle, registrarle e descriverle nel catalogo della mostra e sulle didascalie: le tre studentesse hanno curato il percorso espositivo sotto ogni aspetto. «Nella prima parte del progetto abbiamo selezionato noi le foto d’archivio, secondo il nostro gusto curatoriale», racconta Alice. «Poi, è iniziata una fase molto diversa, quella del confronto diretto con l’artista. Per la selezione delle sue foto era necessario rispettare la poetica alla base dei suoi lavori. Dopo, sotto la supervisione della dottoressa Opassi, abbiamo seguito tutti i passi che portano alla realizzazione di una mostra. Ci ha sorpreso soprattutto come il lavoro di curatela non finisca appena un’esposizione è completa. Da lì inizia un lavoro impegnativo di comunicazione e relazione con il pubblico, ad esempio con le visite guidate».
L’Officina espositiva non insegna solo a organizzare un’esposizione artistica: le tre studentesse hanno imparato a lavorare in squadra e a conciliare punti di vista differenti. «Il nostro è stato un lavoro corale», dice Emanuela. «Su alcune scelte ci siamo trovate immediatamente d’accordo, mentre su altre abbiamo dovuto discutere a lungo. Non dovevamo conciliare solo le nostre visioni, ma confrontarci anche con quelle dell’artista, che andavano sempre rispettate. Dal momento che veniamo da corsi di laurea diversi abbiamo anche una diversa concezione della curatela: imparare a lavorare assieme e coordinare i nostri punti di vista è stato fondamentale per la buona riuscita della mostra».
Nell’ambito dell’Officina, i concetti teorici affrontati in aula vengono integrati dall’esperienza diretta di cura museale, dove non mancano gli imprevisti. «Lo studio teorico dà sicuramente una buona base di partenza», continua Elena. «Ma nessun corso può prepararti per un lavoro complesso come quello che serve a organizzare un percorso espositivo. Per esempio, all’università siamo abituate a scrivere relazioni e testi con uno stile rigoroso e accademico. Per una mostra, invece, è necessario scrivere didascalie non solo scientificamente corrette, ma anche accessibili e chiare per il pubblico. Abbiamo anche imparato a confrontarci con gli imprevisti. Dal momento che la mostra si doveva tenere dentro la Biblioteca universitaria centrale non potevamo modificare l’illuminazione della biblioteca per far risaltare meglio le opere esposte: quindi ci siamo dovute adattare e abbiamo capito come gestire al meglio lo spazio a disposizione».
Ma le attività dell’Officina espositiva non si fermeranno alla mostra su Peio. Già sei tra studenti e studentesse hanno inviato la loro candidatura per un futuro tirocinio, mentre due studentesse, Emanuela Lo Carmine e Giulia Bellin, sono già al lavoro per organizzare un’esposizione fotografica che si terrà a settembre nel Dipartimento di Lettere e Filosofia. «Saranno esposti una ventina di ritratti, in cui diversi membri della comunità universitaria sono fotografati su sfondo neutro», spiega ancora Viva. «Non è un’esposizione narrativa, ma un modo con cui la comunità universitaria si autorappresenta, ed è consapevole di essere un gruppo fluido e intrecciato di persone che lavorano a dei fini comuni. Le foto saranno realizzate da Paolo Chistè, tecnico fotografo del Dipartimento, mentre due studentesse lavoreranno con lui per realizzare concretamente la mostra».