C’è chi si avvicina al teatro fin dalla scuola, partecipa a tutte le recite e a distanza di anni ancora ricorda che ruolo aveva, com’era la scena, se era più la paura o la curiosità. C’è chi non metterebbe mai piede su un palcoscenico ma adora quell’atmosfera e si confonde nel pubblico. Poi, c’è chi pensa che il teatro sia una buona opportunità per imparare a parlare in pubblico, per muoversi nello spazio con più sicurezza, per modulare la voce in modo consapevole, per imparare la respirazione diaframmatica, quella con la pancia. Abbiamo chiesto a quattro docenti, ricercatori e ricercatrici dell’Università di Trento di raccontarci la loro esperienza sopra un palco e sotto ai riflettori.
«Quando ho visto per la prima volta un Open Mike, ho pensato: voglio farlo anch'io. E quindi mi sono buttata ed è stata una bellissima esperienza», racconta Camilla Fiorello, dottoranda al Dipartimento di Fisica. «È stato bello preparare la storia, è stato bello il clima che si è creato nel gruppo, un momento intenso di condivisione anche con il pubblico». La dottoranda ha partecipato al Teatro della Meraviglia e a Open Mike, esperienze proposte dall’Università insieme alla compagnia teatrale Arditodesìo. «Preparare lo spettacolo è stato bellissimo: trasformare una storia – che è la tua storia – in uno spettacolo. Non ho rivisto la mia vita da un altro punto di vista - perché quella storia l’ho scritta io. E della mia storia ne sono consapevole. Però, pensare: come la si può rendere fruibile per il pubblico? Andare in scena, poi, è un impatto molto forte. E se inciampo e cado sul palco? E se mi dimentico qualcosa? Poi, ogni volta che salgo sul palco scopro emozioni diverse. C’è un rimando da parte del pubblico, si sente proprio la connessione. Mi sono trovata molto più insicura e molto più emozionata la seconda volta che sono andata in scena: teatro diverso, pubblico diverso. È impegnativo. Prima di salire sul palco ogni volta vorrei veramente andarmene: “ciao a tutti, è stato un piacere”. Un po’ come prima di un esame». Ma poi Camilla Fiorello si diverte e torna sul palco e racconta una storia che parla anche di errori. Ne facciamo tutti, spesso li nascondiamo.
Ad avvicinare al teatro Fabrizio Costa, docente del Centro agricoltura alimenti ambiente, è stata la curiosità. «Quando ho iniziato a lavorare all’Università, nessuno mi ha insegnato come si fa lezione. Per non parlare di didattica innovativa come ci viene richiesto oggi. Io certo, ero abituato a parlare in pubblico, ai convegni, però mi sono reso conto subito, quando ho iniziato a insegnare, che parlare a una classe di studenti e studentesse è completamente diverso. Parlare per due o tre ore non è facile perché posso raccontare delle cose ma non posso farlo in modo noioso altrimenti perdo l’attenzione. E questo succede: tu vedi uno che inizia a divagare con gli occhi, guarda il cellulare, fissa il lampadario e l’effetto su chi sta parlando è molto diverso rispetto a una classe attenta che ha gli occhi su di te». Anche per lui, fare un’esperienza di teatro è stato interessante e molto utile. «Quello che ho imparato, lo sto portando anche a lezione. Quando salgo in cattedra, la cattedra è un palcoscenico e chi siede tra i banchi è il mio pubblico, anzi è un pubblico speciale, talvolta spietato. Un pubblico molto particolare: perché ha pagato delle tasse, è numeroso, arriva con aspettative diverse. In una classe posso avere 60-70 persone. Quindi è davvero come salire su un palcoscenico».
Di pubblici, al plurale, parla Lucia Rodler, docente del Dipartimento di Psicologia e Scienze cognitive. È un tema che le sta a cuore. «Il linguaggio dev’essere più semplice, più chiaro. Dobbiamo rivedere i nostri linguaggi perché, se parliamo solo agli addetti ai lavori, non possiamo poi lamentarci che le nostre discipline – io parlo della letteratura, di quello che insegno – vengano percepite come qualcosa “fuori moda”, lontano, inaccessibile. A teatro noi abbiamo un pubblico variegato, per cui quando racconto ciò di cui mi occupo - che è la critica letteraria e la storia della letteratura - a persone che hanno diverse competenze, mi devo mettere in gioco in modo diverso. Per comunicare la scienza non possiamo più fare riferimento a un modello top-down, dobbiamo invitare alla partecipazione, alla responsabilità condivisa. E per fare questo, dobbiamo imparare a parlare alle persone. Fare teatro è un’ottima occasione per allenarsi a farlo in modo non astratto ma in concreto, facendo esperienza».
E proprio ripensando alla sua esperienza di teatro, Federico Puppo, docente alla Facoltà di Giurisprudenza, fa riferimento a un lavoro di introspezione. Serve prima di tutto «interrogarsi su come sono andate certe cose, nella propria vita, o su come possono andare, per cercare di mettere insieme – a volte uno se lo dimentica – ciò che si fa come lavoro con ciò che si è. E quando si trova l’anello tra la propria professione e il modo di viverla, questo può diventare interessante anche per altri». È così che ha raccontato dell’incontro tra Platone, Socrate e poi Aristotele. «È stato un modo per spiegare come gli incontri che noi facciamo nella nostra storia personale formano in qualche modo anche il destino, o la traiettoria personale, di ogni ricercatore e quindi la nostra vita accademica è fatta anche di relazioni personali che nascono, si intrecciano, si complicano, si sfilacciano, a volte. Ho raccontato di ciò che, dal punto di vista della nostra tradizione, è stato riconosciuto come l’origine dell’esperienza filosofica, cioè il senso della meraviglia. Quindi ho parlato di filosofia del diritto, ciò di cui mi occupo, attraverso una storia».
La settima edizione del Teatro della Meraviglia è andata in scena dal 15 al 25 novembre 2023. La quinta edizione di Open Mike si concluderà il 19 aprile, al Teatro Portland, al termine di un percorso di formazione dedicato alla comunicazione della scienza a cui stanno partecipando docenti, ricercatrici e ricercatori dell’Università di Trento, sotto la guida di Andrea Brunello. Il percorso prevede cinque incontri: è come una palestra in cui ci si allena per costruire storie di vita e di scienza. Lo spettacolo finale permette al pubblico di entrare in contatto con la scienza in modo diverso.