Una bilancia, simbolo della Giustizia. Immagine da Adobe Stock

Formazione

La palestra delle professioni legali

Il progetto Legal Training ha coinvolto studenti e studentesse in un viaggio alla scoperta dei ruoli processuali

22 maggio 2024
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di Daniele Santuliana
Ufficio Stampa e Relazioni esterne

Sempre più la didattica ricorre a metodologie “on the job”, pensate per permettere a studentesse e studenti di “mettere le mani in pasta” e sperimentarsi nei ruoli professionali che in futuro potrebbero ricoprire. La Facoltà di Giurisprudenza ha proposto all’interno del corso in Teoria e tecnica dell’argomentazione giuridica un modulo sperimentale di “Legal Training”, un vero e proprio allenamento per entrare in contatto con le professioni legali e approfondire i ruoli processuali.

«Il progetto – spiega Maurizio Manzin, ordinario di Filosofia del Diritto e titolare del corso – rappresenta l’evoluzione di un’idea nata alcuni anni fa, quando facevo partecipare alle udienze processuali chi frequentava il mio corso. Lo scorso anno, abbiamo partecipato a un bando di FormID (il Teaching and Learning Center dell’Università di Trento, ndr) che ci ha permesso di approfondire quell’esperienza, organizzando stavolta un vero e proprio addestramento al processo».

Il programma del corso prevedeva un modulo iniziale sulle competenze di base necessarie per muoversi in ambito di argomentazione giuridica, per coinvolgere poi un gruppo di studenti e studentesse – una ventina circa – in un lavoro strutturato che li vedesse non spettatori, ma protagonisti.

«Abbiamo avuto la possibilità – prosegue Manzin – di coinvolgere alcune persone con grande esperienza in ambito giuridico: Sandro Raimondi, procuratore capo distrettuale di Trento, Eugenio Gramola, presidente della Corte d'Appello di Trento, e Emanuele Fragasso jr, avvocato del Foro di Padova. A loro abbiamo chiesto non di tenere lezioni teoriche, ma di raccontare il dietro le quinte di un processo dal punto di vista dei rispettivi ruoli. È stato davvero entusiasmante vederli così disponibili e coinvolti».

Dopo i loro interventi, è arrivato il momento di passare dalla teoria alla pratica. Il gruppo si è diviso in tre sotto-gruppi: quello con la funzione di "giudice", coordinato da Mattia Arcolin, quello dell'"avvocato", con la coordinatrice Giulia Bertocchi, e quello del "pubblico ministero", guidato da Antonia Bressan.

Il caso su cui si sono confrontati i tre gruppi – un caso reale ma con dati anonimizzati – riguardava una disputa di vicinato per la potatura di alcuni alberi da giardino, una fattispecie che integrava due reati, danneggiamento ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni. I tre gruppi potevano contare su altrettanti facilitatori: Manzin stesso, Federico Casa, associato a Giurisprudenza, e Serena Tomasi, ricercatrice del dipartimento e co-organizzatrice dell’iniziativa. Ogni team ha poi prodotto un unico elaborato, esaminato in sede di valutazione.

Come è andato questo lavoro collettivo per chi ha coordinato i tre gruppi? «Inizialmente non è stato semplice», spiega Giulia Bertocchi. «La teoria ci prepara a partire dalle norme, ma in questo caso era necessario ribaltare la prospettiva, cioè capire bene la vicenda oggetto del processo, per poi lavorare a una strategia difensiva». «In principio, è stato difficile trovare un metodo che andasse bene a tutti i componenti del gruppo», continua Mattia Arcolin. «Il caso era abbastanza complesso, basato su un cavillo. Il gruppo era eterogeneo e ognuno e ognuna ha portato il proprio approccio. La soddisfazione è stata quella di riuscire a lavorare insieme e di trovare un punto comune».

E qual è stato l’esito del processo? Chi ha vinto? «Non possiamo parlare di vincitori o vinti – risponde Manzin – non si trattava di una gara di retorica o di una Moot Court (la simulazione di un procedimento giudiziario utilizzata in alcune scuole di Legge anglosassoni, ndr). L’obiettivo era quello di dare la possibilità di uscire dai libri e confrontarsi con una situazione reale».

Le ultime due ore del modulo sono state dedicate a un brainstorming in cui ogni componente del gruppo poteva svestire il proprio ruolo (pm, giudice o avvocato) per portare le proprie idee o le proprie domande all’interno del dibattito.

Questo esperimento non resterà però un unicum. FormID ha finanziato l’iniziativa per un biennio, quindi ci sarà di certo un’edizione 2025. «I feedback di chi ha partecipato a questa prima edizione sono stati tutti molto positivi. Ci piacerebbe però potenziare ancora di più la formula, ad esempio aumentando il numero delle ore a disposizione dei tre gruppi per lavorare sul caso, oppure introducendo un quarto gruppo in rappresentanza dell’avvocato civilista», conclude Manzin.