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Dagli acquedotti romani al gemello digitale a scopi diagnostici. Con Marco Tubino lungo le vie della meccanica dei fluidi

30 maggio 2024
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di Camilla Pelizzari
Studentessa collaboratrice Ufficio stampa e relazioni esterne

Molto antica, eppure sempre nuova e inesplorata. Già le civiltà antiche studiavano il moto dell’acqua per la progettazione di opere per la protezione idraulica e l’approvvigionamento idrico. Tuttavia, nel corso del tempo, le frontiere della ricerca si sono ampliate molto e ora lambiscono ambiti fino a pochi decenni fa del tutto inaspettati. Abbiamo fatto il punto sulla meccanica dei fluidi con Marco Tubino, professore di idrodinamica al Dipartimento di Ingegneria civile ambientale e meccanica (Dicam) dell’Università di Trento.

Le applicazioni che rientrano nei settori classici della disciplina – racconta Tubino - sono quelle connesse al moto e alla disponibilità di acqua e aria.  Le declinazioni possibili sono molteplici e, anche nel caso di sistemi apparentemente consolidati, la ricerca ha ancora margine di manovra per migliorare le tecnologie esistenti. Gli impianti di distribuzione dell’acqua come gli acquedotti ne sono un esempio: progettati sin dall’antichità, ma da rendere più efficienti nell’ambito in un contesto di scarsità della risorsa legato ai cambiamenti climatici.

Altri campi di applicazione – prosegue Tubino - afferiscono al fronte ambientale, a cominciare dallo studio dei processi di trasporto degli inquinanti e di rilevamento e cattura dell’anidride carbonica nell’aria. Le conoscenze della meccanica dei fluidi si sono rivelate indispensabili poi sul fronte delle energie rinnovabili. Parlando, ad esempio, di produzione di energia eolica, si ha a che fare con l’interazione tra una macchina e un fluido, l’aria. Un’altra sfida per la disciplina attiene a uno studio più organico e sistematico delle interazioni che avvengono nei corpi idrici naturali tra il movimento dell’acqua, il suolo, il letto degli alvei e gli esseri viventi, come pesci e invertebrati, o le piante, che concorrono a dare forma ai corpi idrici stessi e ai loro ecosistemi, insieme all’azione della corrente.

Di rilievo poi il contributo della meccanica dei fluidi alla ricerca di soluzioni a problemi legati alle calamità ambientali e alla mitigazione dell’impatto causato dal cambiamento climatico. «Lavoriamo soprattutto per la prevenzione del rischio alluvionale. In tal senso, è molto importante creare sistemi di modellazione efficaci, per sviluppare strumenti adeguati alla gestione delle emergenze. L’ingegnere esperto di meccanica dei fluidi è una figura di rilievo a livello sociale perché dà il suo apporto nella redazione di piani di valutazione ambientale, anche in contesti locali» riferisce Tubino. Una figura che è e resta insostituibile. «Vista la grande quantità di dati che abbiamo oggi a disposizione, si pensa che questo basti; tuttavia, la capacità di interpretazione attraverso l’intelligenza umana resta imprescindibile», precisa Tubino.

Una tappa importante nell’evoluzione di questa disciplina antica avviene recentemente. «È chiaro come buona parte della fisiologia umana, dal sangue al liquido oculare, sia legata al movimento di fluidi. Di conseguenza, si è iniziato a esplorare questo versante a scopi diagnostici e per la comprensione dell’origine delle malattie, specialmente a supporto di alcuni comparti, quali la chirurgia vascolare. Un progetto più trasversale riguarda la costruzione del “gemello digitale” di un sistema naturale reale che ne riproduca il comportamento e il funzionamento per sviluppare un modello utile alle attività di ricerca. In ambito medico questo strumento ha notevoli potenzialità per diagnosi e cure».

Per quanto riguarda la didattica, l’obiettivo è trasmettere la complessità della materia, via via più sfaccettata, senza trascurare i fondamenti sempre validi, che ne costituiscono la spina dorsale. Vista l’eterogeneità delle applicazioni possibili, la meccanica dei fluidi è un corso alla base della formazione di studentesse e studenti di tutte le branche dell’ingegneria, benché sia interesse d’elezione per l’ambito civile-ambientale. Racconta Tubino: «Come UniTrento cerchiamo di far sperimentare agli alunni un’attività formativa non convenzionale. Come la “settimana sul campo” a Mantova, in un sito idraulicamente complesso, per fare misurazioni e incontrare esperti nel settore», o interi corsi a taglio pratico e progettuale che vedono studentesse e studenti all’opera in contesti di cooperazione internazionale, soprattutto Balcani e Africa, ormai da più di 15 anni.

La condivisione del sapere è fondamentale e occasioni come le Giornate della meccanica dei fluidi che si sono tenute all’Università di Trento nei giorni scorsi sono preziose. «È stato un successo. Tutte e 45 le sedi italiane dove si fa formazione sulla meccanica dei fluidi erano rappresentate e alla fine eravamo circa una settantina di persone. Scambiarsi esperienze e pensieri su ciò che oggi è importante insegnare e su come lo si insegna è fondamentale» commenta.

Il confronto è indispensabile soprattutto per dottorandi e dottorande attivi nella ricerca. Oggi le maggiori opportunità di dialogo tra giovani ricercatori e ricercatrici avvengono in convegni internazionali; tuttavia, sarebbe importante che la comunità nazionale, che condivide obiettivi di ricerca, possa avere dei momenti in cui interagire. «Lo scorso anno abbiamo attivato un sito (la Rete italiana della meccanica dei fluidi) con l’idea di creare una finestra per tutti i dottorandi, come strumento di dialogo in cui condividere un’immagine e una sintesi della propria ricerca. Sono già un centinaio i giovani coinvolti», spiega il professore.

Tubino, rivolgendosi ai colleghi e alle colleghe del proprio settore, sottolinea: «Una questione importante per il futuro della nostra disciplina riguarda la comunicazione: è necessario migliorare la nostra presenza a livello mediatico, per veicolare messaggi chiari e corretti, specialmente in merito alla gestione delle emergenze del nostro tempo. Negli anni, le alluvioni di Genova e dell’Emilia-Romagna hanno avuto un esito più drammatico perché le persone non sapevano come agire».