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Formazione

Parlare di soldi non è (ancora) una cosa da donne

In Italia c’è un gender gap nell’alfabetizzazione finanziaria. Le conseguenze sono pesanti. Le esperte: “Partire dalla scuola”

30 ottobre 2024
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Paola Siano
Ufficio Stampa e Relazioni esterne

Si conclude, con la giornata del risparmio il 31 ottobre, il mese dell’educazione finanziaria. Occasione per discutere di quanto, nella popolazione italiana in generale, sia sentito il tema della conoscenza e della consapevolezza degli strumenti di finanza. Nel parlarne, emerge un chiaro divario di genere non solo nell’interesse verso questa materia ma anche nelle conseguenze che una scarsa capacità di gestione delle finanze ha, in particolare sulle donne. Ma qualcosa sta cambiando. Ne parliamo con Roberta Cuel professoressa di Organizzazione aziendale e Lucia Savadori che insegna Psicologia generale, entrambe afferenti al Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Trento.

A guardare l’ultimo report della Banca d’Italia la situazione è tutt’altro che confortante. Rispetto al 2020 le persone italiane hanno migliorato la capacità di gestire le risorse finanziarie (fissare obiettivi, esser puntuali nei pagamenti) e l’orientamento al risparmio, ma hanno peggiorato la familiarità con concetti come inflazione, tasso di interesse, diversificazione del rischio. Se si scorrono le tabelle Ocse nell’ultimo studio del 2023, poi, lo scenario rispetto ai Paesi avanzati è demoralizzante. In alfabetizzazione finanziaria, il voto dell’Italia è 53 (su 100) contro una media Ocse di 63. La Germania prende 76, la Francia 62. A condizionare il livello di disinformazione sono principalmente due aspetti: uno culturale, l’altro psicologico. «Per quanto riguarda il primo, come è emerso anche dal convegno dedicato a questi argomenti al Dem, l’indagine Ocse Pisa dimostra che uomini e donne ritengono che gli argomenti finanziari siano molto importanti. Emerge però poi un gap quando si chiede loro se c’è interesse a parlare di queste tematiche. Più del 50 per cento degli uomini risponde di sì. Per le donne il valore è al di sotto del 30 per cento. Anche sulla financial literacy gli uomini hanno un livello di preparazione più alto. Questo sembra dimostrare che il denaro non è un argomento da donne», riflette Roberta Cuel. Dal punto di vista psicologico invece, la questione è legata al fatto che il tema della finanza si intreccia sempre di più con la matematica e, si sa, questa è una materia di studio che soffre dell’assenza femminile. Ma non solo. Secondo lo stesso studio Ocse Pisa, le ragazze si sentono meno sicure nella gestione del denaro, nel trattamento dei dati personali e dei pagamenti online. «Come se non fossero pronte. Forse perché hanno meno confidenza con questi strumenti. Se c'è meno conoscenza c’è anche meno sicurezza», commenta Cuel. «Il punto principale - osserva Lucia Savadori – è che le donne quando rispondono alle indagini spesso scelgono l'opzione non so. Dimostrando quindi non soltanto una peggiore conoscenza, ma un'insicurezza riguardo alla loro conoscenza. Per questo motivo è importante promuovere delle politiche che avvicinino le donne fin dall’adolescenza agli aspetti della finanza. Non tanto per colmare una lacuna informativa bensì una loro insicurezza». Azioni di stimolo che potrebbero partire dal mettere in luce esempi positivi di donne manager, a capo di società di investimenti, impegnate nella finanza. «Bisogna capire che appianare questa differenza di genere crea delle opportunità. Che non sono solo nel ricoprire ruoli di rilievo nell'ambito manageriale in generale, ma anche per le finanze familiari, per l'autonomia e per la completa indipendenza economica», sottolinea ancora Savadori. Le donne che hanno una bassa conoscenza finanziaria hanno infatti anche una minore autonomia. E in un contesto di violenza domestica questa scarsa indipendenza aggrava ulteriormente la condizione di chi subisce maltrattamenti. In alcuni casi la violenza economica inizia prima di quella fisica. È già una forma di controllo. «In Italia il 37% delle donne non ha un conto corrente» spiega la professoressa Cuel che ricorda il manuale online di prevenzione della violenza economica. Uno strumento, realizzato da Abi e Fondazione per l’educazione finanziaria e al risparmio (FEduF). «Attraverso alcune semplici domande aiuta a riconoscere il fenomeno della violenza economica. Anche se – sottolinea la docente che è anche presidente del Comitato unico di Garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni di Ateneo – per fare prevenzione e sensibilizzazione non bisogna solo concentrarsi sulle donne o sugli uomini, ma anche sui professionisti del settore finanziario (banche, assicurazioni, ecc.), perché siano in grado di riconoscere i comportamenti deviati». Le conseguenze a lungo termine di questa carenza di preparazione si fanno sentire a livello di pensioni, di salari, di scelte assicurative. «Ci sono delle ricerche che mostrano che le persone con un'alfabetizzazione finanziaria più alta sono più felici e più in salute – dice la professoressa Savadori che prosegue –queste competenze hanno un impatto non soltanto sul fronte finanziario e pensionistico, ma anche sul benessere. In età adulta la realizzazione del sé avviene anche grazie a un'indipendenza finanziaria, a una capacità decisionale autonoma». Un altro aspetto da non sottovalutare che emerge da questa analisi è l’accesso alle nuove tecnologie. Gli strumenti finanziari viaggiano sempre di più online. Fare investimenti sbagliati con un click è un rischio che si nasconde dietro l’angolo. Aumentano anche le truffe e le false prospettive di facili guadagni. Non solo. Alle nuove generazioni piace il denaro, ma queste sono anche più vulnerabili. «Oggi in quasi tutti i videogiochi – spiega Lucia Savadori – ci sono degli acquisti-in-game  per poter avanzare di livello comprando “abilità”. Per farlo, c’è bisogno di un conto corrente collegato. È un grande business». La situazione però sembra stia evolvendo.  Con la legge n. 21/2024 l’educazione finanziaria dovrebbe diventare materia didattica in tutti gli istituti scolastici. Un primo passo verso una maggiore conoscenza di questi argomenti. Perché è proprio dalla scuola che deve partire il cambiamento. «L’unico modo per spingere l’alfabetizzazione finanziaria è farla studiare a scuola – affermano le due professoresse – a partire dalle superiori e forse anche prima». Perché non è sbagliato parlare di soldi. «Il fatto di permettere alle persone, ai bambini e alle bambine di capire il valore delle cose che hanno e che queste se le devono guadagnare è importante», conclude Roberta Cuel. Il Dipartimento di Economia e Management organizza percorsi di educazione finanziaria con le scuole, come abbiamo già raccontato in questo articolo ed ha inserito, nel catalogo delle proposte di alternanza scuola-lavoro, un "Percorso di Alfabetizzazione Economica e Finanziaria", che si terrà a giugno.