Quale è il rapporto tra diritto e biotecnologie? L’avanzamento tecnologico è un nuovo potere? È ragionevole porre limiti alla scienza per tutelare i diritti fondamentali?
Questi sono alcuni degli interrogativi al centro della lezione tenuta, il 30 marzo scorso, dal professor Lorenzo d’Avack invitato dal professor Carlo Casonato per l’inaugurazione del corso di Biodiritto presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Ateneo. Lorenzo d’Avack è professore ordinario di Filosofia del diritto presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Roma Tre e vicepresidente vicario del Comitato Nazionale per la Bioetica.
Il ruolo del diritto è quello di imprimere un ordine ai fenomeni sociali, al fine di prevenire e sedare i conflitti. Il ritmo sempre più frenetico delle innovazioni tecnologiche sta mutando profondamente la società, offrendo nuove possibilità che solo fino a pochi anni fa erano del tutto inconcepibili. Tutto ciò impone al giurista di riconsiderare gli istituti tradizionali (si pensi alle nuove dimensioni della genitorialità che vanno delineandosi come conseguenza dell’impiego delle tecnologie riproduttive) e di rivalutare le modalità di tutela dei diritti fondamentali e i limiti alle libertà.
Perché regolamentare le biotecnologie?
Le terribili esperienze vissute dall’umanità durante il secondo conflitto mondiale (l’avvento dei regimi totalitari, la negazione di diritti e libertà fondamentali, le sperimentazioni sull’essere umano senza alcun rispetto per la persona) hanno portato alla proclamazione dell’intangibilità della dignità umana. Il rispetto e la tutela della persona sono un dovere primario degli Stati. Parallelamente alla protezione della dignità, le carte dei diritti contemporanee affermano anche la libertà della scienza. Per esempio, la nostra Costituzione promuove lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica (art. 9) e proclama la libertà della scienza e del suo insegnamento (art. 33).
La scienza è, dunque, uno strumento a beneficio dell’uomo, un mezzo per migliorare le condizioni e le prospettive di vita, è il tramite per l’elevazione della dignità della persona. Ma è davvero sempre così?
L’importanza del ruolo delle scienze per la società contemporanea è ormai divenuta tale che è impossibile pensare di fare a meno di esse, di limitare il loro impatto nella nostra vita. Non si può, quindi, non prendere atto del potere che oggi le biotecnologie esercitano sulla regolazione dei rapporti umani.
Dal punto di vista giuridico, il concetto di potere implica necessariamente l’impiego di una forza, la capacità di plasmare la realtà circostante e di mutare l’assetto delle relazioni fra i soggetti. Se è innegabile riscontrare queste caratteristiche nel mutamento che il progresso scientifico sta imprimendo ai rapporti umani, è altrettanto vero che è necessario individuare un equilibrio fra i poteri, una reciproca limitazione delle forze, cosicché nessuna prevalga in modo incontrollato sulle altre. Ed è proprio questa la sfida più impegnativa che gli ordinamenti giuridici devono oggi fronteggiare. Il potere delle biotecnologie supera i confini nazionali, trascende le barriere linguistiche e culturali e travolge i paradigmi tradizionali del diritto. Si può quindi parlare di una vera e propria “rivoluzione delle biotecnologie” che, come ogni altra grande rivoluzione del passato, evoca la necessità di rivendicare la tutela dei diritti fondamentali, quale giusta via per una bilanciata limitazione dei nuovi poteri che si stanno affermando. Ma la strada per giungere ad una corretta ponderazione di tutti gli interessi in gioco non può che transitare attraverso la limitazione di alcuni diritti.
Porre limiti alle biotecnologie è ancora più complicato perché è il cittadino stesso a cedere consapevolmente parte della propria libertà a favore della scienza; per esempio, ogni giorno rinunciamo ad ampie fette del nostro diritto alla riservatezza per internet, i social network e le tecnologie digitali. Il mondo del diritto, per arginare i conflitti che possono insorgere, deve rendersi responsabile di conciliare il progresso scientifico con i principi fondativi dell’ordinamento giuridico esistente, tutelando al contempo persone e scienza.
Come delineare, dunque, nuovi limiti? Come garantire il rispetto delle inclinazioni morali di ogni individuo, quale realizzazione della dignità umana? Il raggiungimento di uno stabile punto di equilibrio è reso ancor più complesso dalla velocità dello sviluppo scientifico e dal ritardo cronico del diritto nell’affrontare le nuove questioni scientifiche.
Dalla prevenzione dei conflitti, quindi, il focus si sposta sulla loro risoluzione. Tale compito è affidato alla giurisdizione che gioca ormai un ruolo sempre più determinante, perché in Italia deve sopperire a una mancante o carente regolamentazione del rapporto tra scienza e diritti fondamentali e si trova quindi in prima linea nella gestione di tali conflitti.