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Formazione

Suicidio medicalmente assistito

Il parere del Comitato Nazionale per la Bioetica. Intervista a Carlo Casonato

13 settembre 2019
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di Marinella Daidone
Lavora presso l’Ufficio Web, social media e produzione video dell’Università di Trento.

Il tema del suicidio assistito è diventato oggetto di dibattito e di cronache giornalistiche con il caso di Marco Cappato, il leader dell’associazione Luca Coscioni sotto processo per aver aiutato Fabiano Antoniani (meglio noto come Dj Fabo) a porre fine, in Svizzera, alla sua vita.

La Corte costituzionale, interpellata, ha rinviato di un anno la sua decisione con il fine dichiarato di rimettere al Parlamento il compito di adeguare l’ordinamento alla Costituzione. Il Parlamento non ha ancora legiferato in tal senso, ma un parere autorevole è arrivato lo scorso 18 luglio dal Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB). 

Ne abbiamo parlato con Carlo Casonato, professore ordinario di Diritto costituzionale comparato dell’Università di Trento e membro del CNB.

Professor Casonato, il Comitato Nazionale per la Bioetica ha svolto alcune riflessioni sull’aiuto al suicidio, un tema delicato e controverso. Ce ne può parlare? Carlo Casonato

Fra i compiti del CNB c’è quello di incentivare la discussione pubblica su tematiche eticamente complesse e divisive e quello di offrire una consulenza alle decisioni politiche.

Visto che la Corte costituzionale, nell’ottobre del 2018, ha riconosciuto, ma non dichiarato formalmente, che il divieto assoluto di aiuto al suicidio (previsto all’art. 580 del codice penale) è illegittimo, abbiamo deciso di trattare questo tema, proprio per contribuire al dibattito pubblico e alle riflessioni che dovranno svolgere la Corte costituzionale e il Parlamento.

Il Comitato si è mosso fin dal principio nella consapevolezza della diversità degli orientamenti che esistono sia al proprio interno sia nella società.

All’interno del Comitato, infatti, si sono riscontrate opinioni diverse. Ci può accennare le ragioni dei pro e dei contro in merito al suicidio medicalmente assistito?

Il parere è stato spesso presentato come se sostenesse una sola posizione, quella favorevole all’aiuto medico al suicidio. Questo è un grave fraintendimento perché, in realtà, vi sono tre posizioni.

La prima è quella contraria alla legittimazione, sia etica che giuridica, del suicidio medicalmente assistito e si basa sulla difesa assoluta del bene vita.

La seconda, a cui ho aderito, ritiene che, a determinate condizioni, la tutela della vita vada bilanciata con altri beni rilevanti, come l’autodeterminazione del paziente e la dignità della persona.

La terza ritiene che, a determinate condizioni, l’aiuto al suicidio possa essere eticamente lecito, ma si oppone a un suo riconoscimento giuridico a motivo dei rischi di possibili abusi.

In ogni caso, siamo stati d’accordo nel ritenere fondamentale il potenziamento delle cure palliative e la necessità di un’ampia partecipazione dei cittadini alla discussione etica e giuridica sul tema.

Uno dei temi sottolineati è la differenza tra assistenza medica al suicidio ed eutanasia. In cosa consiste?

Si parla di assistenza medica al suicidio quando il professionista aiuta il malato a togliersi la vita, ma non svolge concretamente l’atto che provoca la morte. Per esserci assistenza al suicidio, infatti, deve essere il malato stesso che compie l’ultimo gesto come, ad esempio, è successo in Svizzera per DJ Fabo.

Per eutanasia, o omicidio del consenziente, si intende, invece, il comportamento del terzo che svolge tutta la procedura, causando direttamente la morte del malato.

Alcuni Stati, come la Svizzera o l’Oregon, riconoscono la sola assistenza al suicidio; altri, come l’Olanda o il Belgio, anche l’eutanasia. Tale scelta è dovuta al fatto che in alcuni casi il malato non potrebbe suicidarsi, perché ad esempio completamente paralizzato, e chiede che la morte gli sia data da un terzo.

Di questi temi lei si occupa anche in Ateneo, nella sua attività di ricerca e insegnamento? 

Sì; questi sono temi su cui abbiamo svolto molta ricerca e formazione e su cui continuiamo a lavorare. L’importante, in ambiti così delicati, è tenere sempre aperto il confronto con le posizioni diverse dalle nostre, in modo da arricchirci continuamente grazie agli stimoli che provengono da chi non la pensa come noi. Se mi guardassi solo allo specchio non imparerei nulla.

Il sito del gruppo Biodiritto sta diventando un punto di riferimento importante sulla bioetica e sul biodiritto. Ce ne può parlare?

Grazie all’opera di volontariato di una serie di collaboratrici e collaboratori, siamo riusciti a costruire un sito che riporta le principali novità nel biodiritto italiano e comparato. Siamo molto lieti, inoltre, di aver fondato il BioLaw Journal, rivista scientifica di classe A in cui pubblichiamo contributi provenienti dal mondo del diritto, ma anche di quello medico e bioetico.

Nei prossimi giorni ci sarà un’iniziativa aperta al pubblico su questi temi.

Sì, delle scelte di fine-vita, che non si riducono solo all’assistenza al suicidio evidentemente, parleremo la sera di lunedì 16 settembre in un incontro a più voci aperto alla cittadinanza.