Communication of Science and Innovation (SCICOMM) è un master universitario di I livello proposto dal Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale. Abbiamo chiesto al professor Massimiano Bucchi, coordinatore del master, cosa deve aspettarsi chi sceglie questo percorso formativo.
Professor Bucchi, ci può parlare degli obiettivi del master, un progetto strategico di Ateneo, giunto alla seconda edizione?
Obiettivo principale del master è formare figure chiave per lo sviluppo di strategie di comunicazione, dialogo e public engagement nelle organizzazioni di ricerca, nei contesti produttivi orientati all’innovazione, nel settore della cultura scientifica (science centers, festival della scienza), nei settori dell’amministrazione che si occupano di ricerca e innovazione.
L'idea non è formare giornalisti scientifici (ci sono altri master e purtroppo poche opportunità di lavoro in questo senso) ma delle figure professionali che conoscano il mondo della ricerca, i media e la società e sappiano muoversi tra questi tre ambiti.
Così, il master favorisce la comprensione dei contesti sociali e culturali della scienza e dell’innovazione, delle loro trasformazioni e delle loro implicazioni per la comunicazione nonché la lettura e l’analisi delle dinamiche comunicative caratteristiche della ricerca e dell’innovazione contemporanea, e la capacità di tradurli in strategie operative efficaci e sostenibili. Il master, anche attraverso attività pratiche e di laboratorio, aiuta inoltre gli studenti a riconoscere potenzialità e limiti dei mezzi di comunicazione contemporanea nell’ambito della ricerca e dell’innovazione e stimola la capacità di sviluppare e valutare criticamente la qualità delle attività di comunicazione, tanto dal punto di vista degli obiettivi organizzativi quanto della loro coerenza con le aspettative di pubblici e destinatari.
In aggiunta viene sottolineata la necessità di una stretta integrazione tra i più recenti risultati di ricerca su scienza e società e comunicazione della scienza e dell’innovazione e la progettazione di strategie operative.
Il Master prevede lezioni frontali ma anche diverse ore di tirocinio e percorsi finalizzati all'inserimento professionale. Può essere considerato una sorta di anello di congiunzione tra università e mondo del lavoro?
Certo, come dicevo è proprio questa l'idea. Quello che nel mondo anglosassone si chiama public engagement e, più in generale, un’apertura del mondo scientifico e della ricerca verso la società. Possiamo pensarla anche in termini della cosiddetta “terza missione”, una funzione a cui oggi le istituzioni di ricerca sono chiamate sempre più intensamente.
La scienza viaggia spesso su due strade contrapposte: da una parte ci sono i canali accademici, accessibili solo a un ristretto numero di esperti e dall'altra il mondo della comunicazione di massa e dei social dove spesso le informazioni vengono distorte. Pensa che un buon comunicatore possa avere un ruolo fondamentale per formare dei cittadini più consapevoli?
Noi speriamo di sì. Tenendo conto che la consapevolezza non è solo quella dei contenuti della scienza, ma di come funziona la ricerca e di quale è il suo ruolo sociale in società democratiche.
Importante è anche sviluppare la consapevolezza dei ricercatori e di chi lavora nelle istituzioni di ricerca per il rapporto con la società.
Alla cerimonia di apertura è stato ospite Brian Trench, presidente del Public Communication of Science and Technology network. Cosa pensa sia riuscito a trasmettere nella lectio?
Credo che la sua idea centrale sia che oggi occorre allargare la definizione di comunicazione della scienza.
Come ha detto Trench “Non solo la comunicazione curata da scienziati, istituzioni scientifiche e divulgatori, ma anche la conversazione sociale, che comprende un’enorme varietà di situazioni: programmi televisivi, news, caffè scientifici, fiction, discussioni sui social media”.
Il senso del master e dei seminari è di allargare la visuale, di mostrare come il tema della comunicazione della scienza vada inserito in una cornice più ampia sociale e culturale.