"Time was passing. Time was carrying us
faster and faster toward the door of the laboratory,
and then beyond the door into the abyss, the darkness.
My mother stirred the soup. The onions,
by a miracle, became part of the potatoes."Louise Glück, alcuni versi di “Radium” dalla raccolta “The Seven Ages” (2001)
L’aggettivo che solitamente definisce la voce nella canzone blues, gritty − cruda, granulosa, grintosa − bene coglie, mi pare, il tono con cui Louise Glück comunica la propria saggezza e conoscenza. Non c’è spazio per il compromesso, il che giustifica l’accostamento con Anne Brontë, che è una presenza forte e indipendente nel Romanticismo inglese, sicuramente non minore rispetto alle più note sorelle. Entrambe le poete posano uno sguardo spietato e audace sulla realtà.
Nei suoi 77 anni di vita, Glück ci ha regalato 12 raccolte poetiche, che saranno 13 a inizio 2021, due raccolte tascabili, oltre a numerosi saggi sulla poesia. Più che di raccolte è di libri che dovremmo parlare, sottolinea Cristiana Pagliarusco, perché le sue composizioni si collocano le une accanto alle altre in un dialogo che pare addirittura trascendere i confini della specifica raccolta per abbracciarle tutte. Eppure non è certo univoca la sua opera, contraddistinta invece da un’incessante ricerca di cambiamento che la porta in ogni volume a spingersi oltre e affrontare nuove sfide.
La sua lirica domestica si innalza a tematiche filosofiche, spirituali, immaginarie con uno sguardo essenziale, sincero che unisce oggetti quotidiani con suprema bellezza per far affiorare le emozioni e portare al centro ciò che è ai margini. In Glück il familiare diventa straordinario perché tutto si arricchisce di umanità e il linguaggio minimalista esalta il suo ardire, perché, nota Stephanie Burt, riesce a infilare ogni cosa sopra lo shock di un pensiero, quale il tabù dell’incesto, e ad essere tanto feroce con il suo Dio quanto lo è con sé stessa.
La sua poetica elude categorie, le interpretazioni spaziano da letture formaliste che ne esaltano il valore profetico e spirituale a interpretazioni femministe che rivisitano la formazione del soggetto. Sono tutte letture parziali, perché il carattere dialogico della sua poesia ci invita a considerarne la plurivocale complessità.
Con uno sguardo ampio che abbraccia questioni sociali insieme a natura e spiritualità, Glück non tralascia mai di sondare le possibilità linguistiche di esprimere dolore, desiderio, fame, lutto, amore, sopravvivenza degli umani e del Pianeta, e di farlo tenendo conto insieme dei miti classici, della Bibbia e della tradizione letteraria. Il suo pregio maggiore è quello di conferire all’esperienza personale e quotidiana il carattere del mito pur senza mai mitizzare il proprio vissuto.
È così in Firstborn (1968), in cui tocca temi quali l’aborto, un amore spezzato e il pianeta devastato, in The House of Marshland (1975), dove si concentra sulla maternità e la nascita, e poi ripetutamente nelle raccolte successive. In “Mythic Fragment” rivisita la storia di Apollo e Dafne, e insieme a una storia freudiana di una ragazza troppo innamorata del padre per accettare un amante, percorre una storia contemporanea di una verginità che rivela le proprie radici nel desiderio incestuoso, come evidenzia Helen Vendler. La sua poesia è sempre una feroce ricerca di significato anche laddove è difficile trovarlo: in “Radium” la dura considerazione sulla mortalità, un abisso, è seguita da un guizzo di ottimismo capace di trasformare in miracolo un soffritto di cipolla.
Bacigalupo dice che Glück “ascolta, dispone parole, esperienze su una pagina dall’insuperato nitore” e che “forse solo in America potrebbe esserci una parola così pura, non sentimentale, assoluta, risoluta”. Certamente è poeta distintamente statunitense: negli USA ha vinto tutti i principali premi di poesia e il suo ruolo è riverito, come confermano la cattedra a Yale e Stanford; è una voce segnata dalla sua vita newyorchese, nel segno della tradizione ebraica; la centralità del corpo nella percezione degli affetti che distingue la sua lirica è figlia della filosofia americana, inclusa quella femminista; il commento sorpreso alla vittoria del Premio Nobel rileva che il suo essere donna ed ebrea non è più una novità in un canone letterario multiculturale; americano è anche l’imbarazzo che suscita pronunciare il suo cognome, quel Glück che la migrazione ha mutato in “Glick”.
Ma soprattutto è statunitense la sua voce spietata: si nutre di quella tradizione di continuo cambiamento e incessante esplorazione, a cominciare da Emily Dickinson e da Walt Whitman, e non rinuncia mai alla propria visione, per quanto il destino individuale sia cupo. In “American Originality” (2001), Glück spiega come sia ancora oggi possibile tenere fede alla propria visione, abbracciando una cornice epistemica che ridefinisca il mitizzato e ormai consumato sogno americano, ribaltandolo, riconoscendo che l’idea di un mondo migliore e dell’indipendenza individuale si nutrono del proprio fallimento, dei propri limiti, che sono − per dirla con una formula psicanalitica − il frutto di una fantasia compensatoria.
Il Premio Nobel per la Letteratura 2020 è stato assegnato a Louise Glück, voce di massimo rilevo nella lirica statunitense fin dagli anni Settanta. Cinque giorni dopo il conferimento del Premio, il nostro Ateneo ha ospitato Massimo Bacigalupo, principale traduttore italiano di Glück, che ha partecipato al webinar “Coscienza e natura: Anne Brontë e Louise Glück”, moderato da Giovanna Covi. L’incontro ha inaugurato l’edizione 2020/2021 di SEMPER − Seminario permanente di poesia, promosso dal Dipartimento di Lettere e Filosofia e dal Centro di alti Studi Umanistici (CeASUm).
Louise Glück’s Lyrical Voice
A Seminar with Massimo Bacigalupo, main Italian translator of the Nobel Prize Poet
by Giovanna Covi
Professor in the Department of Humanities, University of Trento.
"Time was passing. Time was carrying us
faster and faster toward the door of the laboratory,
and then beyond the door into the abyss, the darkness.
My mother stirred the soup. The onions,
by a miracle, became part of the potatoes."Louise Glück, some verses from “Radium” in the collection “The Seven Ages” (2001)
The adjective that commonly defines the voice of blues songs, gritty, perfectly suits the tone, I believe, with which Louise Glück communicates her wisdom and knowledge. There is no room for compromise, which justifies the comparison with Anne Brontë, a strong and independent presence in English Romanticism, certainly not inferior to her more renowned sisters. Both Glück and Brontë cast a merciless and audacious gaze upon reality.
During her 77 years, Glück has gifted us with 12 poetry collections, which will be 13 at the beginning of 2021, and 2 chapbooks, in addition to numerous essays on poetry. We should rather refer to books, rather than collections, Cristiana Pagliarusco underscores, since her compositions sit next to each other in a dialogical positioning that appears even to transcend the borders of each specific collection to embrace them all. And yet her work is not univocal, characterized as it is by a relentless search for change, which leads each volume beyond the previous one to address new challenges.
Her domestic lyrics rise to philosophical, spiritual, imaginary themes with an essential, sincere look that joins quotidian objects together with utmost beauty with the aim of bringing emotions to the surface and the marginalized to the center. The familiar in Glück becomes extraordinary, because everything is enriched with humanity and a minimalist language exalts her daring, since − Stephanie Burt acutely observes − she is capable of piling everything upon the shock of a single thought, as for instance the incest taboo, and of being as fierce with her own God as she is with herself.
Her poetics eludes categorizations: interpretations range from formalist readings emphasizing its prophetic and spiritual value to feminist readings revisiting the formation of the subject. They are all partial readings, since the dialogical character of her poetry invites us to regard its plurivocal complexity.
With a wide perspective that melds social issues together with nature and spirituality, Glück never neglects pondering over the linguistic possibilities of expressing pain, desire, hunger, mourning, love, and the survival of the humans and the Planet – and of doing so by taking into account the classical myths together with the Bible and the literary tradition. Her major merit lies in granting a mythical character to everyday personal experience without ever mythicizing her own life experience.
A fine example is Firstborn (1968), where she touches upon themes such as abortion, a broken love and the devastation of the planet; The House of Marshland (1975), where she focuses on maternity and birth; as well as, repeatedly, in the collections that follow. In “Mythic Fragment”, she revisits the story of Apollus and Daphne to trace, together with the Freudian story of a girl who is too much in love with her own father to accept a lover, the contemporary story of a virginity that reveals the incestuous roots of its own desire, as foregrounded by Helen Vendler. Her poetry is always a fierce search for meaning even where it is difficult to find it: in “Radium” the harsh consideration about mortality, an abyss, is followed by a spark of optimism which is capable of turning stir-fried onions into a miracle.
Bacigalupo argues that Glück listens, places words and experience on a page whose clarity is unmatched, and that it may only be in America that we can find a word that is so pure, non-sentimental, absolute, resolute. Certainly she is a distinctly US poet: in the USA she has won all the principal poetry prizes and her role is honored with the chairs at Yale and Stanford; her voice is marked by her life as a New Yorker distinguished by the Jewish tradition; her lyrics are characterized by the centrality of the body in the perception of affects, which is in tune with American philosophy, including feminist philosophy; her surprised comment at the announcement of being awarded the Nobel Prize reveals that her being a woman and a Jew is no longer a novelty within the American multicultural literary canon; and American is also our embarrassment when pronouncing her last name: Glück turned by migration to sound like “Glick”.
But it is above all her fierce voice that is US: nourished by a tradition of continuous change and incessant exploration, starting with Emily Dickinson and Walt Whitman, it never gives up its own vision, no matter how dark the individual destiny may be. In “American Originality” (2001), Glück explains how today it is still possible to be faithful to one’s vision by embracing an epistemic frame that redefines the mythicized and by now exhausted American Dream, by turning it upside down and acknowledging that the idea of a better world and individual independence are fed by their own failures and limitations. To deploy a psychoanalytic formula, they are only a compensatory fantasy.
The Nobel Prize for Literature 2020 was granted to Louise Glück, a voice of utmost relevance within US poetry since the 1970s. Five days after the Prize was awarded, our University hosted Massimo Bacigalupo, the main Italian translator of Glück, for the webinar “Coscienza e natura: Anne Brontë e Louise Glück”, conducted by Giovanna Covi. The seminar has inaugurated the 2020/2021 edition of SEMPER − Seminario permanente di poesia, promoted by the Dipartimento di Lettere e Filosofia and the Centro di Alti Studi Umanistici (CeASUm).