I cambiamenti demografici, epidemiologici, sociali e culturali dei tempi recenti, avendo fatto crescere l’interesse per le cure palliative, hanno sollecitato l’implementazione di percorsi di formazione miranti a rafforzare le competenze di tutti i professionisti chiamati a erogarle. Obiettivo del testo è quello di fornire, a coloro che si avvicinano per la prima volta al tema delle cure palliative o che avvertono la necessità di approfondirlo, un quadro realistico di ciò che esse rappresentano, di come si sono evolute e della loro attuale organizzazione nel contesto italiano. Si tratta di un manuale che, a partire dai concetti basilari, fornisce indicazioni rispetto alle modalità operative potenzialmente utilizzabili dai professionisti chiamati in causa, al fine di erogare un’assistenza globale che non perda mai di vista la persona malata e che – rimarcando la sua centralità – si impegni a garantire la migliore qualità di vita possibile, fino alla fine, nel rispetto della dignità.
Marilena Ferretti lavora come educatrice professionale presso il Centro di salute mentale dell’APSS di Trento.
Annamaria Perino è professoressa presso il Dipartimento di Sociologia e ricerca sociale dell’Università di Trento.
Dal capitolo 1 (pagg. 18-39)
Le CP sono cure che si applicano quando l’obiettivo della guarigione non è più possibile per via di una malattia infausta in progressione; quindi la cura è finalizzata a occuparsi – in modo completo – sia della persona malata che si sta avvicinando alla fine dei suoi giorni, sia dei suoi familiari.
Si fondano sul concetto di “dolore globale”, che fa riferimento […] allo stato di sofferenza della persona malata che riguarda aspetti fisici, psichici, sociali e spirituali.
Si tratta di un approccio che include cure che investono non solo la sfera fisica ma tutti gli aspetti che possono influenzare le condizioni della persona malata.
Dal capitolo 2 (pagg. 41-78)
Le CP si possono realizzare in diversi setting assistenziali, a seconda delle necessità della persona malata e dei suoi familiari. Essendo il decorso della malattia inguaribile piuttosto irregolare, oltre che connotato da esigenze diverse, l’assistenza deve essere flessibile, attenta e rapida.
La legge 38/2010 […] identifica le reti regionali (RRCP) e le reti locali di cure palliative (RLCP) quali strumenti fondamentali per garantire l’accesso a servizi di qualità attraverso meccanismi di governance e forme di integrazione tra i soggetti coinvolti nel percorso di cura.
Il modello di riferimento è quello che propone tre livelli di complessità a cui corrispondono differenti ruoli e responsabilità per le Unità di cure palliative, nonché diversi livelli di erogazione: […] bassa complessità; […] media complessità; […] alta complessità.
Dal capitolo 3 (pagg. 81-101)
Benché l’integrazione sociosanitaria sia stata raggiunta, nel nostro Paese, solo in misura parziale, si può sicuramente affermare che le cure palliative rappresentano – per come sono organizzate e per l’approccio che utilizzano – un esempio che testimonia la realizzabilità della stessa. Pur essendo presenti diverse realtà in cui si registra l’assenza degli assistenti sociali nelle équipe di cure palliative, è abbastanza frequente che si evidenzi la necessità – per gli operatori presenti – di doversi attivare al fine di individuare modalità e risposte ai bisogni di natura sociale. Sarebbe auspicabile che, oltre a rafforzare le équipe di lavoro adeguandole a quanto stabilito dalla normativa esistente, si potenziasse anche la formazione per l’integrazione.
Dal capitolo 4 (pagg. 103-162)
La normativa vigente identifica le figure professionali competenti per garantire le cure palliative (CP) e la terapia del dolore (TD). Essa prevede che, per ogni figura professionale dell’équipe di CP, vengano definiti specifici percorsi formativi universitari, che consentono di raggiungere obiettivi e standard di qualità. Il core curriculum risulta essere lo strumento rappresentativo di tali competenze (conoscenze, abilità, competenze), che ogni professionista delle CP dovrebbe avere o acquisire nel suo percorso formativo.
I core curriculum dei professionisti impegnati nei percorsi di CP prevedono l’apprendimento di conoscenze essenziali indispensabili di una certa disciplina o di un determinato corso di studi. Gli ambiti in cui si collocano le competenze richieste nei diversi core curriculum sono le seguenti: 1. organizzativa; 2. clinico-assistenziale; 3. psico-relazionale; 4. etica; 5. ricerca e formazione.
[…] Nei differenti percorsi di studio sono centrali e trasversali le competenze riguardanti il lavoro clinico transdisciplinare e multidimensionale, il lavoro interprofessionale e di équipe, la comunicazione competente con il paziente e la famiglia.
[…] instaurare una relazione “significativa”, che nasce dalla fiducia tra paziente e operatori, è prerequisito indispensabile nel percorso di cura condiviso […].
Dal capitolo 5 (pagg. 165-206)
[…] la narrazione è considerata come un aspetto innovativo del dibattito sulla salute/malattia, in quanto in grado di fornire rappresentazioni sociali e vissuti individuali particolarmente ricchi, rendendo possibile
l’apertura di prospettive inedite nella descrizione della realtà. Dai racconti di malattia non di
rado riescono ad emergere nodi cruciali che si intersecano fra diversi valori e visioni del mondo,
tra differenziate nozioni di malattia e di salute, tra idealtipi alternativi di medicina e di scienza.
Nelle CP, essendo l’orizzonte esistenziale del malato modificato dalla patologia di cui è portatore
(difficoltà di fare riferimento a regole, abitudini, comportamenti “normali”, disgregazione di
“certezze”, labilità della progettualità), ci si trova a dover fronteggiare diverse emozioni (rabbia,
rifiuto, isolamento, sensi di colpa, disperazione, ecc.), che generano la c.d. “sofferenza globale”.
L’utilizzo della narrazione può essere un valido aiuto per individuare motivazioni a quanto sta
accadendo, per alleviare la sofferenza e trovare – attraverso il dialogo – forme di mediazione e di negoziazione che conducono a soluzioni condivise.
Dal capitolo 6 (pagg. 207-236)
L’impatto traumatico con una diagnosi e una prognosi infausta destabilizza inevitabilmente la persona poiché innesca un vissuto di minaccia alla propria integrità fisica e mentale legato all’avvicinarsi della morte. L’atteggiamento con cui si affronta quest’evento inaspettato influenza e determina i pensieri, le emozioni e i comportamenti del malato, che a loro volta condizionano la dimensione della dignità, la percezione della qualità della vita e le relazioni interpersonali.
Dagli studi citati che sottostanno agli interventi della TD e DBT, emerge l’importanza e la centralità della comprensione e del riconoscimento della narrazione biografica, che il paziente fa di sé e del suo modo di vivere la malattia. È soprattutto attraverso la conoscenza e il coinvolgimento con la storia personale, che può avvenire una contaminazione reciproca tra curanti e curato, che favorisce un rapporto reale, umano, empatico e paritario basato sul fatto che siamo esseri ugualmente mortali, al di là dei ruoli, che nel tempo possono cambiare.
Medicina narrativa, Terapia della dignità e Terapia dialettico comportamentale rappresentano concrete possibilità di affrontare la multidimensionalità del dolore globale nel fine vita, essendo i suddetti approcci rivelatisi efficaci sia per la gestione della sofferenza, sia per integrare nuovamente ciò che la malattia ha diviso, sia per favorire la continuità della percezione del senso e dello scopo della vita di colui che si ammala gravemente e necessita di sostegno nella ridefinizione di un nuovo possibile equilibrio.
Per gentile concessione di tab edizioni.