“In alcune occasioni combattere ed essere sconfitti paga più del non combattere affatto.” Tra il 1936 e il 1937 George Orwell partecipò alla guerra civile spagnola come volontario antifascista, tra le fila dei comunisti del POUM (Partido Obrero de Unificación Marxista). A un anno dal suo rientro in patria e a guerra ancora in corso pubblicò Omaggio alla Catalogna, un reportage quasi in presa diretta, in cui rivive quel momento straordinario e drammatico della storia del Novecento, groviglio di ardenti speranze e cinici tradimenti: dall’euforia rivoluzionaria di Barcellona, passando al terrore e al caos di un fronte dove non vi erano ranghi, né titoli né, sovente, armi, senza tralasciare il coraggio dei cittadini spagnoli – donne e uomini che combatterono l’uno accanto all’altro senza risparmiarsi – e il brutale racconto della grave ferita di cui lui stesso fu vittima. Orwell consegna a queste pagine intense, dolorose, a volte anche comiche, il ricordo di un’esperienza che ha rappresentato uno spartiacque nella sua esistenza civile, politica e letteraria. Omaggio alla Catalogna è ancora oggi una lettura fondamentale non solo per la sua valenza storica, ma anche per l’umanità, la passione e la lucidità con cui traccia il confine lacerato tra gli ideali personali e le complesse realtà delle lotte per il potere.
Andrea Binelli è professore presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell'Università di Trento
Dall'Introduzione (pagg. 5-10)
La storia dell’umanità ribelle è punteggiata da una miriade di rivolte sfolgoranti e all’apparenza isolate che divampano improvvise e altrettanto rapidamente sono represse. In altri frangenti meno episodici accade invece che, come nella Spagna del ’36, una generazione di individui fino ad allora estranei risponda a un appello per certi versi silenzioso e da ogni dove corra a serrare le fila di un movimento il cui collante invisibile ma potentissimo è il riscatto della dignità. In questi casi ciò che ogni volta sbalordisce gli osservatori e travolge i diretti interessati – come illustra il celebre incipit di Omaggio alla Catalogna attraverso il racconto empatico e tuttavia inafferrabile dell’incontro fra un miliziano inglese, Orwell stesso, e uno italiano – è l’immediatezza e la spontaneità con cui gli individui chiamati a raccolta da una rivoluzione riconoscono nell’altro la medesima determinazione di prestare anima e corpo a una lotta comune:
C’era qualcosa in quel volto che mi toccò nel profondo: era la faccia di chi avrebbe ucciso e sacrificato la propria vita per un amico, il tipo di faccia che assoceresti a un anarchico, anche se poteva tranquillamente trattarsi di un comunista. Esprimeva candore e al contempo ferocia […] Non so perché, ma mi è successo poche volte di incontrare qualcuno, un uomo, intendo, che mi sia piaciuto in maniera così immediata. [...] Strano l’affetto che si può provare per uno sconosciuto. Fu come se per un attimo le nostre anime avessero colmato ogni distanza fra le lingue e le tradizioni per incontrarsi nell’intimità più autentica. Sperai di piacergli quanto lui piaceva a me, ma ero anche consapevole del fatto che per mantenere quella prima impressione non avrei dovuto rivederlo. E neanche a dirlo, non lo vidi mai più. Incontri di quel tipo accadevano continuamente in Spagna.
Sono questi i sentimenti traboccanti e talora indicibili che infiltrano numerosi passaggi squisitamente politici di Omaggio, senza dubbio l’opera in cui il giacobinismo di Orwell meglio si rivela nella sua duplice natura: politica e umanistica, razionale e passionale. E se la compenetrazione di procedimento logico, rigore etico e coinvolgimento emotivo garantisce l’affresco scrupoloso della comunità indomita e generosa che si oppone al colpo di stato franchista, è la genuinità raso terra di questo affresco a sollecitare le reazioni più forti nei lettori, siano esse di entusiasmo, di rifiuto o, più spesso, di rimozione.
Ovviamente non si tratta di una rimozione sorprendente. Eppure, benché bistrattata dagli studiosi organici e dalla società dello spettacolo, la storiografia degli insurrezionalisti refrattari a ogni potere racconta di stagioni inattese e tanto più impetuose in cui individui di sensibilità e da latitudini diverse convergono inesorabili e all’unisono verso un unico luogo. E così facendo trasformano immediatamente quello spazio e quel tempo in una dimensione quasi mitica, un microcosmo avvolto da un’aura leggendaria sebbene innervato dalla fisicità dei loro corpi e dalla concretezza dei loro sacrifici. Li si potrebbe chiamare ‘cronotopi dell’insurrezione’, ossia stagioni rivoluzionarie che si materializzano in contesti diversi ma sono legati dal filo rosso della sovversione ostile ai quadri dirigenti: seppur in tonalità diverse, è un filo rosso che si dipana dalla rivolta di Spartaco alla Firenze dei Ciompi, dalla Germania dei contadini in rivolta a ridosso della riforma protestante alla comune di Parigi, riaffiora con la Kronstadt dei soviet marinai e, in un crescendo di partecipazione internazionale, si intreccia all’altezza della Spagna del ’36 e del Movimento del 26 luglio, attorno al quale coagulò la rivoluzione cubana. È questa una geografia bastarda di assalti al cielo che solo chi, al contrario di Orwell, non ha mai condiviso le frustrazioni degli ultimi reputa inimmaginabili fino a un attimo prima che divampino. […] Non è ragionevole fare i conti con la narrativa di Orwell, i suoi saggi critici, le sue scelte politiche e, in definitiva, con il senso della sua figura intellettuale, prescindendo da questa miscela di etica, raziocinio e passionalità che, in contravvenzione al suo proverbiale riserbo, e in tono peraltro trattenuto, Omaggio alla Catalogna mette a nudo meglio di qualunque altro scritto, anche privato.
La partecipazione di Orwell alla guerra civile spagnola come volontario in armi, le valutazioni sul campo, le scelte in presa diretta e la fermezza con cui le difende per tutta la vita, pur consapevole che in tal modo si condanna all’ostracismo di una classe intellettuale ipnotizzata dal miraggio sovietico, sono emblematiche della sua parabola personale più di quanto molta critica voglia concedere. La Spagna è tutt’altro che una temporanea concessione a un istinto ribelle, e tanto meno una parentesi eccentrica lungo una traiettoria comunque anticonformista. Nel manifesto/testamento stilato nel 1946 e intitolato Perché Scrivo, Orwell chiarisce come “la Guerra di Spagna e altri accadimenti del 1936 e 1937” – e fra questi, evidentemente, non si può enfatizzare abbastanza l’unione con la socialista e femminista irlandese Eileen O’Shaughnessy – abbiano segnato il momento a partire dal quale ha saputo, una volta per tutte, “da che parte stare.” E aggiunge: “ogni riga seria che ho scritto dal 1936, l’ho scritta, direttamente o indirettamente, contro il totalitarismo e a favore del socialismo democratico” […] In ragione di questa consapevolezza, Orwell legittima dunque le proprie scelte stilistiche e le riassume così: “Ciò che ho voluto fare più di ogni altra cosa negli ultimi dieci anni è stato rendere la scrittura politica un’arte. Il mio punto di partenza è un sentimento partigiano, un senso di ingiustizia.”
Difficile immaginare una distanza maggiore fra, da una parte il posizionamento politico espresso in Omaggio e rivendicato, anche in senso artistico, in Perché scrivo, e dall’altra certe letture dei suoi capolavori distopici (1984 e Fattoria degli animali) in linea con un cospirazionismo paranoico, di facciata subdolamente apolitica ma intrinsecamente destrorso e reazionario nell’indurre un rimescolamento torbido delle carte che si risolve nella restaurazione di figure forti e nella tutela dello status quo. Tali letture, in base alle quali la Catalogna finisce per rappresentare un’esperienza dolorosa che proietta un Orwell disilluso verso idee reazionarie e anticomuniste, sono più spesso la conseguenza di ignoranza o mala fede che non di interpretazioni difendibili.
In realtà, oltre a individuare nel fronte aragonese uno spartiacque decisivo nella propria esistenza, Orwell non si dissocerà mai dalle argomentazioni formulate in Omaggio. Piuttosto, continuerà a far tesoro di quanto appreso in quelle circostanze reputandole determinanti nel mettere a fuoco una propria idea politica e nel giungere a quella maturità letteraria con cui concepirà e redigerà i suoi due libri di maggior successo
Per gentile concessione di Feltrinelli