‘Norma’ e ‘contestazione’ rappresentano componenti cruciali dei linguaggi e dell’agire del secolo dei Lumi e delle riforme. Considerato un periodo di stabilità e di transizioni graduali, i saggi raccolti in questo volume offrono una visione originale della storia settecentesca fatta di ribellioni collettive e rivolte individuali che si esprimono attraverso forme di contestazione di assetti sociali e di potere nei campi più disparati: religione, politica, economia, diritti, canoni letterari ed estetici. Dovunque ci si imbatte in norme – scritte o implicite – e dovunque nei tentativi di scardinarle.
Domenico Cecere è professore presso il Dipartimento di Studi umanistici dell’Università di Napoli Federico II
Alessandra Di Ricco è professoressa presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell'Università di Trento
Anna Maria Rao è professoressa emerita di Storia moderna presso l’Università di Napoli Federico II
Dalla prefazione (pagg. X-XIII)
‘Norma e contestazione’, dunque: il convegno, rinviato nel 2020 a causa della pandemia, si svolse a distanza dal 27 al 29 maggio 2021. Il tema ha finito col mostrare tutte le sue potenzialità interpretative e di dialogo pluridisciplinare, le sue capacità di sollecitare e mettere a confronto aspetti, metodi, fonti, letture diversi, di mettere a fuoco questioni cruciali e delicate: non ultima, proprio quella del rapporto tra contestazione e obbedienza in situazioni di emergenza sanitaria, del ruolo svolto dalla chiarezza delle informazioni e dalla velocità delle comunicazioni nell’assicurare il rispetto o il rifiuto di norme o raccomandazioni diffuse dalle autorità pubbliche, da medici, scienziati e amministratori.
Il termine ‘norma’ rinvia in primo luogo a un universo giuridico. Su questo punto abbiamo avuto in occasione del convegno dei riferimenti importanti, grazie in particolare a Maria Rosa Di Simone, a conferma (se mai ve ne fosse stato bisogno) di quanto sia necessaria la presenza di storici del diritto e delle istituzioni nella vita della Società e nei suoi organismi, dove si è andata invece rarefacendo fin quasi a scomparire: ricordarlo è anche un modo per onorare Raffaele Ajello, scomparso proprio nel 2020, che alla Società diede un apporto fondamentale nei suoi primi fervidi anni di vita e che fino all’ultimo si è impegnato in difesa di un pensiero critico, antidogmatico e anticonformista.
Ma non di solo diritto si tratta: si incontrano norme scritte, consuetudini, costumi, pratiche, opinioni. Più di una volta, appunto, il termine ‘opinione’ si è affacciato nel corso del convegno, nei contributi e nei dibattiti: poiché la contestazione trova spesso ostacoli o stimoli più forti nelle opinioni che non nelle norme. Dal canto loro, le norme non sempre calano dall’alto di uno Stato che fa da occhiuto censore, ma vengono richieste, negoziate, contrattate dal basso, da gruppi sociali, istituzioni, poteri e individui diversificati. Non solo – e abbiamo visto più di un caso di contrapposizione tra vecchie e nuove norme – ma spesso sono proprio il nuovo, la riforma, il cambiamento, a sollevare contestazioni: tra gli esempi, le nuove regolamentazioni e misurazioni del tempo in età rivoluzionaria (il tempo delle campane o dei calendari), con il loro strascico di resistenze e reazioni; oppure, la regolamentazione delle pratiche associative studentesche nello Studio padovano. Al tempo stesso, è l’antico che può fare da detonatore di forme di rifiuto che finiscono col diventare rivoluzionarie. Lievito fecondo di innovazione e di circolazione delle idee è, poi, l’inosservanza delle norme – in apparenza rigorose, ma correntemente inevase, come si vede dalla loro ripetitività – in campi come quello dell’editoria, della scrittura, distribuzione e lettura di libri.
Molti e tutti di grande interesse, dunque, i modi in cui il nostro tema è stato affrontato: storia urbana, architettura, giardini, paesaggio, istituzioni, censura, magistrature, giustizia, vita di corte, pratiche, credenze, Chiesa, religione e istituzioni religiose... Molteplici gli spazi in cui ci si è mossi, in una sorta di storia globale della contestazione settecentesca, dalla Russia all’India coloniale, dall’Inghilterra al Nord America, dalla Francia alla Spagna, dall’Austria all’Ungheria, dai cantoni svizzeri agli Stati italiani… Diverse le modalità dei rifiuti o delle resistenze: veri e propri conflitti sociali, rivolte, ribellioni, rivoluzioni, contestazioni scientifiche e filosofiche, pensiero e pratiche nuovi in campo medico e psicologico. Si è discusso nel convegno (e se ne discute in questo volume) di norme letterarie, artistiche, musicali legate ai processi di professionalizzazione del lavoro intellettuale, alle varie definizioni e identità dell’uomo di lettere, di artisti, pittori, musicisti, non solo, ma anche di figure almeno in apparenza meglio definite fin dalla prima età moderna come quelle dei giuristi, medici, ingegneri.
Non è possibile in poche pagine introduttive dar conto dei tanti fili intrecciati nelle nostre giornate di studio: se ne ritroverà tutta la ricchezza in questi Atti. Ma almeno qualche aspetto vale la pena mettere in evidenza.
Il primo riguarda il matrimonio e le relazioni di genere. Affrontato per vie diverse, dalla trattatistica ai romanzi, dalle norme giuridiche ai rapporti fra Chiesa e Stati, presente in vari interventi e in più di una sessione, il tema si colloca in maniera particolarmente efficace all’incrocio tra pubblico e privato, tra individuo e collettività, istituzioni laiche ed ecclesiastiche, diritto, pratiche, società, opinione. Secolo misogino, il Settecento, ricordiamolo: basti rileggere i lavori fondamentali e insuperati di Luciano Guerci sul dibattito sulle donne. Non è certo dal punto di vista dei diritti delle donne che si possono osservare mutamenti sostanziali, ma sul terreno dei diritti individuali (lo ricordano qui in particolare Gian Paolo Romagnani Pasquale Matarazzo, Vincenzo Lagioia), da un lato, e dall’altro in connessione alla sempre più radicale contestazione della società di ordini e del peso che vi esercitano la Chiesa, lo Stato, i padri famiglia: da Pietro Verri a Troiano Odazi, da Fortunato Bartolomeo de Felice a Giuseppe Maria Galanti, per limitarci solo ai casi più noti, è tutto un pullulare di manifestazioni di insofferenza nei confronti delle costrizioni istituzionali e familiari gravanti su carriere e matrimoni dei figli di famiglia. Non a caso sul matrimonio fioriscono trattati e scritti di vario genere, oltre a rappresentazioni letterarie e teatrali, da Paradisi a Delfico a Antonio Cocchi. È questa una contestazione fortemente connotata sul piano generazionale; è per lo più giovanile, ne emergono o se ne indovinano tracce fra gli studenti universitari. Troppo facile, come si tende a fare, ricondurla sul terreno, scivoloso e insidioso, delle emozioni e dei sentimenti: ben altro è in gioco, sono in gioco norme, istituzioni, usi, conformismi, strategie patrimoniali, statuti e comportamenti nobiliari. Non a caso anche su questo terreno l’età rivoluzionaria fa da straordinaria cartina di tornasole: se sarebbe eccessivo affermare che si entri in rivoluzione per potersi sposare liberamente, è un fatto che quello della rivoluzione è anche il tempo in cui si buttano alle ortiche le tonache, ci si sposa con cantanti e ballerine e si intrecciano matrimoni intorno agli alberi della libertà.
Su un altro aspetto ancora si può qui richiamare l’attenzione: quello delle lingue e dei linguaggi. Abbiamo avuto contributi interessanti sui confronti tra italiano, latino, serbo, russo, tra lingue scritte e lingue parlate, su che cosa e quando e quanto sia osceno oppure no. Si è discusso della storia linguistica delle università settecentesche, delle diffuse manifestazioni di insofferenza nei confronti del latino dominante, da Padova a Pavia a Napoli, del ricorso crescente alla lingua italiana come modo per raggiungere un uditorio più ampio. Tanti i modi di comunicare e praticare la trasgressione, dalla parola al gesto, dal romanzo alla poesia; e tanti i luoghi, dalle accademie alle piazze, dai mercati ai teatri, dai caffè agli studi universitari. Nel campo degli uomini di lettere, scrittori, lettori, bibliotecari, si è sottolineato da un lato lo scardinamento di pressioni e costrizioni esistenti, dall’altro l’introduzione di nuove norme, come il diritto d’autore. Resta una questione primaria il confronto tra il lessico emotivo e la terminologia giuridica della ‘contestazione’: è, questa, una parola settecentesca? Altri termini, in realtà, abbiamo sentito e leggiamo: insolenze, ingiurie, insulti, delitti, tumulti, fermenti (luttuosi o no che siano), aver pratica/ praticare (in riferimento alla sfera sessuale). Diversi anche i termini per designare autori e attori di trasgressioni reali o presunte, eretici, divinatori, impostori, ciarlatani, denigratori, criminali, insorgenti, briganti. Ancora una volta si ripropone nella nostra Società una sfida ricorrente, già lanciata in particolare – senza molto successo – a proposito del ‘popolo’ nel Settecento, quella di tentare la via di un lessico comparato: proprio per la sua natura pluridisciplinare, intendersi sull’uso delle parole rimane fra gli obiettivi fondamentali della nostra Società.
Per gentile concessione di Edizioni di Storia e Letteratura.