Come scrivono Renato Bocchi e Carlo Oradini nell’introduzione al loro ancora oggi insostituibile volume dedicato alla storia della città di Trento, pubblicato quarant’anni fa, nell’Ottocento “si rompe […] definitivamente la forma chiusa e cristallizzata della città murata e si va cercando, entro l’ambigua sovrapposizione fra poteri di controllo locali e centrali, una nuova configurazione urbana nel rapporto fra città antica, nuove espansioni e territorio”. È nel corso di questo secolo, dunque, che nasce la Trento moderna, grazie all’operato degli ingegneri e al loro fondamentale contributo, in qualità sia di funzionari dello Stato, sia di impiegati al servizio delle autorità locali. Dove Trento si ingegna si propone di indagare proprio il ruolo svolto da queste figure – spesso poco studiate e talvolta solo di passaggio – nello sviluppo della città, di ricostruirne competenze e compiti all’interno degli uffici tecnici dislocati nel territorio secondo l’articolata organizzazione asburgica, prestando particolare attenzione agli interventi urbani più che ai singoli episodi di architettura.
Anna Maragno è dottoranda presso il Dipartimento di Ingegneria civile, ambientale e meccanica dell'Università di Trento
Cristiana Volpi è professoressa presso il Dipartimento di Ingegneria civile, ambientale e meccanica dell'Università di Trento
Da Il ruolo degli ingegneri come funzionari statali nel campo delle pubbliche costruzioni (p. 13)
Da Gli Schematismen, le pubblicazioni che ogni anno testimoniano l’articolata e capillare organizzazione dell’apparato amministrativo nelle province dell’impero asburgico, riportando i nomi dei funzionari delle istituzioni pubbliche operanti nei vari territori, emerge che nel 1819 l’ufficio tecnico del Capitanato circolare di Trento si compone di un ingegnere circolare (Kreisingenieur) – una figura di tecnico statale presente almeno sin da inizio secolo – e di un aggiunto, oltre a due maestri stradali (Wegmeister fino al 1823, quindi Straßenmeister), di cui uno a Trento e uno a Borgo Valsugana, e tre praticanti (Bau-Praktikanten) dipendenti dalla Direzione provinciale delle pubbliche costruzioni (Landesbaudirektion) di Innsbruck, l’organo statale preposto alla materia edilizia per la provincia del Tirolo e Vorarlberg. A partire dal 1823 l’ingegnere circolare svolge anche il ruolo di commissario stradale.
Da Gli ingegneri civici, funzionari al servizio della città (p. 49)
In più circostanze gli ingegneri statali si trovano a collaborare con i tecnici impiegati presso le autorità locali, ma non sempre, nella pratica, gli ambiti di intervento degli uni e degli altri risultano chiaramente definiti, e nelle relazioni che intercorrono tra le diverse istituzioni si registrano talvolta momenti di attrito. Ad esempio, l’ingegnere circolare Ducati, in una delle tante occasioni nelle quali si lamenta della mole di lavori che gravano sul suo ufficio, afferma che alcuni di questi spetterebbero all’ingegnere civico, cui compete la gestione di “tutte le fabbriche pubbliche comunali”. Ma Gian Antonio Caminada, l’ingegnere civico allora in servizio presso il Magistrato politico-economico, sembra non avere la preparazione e l’esperienza necessarie per l’elaborazione di alcuni progetti, per i quali gli viene preferito il personale dell’ufficio tecnico circolare, in particolare l’ingegnere aggiunto Dal Bosco. “Se la città di Trento”, spiega infatti Ducati nel 1829 […], “avesse un ingegnere di fatto, non solo di nome, potrebbe questo occuparsi di tutti i progetti anche d’importanza – quali la costruzione del nuovo cimitero, la sistemazione della sede municipale, l’am-pliamento dell’ospedale civico, la selciatura di una contrada o la realizzazione di un passeggio pubblico – e ne sarebbe con ciò alleggerito in qualche parte l’ingegnere circolare: ma come si può pretendere, che questa città ottenga un ingegnere di capacità, atto ad estendere colle prescritte norme un progetto qualunque di fabbrica con un annuo salario di 200 f. [fiorini] con quasi nissun’altro provento secondario?”.
Da La piazza del Duomo (pp. 84-85)
All’alba del XIX secolo l’aspetto della piazza Grande e degli altri ambiti attigui al duomo non sembra discostarsi molto dall’immagine tramandata dalle calcografie seicentesche e settecentesche della città, immobili nell’assenza di intraprendenza urbanistica da parte del Principato vescovile. […] L’iconografia del primo Ottocento mostra che i cambiamenti più significativi interessano soprattutto il palazzo Pretorio, sede delle istituzioni giudiziarie dei vari governi, che risulta depauperato della loggia e della scala di accesso esterna, ma arricchito con un nuovo portale neoclassico sormontato da un balcone adorno delle statue di Antonio Giongo. I sagrati a sud e a nord della cattedrale appaiono liberi dai perimetri recintati che confinavano gli ormai dismessi cimiteri parrocchiali, e nella piazza Grande, in corrispondenza dell’antica loggia, sorge un tiglio, per molti anni il centro ideale della piazza. […] I circoscritti interventi di sistemazione e decoro dell’area del duomo non sono tuttavia sufficienti ad arginare l’incuria dovuta all’uso e al tempo alla quale le piazze e la cattedrale stessa sono soggette. La secolare presenza del cimitero in aderenza al prospetto settentrionale della chiesa comporta, infatti, per le continue inumazioni l’innalzamento del livello del suolo, al punto che l’accesso dal protiro settentrionale è subordinato alla discesa di alcuni gradini di un’ampia scalinata. Analogo problema si riscontra anche sul lato meridionale dell’edificio, dove la quota del terreno raggiunge il livello delle monofore dell’antica cripta duecentesca, coprendo interamente i basamenti del leone stiloforo e delle sculture del protiro.
È solo a metà degli anni venti dell’Ottocento, con l’avvio di un ampio e strutturato programma di rinnovo delle piazze e delle contrade della città, coordinato a livello locale dall’ingegnere circolare Giuseppe Maria Ducati e dall’ingegnere civico Gian Antonio Caminada, che l’area del duomo è finalmente interessata dalle prime concrete opere di sistemazione.
Da Intorno a piazza delle Erbe: alla ricerca di una residenza vescovile. Un secolo di progetti per palazzo a Prato (p. 125)
Nel corso dell’Ottocento, il “Campo, ò Piazza quadro detta dell’Oche, dove – ai tempi del Mariani – si suol fare la Rassegna o Mostra delle Militie”, diventa un luogo di grande rilevanza a livello urbano, sia per la posizione strategica che occupa tra il duomo e porta Nuova e le valenze civiche che assume nel tempo, sia per la presenza di edifici con funzioni istituzionali, legati tanto al potere religioso quanto al governo asburgico.
Qui, a inizio secolo, sotto la Reggenza bavara, vengono “preparati con grave dispendio dei portici lungo casa Taxis, una tettoia, e altre cose necessarie”, per trasferirvi il mercato dal Cantone ma anche i venditori di frutta e verdura che ingombravano piazza del Duomo – da cui la nuova denominazione di piazza delle Erbe, delimitata nella mappa napoleonica del 1813 dalla contrada omonima e da quella di S. Vigilio.
Da Anna Maragno, La località “Ai Paradisi”: il quartiere borghese della città (p. 222)
Sul finire dell’Ottocento i piani di ampliamento della città messi in atto dall’amministrazione Oss Mazzurana coinvolgono anche la località detta “ai Paradisi”, un’area extra-moenia posta a est del centro storico, delimitata a nord dal tracciato dalla strada della Valsugana (oggi via Venezia) e a sud dell’area “alla Madruzza”, da poco ridisegnata dai nuovi complessi del tribunale con annesse carceri, e delle caserme con il costruendo ospedale militare. L’area “ai Paradisi” deve il suo nome alle campagne che la contraddistinguono e che fanno da sfondo all’antica strada dei Mulini (o Molini), che mette in comunicazione la città con Povo e Cognola costeggiando il canale d’acqua che dal torrente Fersina alimenta il sistema di rogge interne alla città.
L’elenco delle strade vicinali del distretto di Trento, redatto il 30 dicembre 1830 dall’ingegnere civico Gian Antonio Caminada, permette di cogliere l’aspetto della strada nella prima metà del secolo e, contemporaneamente, i problemi viari legati ai limiti di un piccolo centro urbano con nuove ambizioni commerciali.
Da L’illuminazione pubblica: dalla luce a gas alla luce elettrica (pp. 258-259)
Il primo sistema di illuminazione pubblica a Trento risale al periodo dell’occupazione bavara nei primi anni del XIX secolo, durante il quale alcune contrade della città sono per la prima volta illuminate da una stabile rete di lanterne ad olio. […]. Sono nuovamente problemi di ordine e sicurezza pubblici che, cinquant’anni più tardi, spingono l’amministrazione comunale a introdurre in città un più efficiente e strutturato impianto di illuminazione pubblica a gas, sistema già consolidato e diffuso nel resto d’Europa. La gestione dell’impianto, che abbraccia le principali contrade, vie e piazze della città, è affidata con contratto del 18 marzo 1859 alla ditta Riedinger di Augusta, e consta di 200 lanterne da strada della forza di luce di 12 candele, e del consumo totale annuo di 26.000 ore di luce. […] Nonostante i limiti naturali di questo tipo di illuminazione, […] l’introduzione della luce a gas rappresenta una vera e propria rivoluzione, superata solo dall’avvento dell’elettricità negli ultimi anni dell’Ottocento.
Per gentile concessione della Casa editrice Efesto.