Particolare della copertina del libro

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Fondamentali. Storie di atlete che hanno cambiato il gioco

di Giorgia Bernardini, Olga Campofreda, Elena Marinelli, Tiziana Scalabrin, Alessia Tuselli

29 marzo 2024
Versione stampabile

In cinque testi sono racchiuse storie, idee, concetti che sono appunto fondamentali per riflettere con più profondità su che cosa è oggi lo sport femminile.
“Fondamentali” tratta cinque argomenti legati allo sport praticato dalle donne a livello agonistico. La visibilità raggiunta dalle atlete in questi ultimi anni ha messo in evidenza come non sia possibile raccontare lo sport (non solo professionistico) femminile senza liberare la narrazione da una retorica piegata su sé stessa in cui le donne, a livello di performance e di visibilità, sono e saranno sempre in seconda posizione rispetto ai colleghi uomini.

Giorgia Bernardini è scrittrice di sport
Olga Campofreda è ricercatrice presso l'Institute of Advanced Studies di Londra
Elena Marinelli è scrittrice di sport
Tiziana Scalabrin insegna presso il Dipartimento di Scienze umane dell'Università LUMSA
Alessia Tuselli è assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale dell'Università di Trento

Dall'Introduzione (pp. 9-16)

La prima scrittrice italiana ad approcciarsi al giornalismo sportivo è stata Anna Maria Ortese, che nel 1955 ha raccontato il Giro d’Italia per l’«Europeo». La singolarità di questa presenza è testimoniata dal fatto che Ortese abbia scelto di imbacuccarsi con un copricapo per nascondere le sembianze femminili in un ambiente occupato principalmente da uomini. In quel periodo storico celare il proprio aspetto o cambiarlo del tutto non era insolito per una donna che tentava di accostarsi al mondo dello sport. Nel 1966, per esempio, siccome alle donne era vietato parteciparvi, Roberta Gibb si presentò alla partenza della maratona di Boston indossando gli indumenti del fratello, per passare inosservata e concorrere insieme agli uomini. Questi sono solo due degli esempi più noti di come le donne, sia per praticare sport ad alto livello sia per scrivere di sport, abbiano dovuto fare i conti con la scomparsa di sé. Un fenomeno con cui sono chiamate a misurarsi spesso: in ambito familiare e lavorativo, ma poi nella vita in generale, e che si ritrova anche nelle competizioni, perché lo sport è solo uno dei tanti specchi della società in cui viviamo. Esistono, è vero, alcune eccezioni, come già Anna Maria Ortese, che hanno tracciato una strada alternativa per le donne nello sport. Ci sono ad esempio giornaliste che hanno avuto ampia visibilità e hanno fatto la storia del giornalismo sportivo in Italia, come Emanuela Audisio sulle pagine dei quotidiani o Simona Ventura nelle trasmissioni televisive, o ancora atlete che hanno riempito pagine nei giornali e hanno avuto visibilità in televisione, come Fiona May o Paola Egonu. Ma il loro ruolo di «superstar» è ancora un risultato straordinario, nel senso di fuori dall’ordinario. Bisogna dirlo e metterlo in evidenza se si vuole ragionare sul contesto in cui le donne ancora oggi si muovono nel mondo dello sport. Alle spalle di alcune personalità famose ci sono innumerevoli atlete, di alto livello, che tutti i giorni si allenano e vincono ma rimangono nelle retrovie, condannate al disinteresse del grande pubblico. Così come ci sono scrittrici valide che cercano spazio senza trovarlo, come se lo sport e il giornalismo sportivo fossero saperi trasmessi con il Dna, maschile naturalmente. Senza contare le volte in cui le proposte sugli sport cosiddetti «minori» sono rifiutate dalle redazioni perché «l’argomento è troppo specifico e non c’è un pubblico abbastanza ampio. […] Eppure il processo dovrebbe svilupparsi secondo il binario contrario: non è che una storia si racconta perché si ha già un pubblico, ma è dal racconto che nasce il pubblico che vorrà conoscerlo. È un cortocircuito che vale in tanti ambiti ma che colpisce troppo spesso la narrazione dello sport femminile. Del resto, la Coppa del Mondo di calcio del 2019 a Parigi, in cui la nazionale femminile italiana ha raggiunto i quarti di finale, ha dimostrato che esistono grandi fette di pubblico disposte a seguire la metà del mondo sportivo meno conosciuta, se quello che vedono intrattiene e diverte. 

[…] Per le autrici di Fondamentali non esiste un altro modo di leggere lo sport femminile che non sia quello di tenerlo su un livello di equità rispetto a quello maschile, mantenendo ed esaltando le peculiarità che caratterizzano il primo. Queste peculiarità sono legate all’essere donna oppure alle singole atlete e forniscono chiavi di lettura inedite e interessanti. È per questo che qui, senza la pretesa di essere esaustive, abbiamo scelto di parlare di certi argomenti e non di altri. A scanso di equivoci, il rossetto e il sangue, i reggiseni sportivi, gli organi genitali, l’emotività, le acconciature dei capelli, gli outfit, lo smalto, sono argomenti presenti nei testi che abbiamo scritto perché caratterizzano le atlete e il loro gioco, come i capelli lunghi e le magliette hanno definito Andre Agassi e il suo tennis. Che si tratti di un campo oppure di un corpo, qui si mira a distruggere la connotazione negativa che affligge le atlete che esprimono la propria personalità sul campo o con il proprio corpo femminile, negatività inesistente nello sport maschile. Con Fondamentali vogliamo mettere in discussione il modo di raccontare lo sport su cui ci siamo formate. E vogliamo anche che il nostro lavoro sia utile a chi verrà dopo di noi. La lezione di Sara Gama – ognuna fa il suo pezzettino di strada e chi viene dopo porta avanti la battaglia – la dobbiamo tutte fare nostra. 

Da un punto di vista grammaticale il termine «fondamentali» è sia un sostantivo maschile che un aggettivo femminile. I fondamentali, le fondamentali. Il motivo per cui questa raccolta di saggi sullo sport femminile si chiama Fondamentali è che all’interno di un unico significante convivono i due tratti identitari che abbiamo scelto per il nostro lavoro. Ancor prima di parlare delle atlete o delle storie che ognuna avrebbe voluto raccontare, abbiamo riflettuto a lungo sul desiderio di ripartire dalle basi, tornare all’origine della narrazione sportiva. Ai fondamentali, appunto. 

Olga Campofreda, Elena Marinelli, Tiziana Scalabrin, Alessia Tuselli e io, autrici di questo testo, abbiamo familiarità con almeno uno sport. Alcune di noi hanno iniziato a praticarlo da bambine e sono cresciute adattando le varie fasi del proprio sviluppo intorno all’attività sportiva. Altre invece hanno iniziato ad appassionarsi a uno sport in età più adulta e solo in un secondo momento sono passate a dedicarcisi in prima persona. Ma a dispetto dell’età in cui ognuna di noi si è avvicinata allo sport, o agli sport, che ci appassionano, tutte abbiamo attraversato la fase in cui si introiettano i fondamentali. 

I fondamentali sono quei movimenti di base, o quelle sequenze di movimenti, che contraddistinguono uno sport e lo differenziano da tutti gli altri. L’arresto e tiro nel basket, il dritto e il rovescio nel tennis, la parata e risposta nella scherma. Sono azioni che un’atleta deve sa- per ripetere senza alcuna riflessione, in maniera istintiva. Si chiamano così perché sono i cardini di uno sport e senza questo grado zero non ci potrebbero essere Serena Williams, Ibtihaj Muhammad o Federica Pellegrini. I fondamentali sono anche la base del divertimento. 
Le fondamentali invece sono le atlete citate in questo testo, e anche tutte quelle che ne sono rimaste fuori per ovvie ragioni di spazio. Come detto, ognuna di loro, singolarmente e in squadra, è stata ed è necessaria alla crescita di un movimento che ci ispira non solo come appassionate di sport, ma come persone che tutti i giorni affrontano la società e cercano di capirne e scardinarne le iniquità. 

Quando mi è stato proposto di lavorare a un libro sullo sport femminile è stato del tutto naturale come curatrice proporre a mia volta di condividere questo spazio di privilegio con altre quattro donne. È stata una decisione che mi piace definire politica, una scelta che risponde anche alla esiguità degli spazi disponibili per le donne che desiderano scrivere di sport. Un libro è un luogo intellettuale che si può condividere solo se c’è fiducia reciproca. 

Nel 2020 ho lanciato Zarina, una newsletter che avevo fondato per scrivere di sport femminile senza dovermi confrontare con i «no» dei magazine e dei giornali e che nel corso del tempo è diventata un luogo di grande sperimentazione. Ed è grazie a Zarina che ho incontrato le altre autrici di questo volume: ognuna per conto suo, e poi insieme, abbiamo mosso i primi passi nella narrazione sportiva, partendo da premesse comuni, ragionando su fenomeni che nei quotidiani non venivano nemmeno citati. Abbiamo iniziato perciò avendo a disposizione solo le partite o le singole prestazioni delle atlete. Ed è proprio per questo motivo che sono tornate utili le ore che ognuna di noi ha trascorso dentro a un campo a provare e riprovare i fondamentali. In un certo senso, siamo riuscite a diventare autrici che scrivono di sport proprio perché quelle stesse attività le abbiamo praticate nella vita. Non saremmo state le scrittrici che siamo se non avessimo calpestato campi e piste di atletica, e forse ci saremmo fermate molto prima di fronte alle difficoltà se non fossimo state tutte tenaci o capaci di tenere a mente che dopo una prestazione negativa ne seguono in genere di molto positive. […]

I nostri cinque testi, naturalmente, non pretendono di esaurire il discorso. Il loro obiettivo è semmai di iniziare il dialogo, avviare una discussione, ispirare altre scrittrici e donne di sport a parlare e a scrivere, insomma a farsi sentire. Gli stessi argomenti che abbiamo scelto sono in costante aggiornamento. Durante la gestazione del libro si sono susseguiti fatti importanti, tra cui le sentenze su Caster Semenya, che hanno cambiato la collocazione delle persone transgender e intersex nelle competizioni; un Mondiale di calcio femminile in Australia e Nuova Zelanda che ha fatto parlare di sé non solo per il gioco ma anche, grazie al «caso Rubiales», perché ha portato all’attenzione di tutte e tutti quanto sia radicato in profondità il patriarcato all’interno di certi ambienti sportivi; l’edizione 2023 dello US Open vinta da Coco Gauff, prima tennista nera a imporsi dopo il lungo dominio delle sorelle Williams. Il nostro auspicio è che le considerazioni fatte in questo libro aprano una prospettiva, mettano a disposizione strumenti a chi intende avvicinarsi sia allo sport femminile sia a quello maschile a livello teorico, senza dimenticare che, esattamente come in ogni disciplina sportiva, è dopo aver introiettato i fondamentali che è possibile finalmente abbandonarsi al divertimento. 

Per gentile concessione della casa editrice 66thand2nd