Al centro del diritto commerciale stanno un soggetto, l’imprenditore, ed un’attività, svolta con l’organizzazione di mezzi e di persone creata allo scopo: l’impresa.
Derivato dal verbo «intraprendere» il termine evoca già, nel linguaggio comune, la figura di chi persegue un obiettivo fondato su un programma particolarmente impegnativo, in termini giuridici, chi svolge un’attività economica organizzata e gestita a suo rischio e, correlativamente, a suo profitto: ciò che la distingue immediatamente dal lavoro subordinato.
Nel mondo del diritto le nozioni di impresa e di imprenditore sono tratteggiate accuratamente e tra loro distinte in ragione di criteri che fanno riferimento alla natura (agricola, commerciale) e alle dimensioni (piccola, medio-grande) dell’attività, oltre che alla qualità del titolare (individuale, collettiva).
Tuttavia, l’esigenza di ricomprendervi sempre nuove figure obbliga i legislatori ad ampliarne progressivamente il perimetro, riducendole a modelli sempre più vaghi, che descrivono assai approssimativamente le entità di cui dovrebbero svelare la natura.
Massimo Montanari
Elisabetta Pederzini è professoressa presso la facltà di Giurisprudenza dell'Università di Trento
Dal Capitolo I: La nozione di imprenditore (pag. 5 )
La nozione generale d’imprenditore, che da sola avrebbe una scarsissima importanza, non riferendosi a nessun preciso fenomeno economico-sociale, diviene centrale se studiata e analizzata in stretta connessione con quella dell’art. 2195 c.c. da cui si desumono i requisiti dell’imprenditore commerciale; le due disposizioni – artt. 2082 e 2195 c.c. – costituiscono così le tessere dalla cui congiunzione si trae la definizione – questa sì immediatamente riferibile a concrete fattispecie – d’imprenditore commerciale.
Non c’è, dunque, un vero rapporto di genere a specie tra la prima norma (che definirebbe l’imprenditore in generale) e la seconda (che direbbe chi, fra questi, sia imprenditore commerciale); nella pratica entrambe, al di là della sistematica del codice civile, concorrono a descrivere una sola figura: quella, centrale in tutte le economie moderne, del commerciante o dell’industriale.
D’altro canto, una nozione d’impresa in sé sarebbe invece inutile perché pressoché priva di disciplina specifica; mentre l’impresa agricola è nitidamente delineata, e si esaurisce, nelle tipiche attività menzionate nell’art. 2135 c.c. (coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali, lavorazione e rivendita dei prodotti così ottenuti, fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente delle risorse dell’azienda agricola).
Dal Capitolo IV: L’acquisto della titolarità dell’impresa e la responsabilità dell’imprenditore (pag. 57)
L’esercizio dell’attività d’impresa dovrebbe essere caratterizzato – secondo gli insegnamenti della scienza economica – dalla sopportazione del relativo rischio, ossia dalla piena responsabilità patrimoniale per tutte le obbligazioni che a qualunque titolo (contrattuale, aquiliano, tributario, ecc.) ne discendono.
L’idea che l’imprenditore sia colui che sopporta il rischio della gestione del¬l’attività intrapresa non è del tutto estranea neppure all’ordinamento positivo. Benché l’art. 20861 c.c. si limiti a prevedere che «l’imprenditore è il capo dell’im¬presa», così contemplando soltanto il potere di gestione, ma tacendo della correlativa responsabilità, essa è però presupposta da altre disposizioni. Ad esempio, l’art. 1655 c.c. che detta la nozione d’appalto – ossia di un tipico contratto del¬l’imprenditore – definisce appaltatore colui che gestisce «a proprio rischio» l’organizzazione dei mezzi necessari al compimento di un’opera o di un servizio.
Non diversamente, la legge-quadro per l’artigianato 8 agosto 1985, n. 443 definisce piccolo imprenditore artigiano colui che esercita personalmente in qualità di titolare l’impresa artigiana «assumendone la piena responsabilità con tutti gli oneri ed i rischi inerenti alla sua direzione e gestione» (art. 2); e non v’è motivo di dubitare – stante le chiare finalità d’incentivazione dell’artigianato della legge speciale, che certo non vuole gravare il piccolo imprenditore artigiano d’oneri maggiori rispetto all’imprenditore medio-grande – che la correlazione tra il potere di dirigere l’impresa artigiana e la sopportazione dei rischi e delle responsabilità che ne derivano sia qui espressamente enunciata come tratto comune di tutte le imprese.
Dal Capitolo VII I segni distintivi dell’imprenditore (pagg. 131 e 136)
L’imprenditore si confronta sul mercato coi concorrenti e, per «emergere», catturare e mantenere legata a sé la clientela, deve essere il più possibile visibile.
Egli deve anzitutto far sì che il suo nome commerciale – la ditta (artt. 2563 ss. c.c.) – resti ben impresso nella mente dei clienti. Deve poi contraddistinguere visivamente i locali dove esercita la sua impresa in modo da farli subito riconoscere, apponendovi un’insegna quanto più possibile suggestiva (art. 2568 c.c.). Deve, soprattutto, contraddistinguere i beni o i servizi che produce con marchi (artt. 2569 ss. c.c. e 7 ss. d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, c.d. codice della proprietà industriale) che li individuino immediatamente e contribuiscano, agli occhi dei consumatori, a dar loro il significato dell’identità e dell’unicità, non di rado con un tocco di eleganza e di prestigio, ponendoli in risalto rispetto a quelli della concorrenza.Il marchio è il segno distintivo dei beni o dei servizi prodotti o commercializzati dall’impresa: il rivenditore può apporre il proprio marchio ai prodotti che mette in vendita, ma non può sopprimere il marchio del produttore (artt. 2572 c.c. e 203 d.lgs. n. 30/2005).
Specie quando è massicciamente pubblicizzato, con l’impiego di capitali spesso enormi, il marchio finisce col generare nei consumatori un’attrattiva, un desiderio di possesso verso tutti i prodotti che lo portano, suggestivamente percepiti come di speciale qualità. La sua moderna funzione economica non è dunque solo quella, classica, d’identificare la provenienza del prodotto, ma anche quella di strumento giuridico attraverso cui l’imprenditore può capitalizzare il frutto di ingenti investimenti pubblicitari.
Per gentile concessione della casa editrice Giappichelli