Particolare della copertina del libro

In libreria

Giocati il cervello! Ascoltare la sordità

Francesco Pavani, Lucio Schiavon

28 febbraio 2025
Versione stampabile

Lo sapevi che udiamo con le orecchie, ma ascoltiamo con il cervello? E che i gatti bianchi con gli occhi azzurri sono sordi dalla nascita? Che esistono lingue senza suoni e che le cellule dell’orecchio che ci permettono di udire hanno esattamente la nostra età e non si rigenerano?

Questo volume della serie Giocati il cervello! ci porta dentro il mondo delle neuroprotesi e della prospettiva multisensoriale per farci scoprire in che modo hanno cambiato il modo di pensare l’udito. Attraverso analisi, dibattiti, esperimenti e aneddoti – ma anche giochi e attività – veniamo a conoscenza dell’infinita avventura dell’ascolto in tutte le sue forme, perché la sordità viene qui raccontata andando oltre la mera descrizione del funzionamento dell’orecchio.

Francesco Pavani è professore presso il Centro interdipartimentale Mente/Cervello - CIMEC
Lucio Schiavon è illustratore e graphic designer

Dal Capitolo 1 – La persona che vive la sordità (pag. 4-11)

Non è (solo) questione di orecchio

Cercare di capire la sordità limitandosi a spiegare come funziona l’orecchio è come cercare di capire il volo degli uccelli concentrandosi solo sullo studio delle piume — semplicemente, non si può fare. Apro questo volume parafrasando un padre fondatore delle neuroscienze cognitive, David Marr, che già nei primi anni Ottanta del secolo scorso metteva in guardia coloro che ritenevano di poter comprendere il funzionamento del cervello partendo sempre e solo dalla biologia dei neuroni.
Analogamente, per capire davvero la sordità, il punto di partenza non può essere esclusivamente il funzionamento dell’orecchio. Bisogna capire come l’esperienza di vivere la sordità influenza il modo in cui la persona interagisce con l’ambiente circostante, inteso come mondo fisico e mondo sociale.
In queste pagine cercherò di guidarvi all’interno del mondo complesso e sfaccettato della sordità, adottando una prospettiva psicologica e neuroscientifica, non trascurando alcuni elementi fondamentali di natura medica, linguistica e sociologica, senza i quali è difficile comprendere i molti dibattiti sul tema.

[...]

Mai dare per scontata la condivisione acustica

Ora che abbiamo introdotto la molteplicità di esperienze associate alla sordità, la differenza fra sordità precoce e sordità tardiva, e abbiamo accennato a cosa può significare vivere il primo anno di vita (o oltre) con una perdita di udito severa o profonda, mettiamo a fuoco un concetto che riguarda tutte le persone che vivono la sordità — indipendentemente dalle caratteristiche audiometriche e dal suo esordio. Quando viviamo in un ambiente con altre persone siamo portati a pensare che ciò
che noi percepiamo, anche gli altri percepiscono. Iniziamo una conversazione nell’aspettativa di essere compresi, facciamo esclamazioni di gioia convinti che siano recepite da chi è attorno a noi, creiamo ambienti sonori pensandoli condivisi. Ma quando la persona vive la sordità questa condivisione acustica non è mai da dare per scontata.
Mettersi in relazione con una persona che vive la sordità richiede uno sforzo di empatia sensoriale al quale, se siamo persone con udito tipico, non siamo abituate. Non c’è nulla di semplice o scontato nel rappresentarsi il mondo sensoriale e mentale degli altri, soprattutto dei bambini. Mettersi in relazione e comunicare con un bambino che vive la sordità, ad esempio, può essere una sfida importante per un genitore udente. Non è un caso, infatti, che la ricerca abbia rivelato uno smarrimento e perdita di efficacia comunicativa nei genitori udenti che ricevono la diagnosi di sordità del proprio bambino.
Laddove i genitori dovrebbero comunicare in maniera più dialogica e attenta — perché il loro figlio vive le esperienze uditive in maniera parziale — si osservano invece scambi più richiestivi e unidirezionali. Ciò accade perché il genitore fa fatica ad accettare di non avere il figlio udente che aveva immaginato. Inoltre, accade perché il genitore deve trovare un equilibrio del tutto nuovo tra comportamenti appresi durante tutta la sua vita da udente, e comportamenti inclusivi che permettano al bambino che vive la sordità di partecipare alla vita della famiglia.
Il risultato è che quell’insieme di esperienze relazionali, comunicative e linguistiche che costituiscono il bagno di stimoli dai quali la mente del bambino trae nutrimento per crescere rischiano di essere impoverite o, persino, mancare del tutto.

Per gentile concessione del Centro Studi Erickson.