Diffusione di fake news, teorie del complotto, influenza degli algoritmi sulle nostre scelte e sui nostri comportamenti, impatto dei social media sulla salute mentale dei ragazzi e molto altro. Quante sono le paure collettive legate alle recenti tecnologie di comunicazione digitale? Del resto, la storia ci insegna che ogni innovazione – dalla stampa ai social media – ha spesso suscitato paure che si sono poi rivelate eccessive. Questo libro smonta alcuni miti contemporanei, mostrando come possiamo affrontare con intelligenza e consapevolezza le sfide dell’era digitale. Una guida indispensabile per orientarsi tra preoccupazioni giustificate e allarmismi infondati, e affrontare in modo critico e consapevole l’era digitale.
Alberto Acerbi è ricercatore presso il Dipartimento di Sociologia e ricerca sociale dell'Università di Trento.
Dall'introduzione
L’uso degli smartphone può aumentare il rischio di pubertà precoce. Questo titolo, apparso sulle pagine online dei principali giornali italiani, inclusi il «Corriere della Sera» e «la Repubblica», ha attirato la mia attenzione, come probabilmente quella di altri genitori. Non bastavano depressione, sbalzi d’umore, perdita di ore di sonno? Peccato che (anche se dovrei dire per fortuna), andando a leggere gli articoli e dedicando qualche minuto alla ricerca su Google, si scopriva che il titolo riguardava i risultati di uno studio effettuato su topi di laboratorio. Per la precisione 18 topi di laboratorio. I ricercatori avevano diviso i topi immaturi in tre gruppi da sei ciascuno. Avevano poi esposto due dei gruppi a luce blu per 6 o 12 ore al giorno, mentre il terzo gruppo non era stato esposto. Nei topi dei primi due gruppi la pubertà si era manifestata, in media, qualche giorno prima.
Dovremmo, basandoci su questo risultato, preoccuparci per la pubertà delle nostre figlie e dei nostri figli? Secondo Amy Orben, una psicologa che si occupa della relazione tra utilizzo dei social media e salute mentale, soprattutto negli adolescenti, e che incontreremo ancora più avanti, l’impatto della luce blu – che è, in effetti, la luce delle frequenze prodotte dagli smartphone – «sui giovani e sul sonno è ancora poco ricercato e non chiaro, anche negli umani. Questo studio su topi di laboratorio ci dice poco o nulla su quello che potrebbe accadere nei bambini».
Per il momento, dunque, non mi inquieterei troppo. Nell’esperimento non c’erano né bambini né, bisogna dirlo, smartphone. Potrebbe essere che l’esposizione alla luce blu, che, incidentalmente, è la luce prodotta da tutti i dispositivi LCD e LED, quindi anche tablet, PC, e la buona vecchia TV (almeno nella versione attuale a schermo piatto), abbia delle influenze sugli ormoni che regolano la pubertà, come le ha sulla produzione della melatonina. Per ora, è difficile dirlo ed è ancora più difficile sapere se, qualora questi effetti esistessero, potrebbero davvero avere delle conseguenze concrete su di noi. Quello che è importante, qui, è come il risultato di una ricerca forse interessante, ma sicuramente molto preliminare e non riguardante gli esseri umani, e solo indirettamente gli smartphone, viene presentato al pubblico, e come questo sia spia di un atteggiamento più generale, andato via via intensificandosi negli ultimi anni.
La diffusione delle tecnologie di comunicazione digitali e online ha conosciuto un’accelerazione incredibile, non c’è bisogno che vi convinca di questo. Le conseguenze sull’economia, sulla società e sulla nostra vita quotidiana sono molteplici e si palesano di fronte a noi in un processo che continua giorno dopo giorno. Non è sorprendente che questo generi paure.
Ho iniziato a occuparmi degli effetti delle tecnologie digitali diversi anni fa. Il mio ambito di studi riguarda l’evoluzione culturale e cercavo un tema rilevante per la società contemporanea a cui applicare questa prospettiva di ricerca. La teoria dell’evoluzione culturale è un insieme di metodi e di ipotesi con cui vari ricercatori studiano le dinamiche culturali: come mai alcune idee, abitudini, o tecnologie diventano popolari e altre no? Quali sono i meccanismi che permettono di trasmetterci informazioni l’uno con l’altro? Che effetti hanno diversi meccanismi sulle traiettorie che prende la cultura? Quanto siamo influenzabili? A differenza di molti studiosi che si occupano di questi argomenti, i ricercatori nell’ambito dell’evoluzione culturale, come me, pensano che essi debbano essere studiati con i metodi utilizzati nelle scienze naturali: esperimenti, analisi di dati, modelli statistici e matematici. Ancora, a differenza di molti studiosi che si occupano di questi argomenti, i ricercatori nell’ambito dell’evoluzione culturale pensano che l’evoluzione biologica della specie umana sia importante per capire alcune caratteristiche della culturaumana. Prometto che non vi tedierò troppo con tutto ciò, tuttavia questo è il modo di pensare che ha formato le mie idee sulle tecnologie digitali e per capirle sarà necessario a volte fare qualche escursione tra le ipotesi che parlano della trasmissione culturale, dell’influenza sociale e della propaganda (per esempio nel secondo capitolo). Spero sarà utile.
All’inizio non avevo un’opinione ben definita, positiva o negativa, sulle conseguenze delle tecnologie di comunicazione digitali e, più o meno dieci anni fa, la discussione era tutto sommato limitata al numero relativamente ridotto di specialisti che ci lavoravano. Poco dopo, una serie di eventi di richiamo internazionale, come il risultato del referendum con cui il Regno Unito ha lasciato l’UE nel 2016 (Brexit), l’elezione di Donald Trump a presidente degli USA nel 2016 o lo «scandalo» di Cambridge Analytica nel 2018, ha coinciso – non casualmente, come discuteremo in seguito – con una vera e propria esplosione di interesse pubblico e scientifico. Improvvisamente o quasi, le preoccupazioni riguardanti i putativi effetti deleteri della nostra vita «iperconnessa», le fake news, le teorie del complotto che circolano sui social media, sono diventate argomenti di discussione quotidiana, generalmente, o quasi esclusivamente, trattate con un’enfasi negativa e allarmistica. Questo mi sembra poco in linea con la maggior parte della ricerca, da cui invece sembra emergere una visione più sfumata, o che in molti casi, come vedremo in dettaglio, sembra contraddire esplicitamente quella che era, ed è tuttora, la narrazione diffusa.
Questo volume si propone due obiettivi. Il primo è quello di presentare questa ricerca. Non pretendo di offrire una rassegna esaustiva della letteratura scientifica: per ogni argomento che affronteremo nei capitoli centrali sarebbe necessario un intero volume. Cercherò invece di presentare gli studi che mettono in luce come l’immagine allarmistica che ci viene quasi sempre offerta presenti delle lacune importanti. Naturalmente, penso che questi studi colgano nel segno e proverò a spiegare il perché. Se ne sarete sorpresi, sarò riuscito a raggiungere il mio scopo. Esamineremo come la disinformazione online non sia così abbondante e come i suoi effetti siano, perlomeno, più complicati di quanto molti pensano (capitolo terzo). Il capitolo quarto riguarderà le teorie del complotto: vedremo che, sebbene abbiano interessanti caratteristiche che le rendono un contenuto adatto per i social media, non sembra siano più diffuse oggi che nel passato e, come per la disinformazione, è plausibile che la loro (relativa) popolarità sia più un sintomo che una causa di problemi sociali più profondi. Nel quinto capitolo parleremo di polarizzazione. Ci sentiamo ripetere che le società contemporanee sono diventate più faziose e che è impossibile discutere con «l’altra parte». La colpa? Internet e le sue echo chambers dove non siamo esposti a informazione contraria, e i social media dove ci ritroviamo solo con altri che la pensano allo stesso modo. Queste idee sono probabilmente sbagliate. Nel sesto capitolo parleremo degli algoritmi che decidono quali informazioni vediamo sui social media. Davvero inserzioni mirate su Facebook possono cambiare il risultato di un’elezione? Davvero le pubblicità online sanno tutto di noi e ci influenzano più dei tradizionali annunci generalisti? Davvero gli algoritmi tendono a favorire contenuti ideologicamente estremi nei social media, contribuendo a radicalizzarne gli utenti (cioè noi)? Anche in questo caso, vedremo come i risultati delle ricerche al riguardo siano molto più sfumati di quello che spesso ci sentiamo ripetere. Il settimo capitolo indagherà il rapporto tra l’utilizzo dei social media e il benessere mentale: vedremo che, sebbene l’effetto dei cambiamenti radicali che l’utilizzo dei social media sta generando non vada assolutamente sottovalutato, soprattutto per il comportamento di giovani e adolescenti, i risultati che ci provengono dalle ricerche sono di difficile interpretazione e presentano un’immagine meno pessimistica.
Il secondo obiettivo è un po’ più ambizioso. Cercheremo di inquadrare le preoccupazioni riguardanti le tecnologie digitali contemporanee in una prospettiva più ampia, che include le reazioni all’introduzione di precedenti tecnologie di comunicazione, per esempio la radio, la stampa, ma anche la scrittura stessa (nel primo capitolo), e che fa riferimento ad alcune caratteristiche generali della psicoogia umana e dell’evoluzione culturale, e a come queste interagiscono con le innovazioni tecnologiche e comunicative (nel secondo capitolo). In questo modo, credo sia possibile pensare in generale agli effetti di queste tecnologie, sia quelle di oggi sia quelle, che ancora non conosciamo, di domani. Ci sono molte cose di cui non parlerò, dai possibili effetti dei famigerati bot nei social media alla diffusione dei deepfake e in generale dei contenuti creati con i recenti sviluppi dell’intelligenza artificiale, ma spero che gli strumenti qui presentati saranno utili per ragionare anche su questi temi.
Infine, nell’ultimo capitolo, tenteremo di abbozzare qualche risposta, a partire da questa prospettiva, alla domanda più pressante: qual è il modo migliore, come individui e come società, di fare fronte a questi cambiamenti?
Tecnopanico. Media digitali, tra ragionevoli cautele e paure ingiustificate, di Albero Acerbi, Il Mulino, 2025, pp.192




