Foto Adobe stock, generata con Intelligenza Artificiale

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Intelligenza artificiale: diritto, etica e democrazia

a cura di Federico Casa, Santo Gaetano, Giulio Pascali

5 maggio 2025
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Le nuove tecnologie informatiche e i sistemi di intelligenza artificiale (IA) pongono problemi che riguardano i campi del diritto, dell’etica e il rapporto dei cittadini con le istituzioni. Con riferimento all’esperienza giuridica, si tratta di comprendere se sia solo sufficiente regolare nuovi ambiti o se invece sia necessario modificare e integrare i modelli di comprensione dell’esperienza giuridica stessa. In ogni caso, assume oggi sempre maggiore importanza non solo la formazione del giurista, ma anche quella del cittadino: entrambi, pur da prospettive diverse, sono infatti chiamati a utilizzare i nuovi strumenti digitali e a fronteggiarne rischi e complessità (sicurezza informatica, tutela della privacy, proprietà intellettuale). Le tecnologie informatiche e l’IA rendono inoltre necessario capire se i tradizionali modelli etici siano ancora in grado di garantire la dignità e la salute umana di fronte ai pericoli derivanti dalla datificazione, dalle violazioni della privacy, dalle discriminazioni digitali. Da ultimo, il volume affronta il tema dell’interferenza degli strumenti informatici nel rapporto cittadino/istituzione, trattando i temi della manipolazione del consenso, del voto democratico e delle criticità della cittadinanza digitale, fino ai nuovi scenari proposti dal metaverso.

Federico Casa è professore presso il Dipartimento Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Trento. 
Santo Gaetano e Giulio Pascali sono avvocati.

Dalla prefazione (pag 12-14)

Il mito della neutralità della scienza e dell’asetticità della tecnica si è accresciuto nella realtà digitale ed è stato ancor più esaltato nella prospettiva di una regolamentazione sociale attraverso il modello algoritmico. Che trova rispondenza sul piano giuridico nell’ipotesi della giustizia predittiva, dove la previsione del futuro è costruita sui dati del passato, secondo una logica che ritiene la macchina più affidabile dell’uomo, ma in un’ottica in cui il futuro fondato sul passato esclude completamente l’orizzonte del presente. Ma esclude, soprattutto, l’imprevedibilità umana, la capacità volitiva, i sentimenti, l’aspetto spirituale, ovvero tutto ciò che non è riproducibile matematicamente, ma che presiede incommensurabilmente all’agire dell’uomo.

L’annullamento della relazionalità fa ripiegare la gamma di varietà della prassi nel ristretto ambito dell’astrattezza, quasi che si possa disciplinare, controllare e comprimere in un cerchio chiuso la mobilità naturale dell’uomo. Ora, il problema della relazionalità emerge in maniera imperiosa nel momento in cui diventa palese il fatto che non si tratta più di definire il rapporto con il programmatore, e neppure quello tra il programmatore e la macchina, ma anche quello direttamente con la macchina, poiché ormai l’intelligenza artificiale consente di svolgere non soltanto compiti che altrimenti avrebbe dovuto svolgere l’uomo, bensì compiti che l’uomo non avrebbe mai pensato di compiere. In altri termini, non integra più soltanto l’uomo, ma va al di là delle sue aspettative e delle sue intenzioni, nel senso che appare sempre più titolare di una capacità autonoma e indipendente e di coprire spazi inimmaginabili per l’essere umano.

In questa prospettiva diventa arduo non solamente individuare tecniche normative di regolamentazione giuridica, ma anche risolvere le questioni più spinose su un piano strettamente etico, poiché alla formulazione di principi etici riguardanti l’azione di chi opera sulle macchine o relativi alle modalità di composizione dell’attività delle macchine si sta sostituendo l’idea di un’etica propria degli strumenti di intelligenza artificiale.

Appare, perciò, necessario esplorare in profondità le questioni poste in tema di sicurezza e tutela dei diritti, per comprendere la direzione da intraprendere al fine di individuare risposte e soluzioni giuridiche efficaci. Ma è ugualmente determinante interrogarsi sulle nuove frontiere dell’etica, chiamata a delineare i confini applicativi dell’intelligenza artificiale, ma anche a definire i principi orientativi da porre a fondamento delle strategie operative riguardanti direttamente la vita dell’uomo. Per non dimenticare, infine, la riflessione filosofica sui risvolti politici dell’invadenza dell’IA, che rimettono in discussione le tradizionali categorie del politico, ma soprattutto modificano radicalmente i luoghi del potere, con quanto ne discende sulla reale capacità di incidenza dell’azione dei governanti sui destini delle comunità politiche. E che invitano a scoprire i dovuti accorgimenti per impedire lo sfaldamento dei valori della democrazia e la graduale erosione degli spazi di libertà.   

Ecco perché bisogna andare oltre e non pensare che i processi in corso siano irreversibili. Come non erano e non sono irreversibili quelli legati allo sviluppo della scienza medica o ancora quelli riferibili al fenomeno della globalizzazione. Sotto questo profilo deve rimanere fermo il monito di Marino Gentile, che, in un saggio del 1943 su Umanesimo e tecnica, rileva come la tecnica non è in grado di indicare, né vuole indicare, un vero fine da perseguire, perché è sempre e comunque soltanto un mezzo per raggiungere qualcos’altro oltre se stessa.

Anche nel mondo dell’intelligenza artificiale ci si accorge, quindi, che esiste qualcosa che sfugge alla precisione programmatica, alla completezza della logica algoritmica, qualcosa di eccedente, che tocca gli aspetti non prevedibili, non definibili e non circoscrivibili riguardanti l’essere dell’uomo. Ci si accorge, cioè, che manca completamente ogni riferimento a ciò che compone l’unità dell’essere dell’uomo e che esula dalla mera storicità, per accedere al piano della spiritualità, capace di proiettare verso l’essenza dell’essere, di spingere verso l’Assoluto, per ritrovare lì il senso dell’operatività della tecnologia e dello sviluppo digitale.

In questa prospettiva al diritto non è richiesto semplicemente di compiere una riformulazione dei concetti e di tradurre in termini giuridici le innovazioni provenienti dal mondo artificiale, quanto di coordinare gli strumenti normativi necessari a difendere l’individuo contro l’onnipotenza tecnologica e il bene comune contro gli interessi particolari. Nella consapevolezza che l’artificiale va ripensato sempre nell’alveo di quanto appartiene alla natura dell’essere, caratterizzata, alla radice, dal lògos, in virtù della natura ontologicamente relazionale dell’uomo. E il fatto che l’uomo vive naturalmente in relazione con gli altri impone la presenza “naturale” del diritto, chiamato, perciò, a garantire all’interno della/delle comunità rapporti secondo giustizia. 

Rapporti in cui tutte le sfaccettature dell’essere dell’uomo sono contemplate e non soffocate nell’oscura nullità degli algoritmi. 

Dal Capitolo 9: Etica delle nuove tecnologie: il caso delle discriminazioni digitali (pagg. 187-189)

Occorre allora domandarsi, anche con riferimento alle discriminazioni digitali, se la tradizionali categorie giuridiche debbano esser ripensate e modificate, come sempre ha fatto la scienza giuridica, oppure, preso atto della natura orizzontale delle fonti, della loro frammentarietà e comunque del pluralismo degli atti normativi e regolatori, sia preferibile ricercare la giustizia in quella porzione di ordinamento che si riscontra nel caso particolare, finanche nel caso singolare, e ciò attraverso il ricorso ai princìpi, alle clausole generali e all’attività interpretativa delle autorità giurisdizionali, sullo sfondo naturalmente delle proclamazioni dei diritti umani. 

La risposta non può che andare nella prima direzione. Ciò significa adattare le categorie giuridiche alle ICT e all’IA: ai contratti  delle piattaforme digitali ; alle responsabilità che discendono dalla diffusione della robotica ; alla rappresentazione giuridica degli “eventi” che avvengono in rete quali “beni giuridici”, mettendo in discussione la tradizionale opposizione tra situazioni giuridiche reali e obbligatorie e il rapporto tra fatti giuridicamente non rilevanti e beni . È pur vero che da più parti è affermato che, siccome le categorie giuridiche sono figlie della Pandettistica ottocentesca, a sua volta espressione di un ordinamento giuridico che vedeva nello Stato l’unica fonte del diritto, da almeno settant’anni sono divenute inutili, in quanto del tutto incapaci di dare conto della mutata realtà politica, sociale, economica e persino tecnica (si pensi per l’appunto alle ICT e all’IA), dovendo perlopiù esser sostituite dai princìpi , dai giudizi di valore degli interpreti  e dagli interventi creativi della giurisprudenza.

Eppure, il giurista ha bisogno di orientare il suo agire, di giustificare le sue soluzioni e di proporre categorie che non si limitino a chiarire i nessi causali dell’esperienza giuridica; è l’esperienza giuridica stessa che rimanda ad un “principio” altro da sé, e ciò per poterla rivestire di significato.

Ne deriva la necessità di un’etica e pertanto di una precisa idea della natura dell’uomo; egli non è in grado di costruire le sue teorie, non è in grado di comprendere le ICT e l’IA, senza una visione etica, che gli consenta di conoscere eppoi orientare il suo agire.

Le concezioni dell’uomo sulle quali si fondano le principali teorie etiche contemporanee sono: l’utilitarismo, di cui il consequenzialismo costituisce una evoluzione; il deontologismo; e l’etica delle virtù, di cui il giusnaturalismo rappresenta una variante. 

L’utilitarismo afferma che la più grande felicità del maggior numero di persone può realizzarsi a scapito dell’infelicità di alcuni. Nei confronti di tale obiezione, il consequenzialismo distingue finalità che sono beni in senso empirico, riguardanti il benessere fisico e materiale, e scopi, che sono beni in senso propriamente razionale e morale. Ci pare si tratti dell’idea stessa che oggi domina l’etica implicita nelle ICT e nell’IA.

Il deontologismo stabilisce il primato della legge e del dovere sul bene, va incontro alle obiezioni del formalismo e, in situazioni morali particolarmente complesse, del rigorismo. A tali obiezioni effettivamente rispondono le teorie che ripropongono l’impianto deontologico, sostituendo a leggi e doveri principi personalistici, come il rispetto della dignità dell’uomo e dei suoi diritti fondamentali; si tratta in ogni caso di un sistema dei valori non universale.

Il giusnaturalismo, invece, è spesso criticato perché si riferisce a un codice di leggi generali e immutabili, astratto dall’esperienza e pregiudicato da pregiudizi metafisici e religiosi. Il giusnaturalismo può però anche essere formulato come una teoria dei beni umani e del ragionamento pratico per conseguirli, una teoria delle virtù e dell’uomo buono, oppure ancóra come una concezione della persona, basata sul riconoscimento delle caratteristiche di razionalità e libertà dell’essere umano e della sua capacità di perseguire autonomamente finalità proprie.

Non siamo in grado di affermare se, per misurarsi con le ICT e l’IA, occorra aderire a questa o a quella concezione etica, ma di certo non è possibile comportarsi, “come se” fosse possibile farne a meno.

Intelligenza artificiale: diritto, etica e democrazia, a cura di Federico Casa, Santo Gaetano, Giulio Pascali, Il Mulino, 2025,  pp.320