Il problema del rifiuto delle cure nella dottrina di ius commune si sviluppa attraverso il grande tema della relazione tra la libera volontà individuale e la tutela pubblica, intesa quest’ultima sia in senso soggettivo (responsabilità morale) sia in senso oggettivo (responsabilità legale). L’interpretatio messa a punto tra i secoli XII e XVI, vale a dire nell’arco di tempo che va dal Medioevo alla prima Età moderna, fa da cerniera tra fatto e diritto, e pone così gli interrogativi di fondo intorno ai quali ruota la questione oggi dibattuta come ‘fine vita’. Fino a che punto, per il diritto, può spingersi l’esercizio della volontà soggettiva? E, d’altra parte, fino a che punto può estendersi l’intervento del potere pubblico nel limitare giuridicamente l’esercizio della volontà personale? La questione sembra rinviare inevitabilmente al contrasto insanabile tra la risposta legata a valori religiosi e la risposta dettata invece dalla coscienza laica. Ma proprio a questo riguardo la dottrina di ius commune mostra caratteri peculiari ed originali. In essa si dà spazio alla capacità di pensare l’aegrotus invitus, il malato che rifiuta la cura, come civis invitus. L’adagio secondo cui ‘interest rei publicae homines viventes conservari’ appare significativo di un’etica nuova, in grado di elevarsi al di sopra e al di là del sistema di valori religiosi, incarnata e incarnante la civitas. Essa sembra riconducibile ai princìpi fondamentali dell’ordinamento civile: c’è una giustizia civile più alta rispetto alla volontà libera dell’uomo. C’è una ratio humanitatis, fonte del diritto, in cui possono incontrarsi soggettività e norma.
Cecilia Natalini è professoressa presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento.
Dalla premessa (pag. XII)
Il punto di partenza è stato dunque il desiderio di ricostruire la sottile trama della relazione tra il medico e il malato nell’ipotesi malaugurata che quest’ultimo voglia abbandonare le cure. Come si pone l’ordinamento giuridico medioevale di fronte alla scelta di morte? Quali sono i diritti del singolo e della comunità e come si rapportano? Quale è il bene giuridico da tutelare e quali le garanzie da assicurare? Il mondo dello ius commune non ha una risposta univoca, si muove tra i diritti non soltanto del singolo ma anche della civitas, offre le soluzioni che la cultura del momento suggerisce ma apre al tempo stesso uno spazio di riflessione decontestualizzata largo e ricco.
Dal capitolo VI: Considerazioni conclusive (pag. 154)
C’è una ragione umanitaria (humanitatis ratio) – secondo la pregnante espressione del canonista Guido da Baisio – che la civilistica declina come interesse pubblico e che diviene un interrogativo importante, meritevole di nuova riflessione. Ancora una volta vale la pena di sottolineare come, allorché ciò effettivamente avviene, non si realizza la ‘conversione’ tra teologia e diritto: è piuttosto la dottrina civilistica dell’interesse pubblico a preservare la vita dei cittadini ad essere impiegata per il caso del medico che omette di curare l’aegrotus invitus; non viceversa. Questa conclusione non vacilla neppure di fronte all’influsso di lungo termine, sulla cultura giuridica, proveniente dal pensiero tomista.
Dal Capitolo IV: La salus come "interesse pubblico" (pagg. 101-114)
[...] si spiega forse perché Alberico da Rosciate (aa. 1290- 1360), ottimo conoscitore delle tesi contrastanti dei doctores circa la tutela processuale da attribuire alla negotiorum gestio – riferite in un excursus che, nella Summa Codicis, va da Martino a Cino, compresa l’esposizione della quaestio pilliana – non leghi affatto quelle dottrine al problema delle cure mediche, cui invece riserva un cospicuo passaggio del Dictionarium. Qui risulta indicizzato il lemma ‘medicus’, a cui è dedicata una lunga trattazione, attraverso la quale la posizione del medico è analizzata a tutto tondo, a iniziare dalla definizione. Ma soprattutto appare di rilievo che sia per così dire ‘indicizzato’ il ‘rifiuto delle cure’, come quaestio tipica: ‘An medicus teneatur potius gratis curare quam permittere mori aegrum’: il primo tentativo di trattazione a carattere ‘monografico’ è compiuto. Non la negotiorum gestio ma l’obbligatorietà dell’intervento medicale, eventualmente anche a titolo gratuito, risulta essere il nocciolo della questione. Tuttavia, si noterà che l’intera riflessione si regge sulla natura morale dell’obbligo, la questione della tutela giudiziale del medico per il recupero del salario è, per così dire, liquidata mediante il secco rinvio allo Speculator: quasi che, a parere di Alberico, le difficoltà provenienti dalla civilistica, circa la negotiorum gestio compiuta dopo il divieto manifestato dal dominus, non siano di rilievo per dipanare la questione del rifiuto delle cure.
[...]
si apre la possibilità di comprendere come l’intenzione di abbreviare la vita del morente potesse essere reale e potesse effettivamente giungere all’atto pratico. Giovanni di Friburgo si occupa precipuamente del peccato commesso da chi abbia avuto il proposito di accelerare la morte dell’aegrotus in fin di vita
[...]
Chi, con l’obiettivo di abbreviare l’evento letale (vt citius moreretur), ponga in essere o consigli di porre in essere manovre sul corpo del malato tali da provocare soffocamento commette peccato. Tutte queste condotte comportano responsabilità tanto grave da dover essere giudicate non dal sacerdote – la cui eventuale assoluzione sarà invalida – ma dal vescovo. Si tratta cioè di casi penitenziari riservati al vescovo. Con qualche differenza a seconda che l’evento mortale si sia verificato o meno. Nel primo caso, il peccato determina ‘irregolarità’ (irregularis est). Quest’ultima invece non si genera (non incurritur irregularitas) nel secondo caso, per il quale dovrà fare penitenza soltanto in relazione alla cattiva intenzione. Ugualmente dovrà fare penitenza chi metta in atto sortilegi praticati da vecchie donne maligne, al fine di anticipare la morte, i quali peraltro non hanno il potere di realizzare questo fine (virtutem huiusmodi habeant hec sortilegia). Perciò, ancora una volta la penitenza riguarderà l’intenzione.
[...]
D’altra parte, benché sia chiara la colpevolezza del soggetto che intenda abbreviare la morte del malato è altrettanto evidente – per quanto non dichiarato – che tra le mura domestiche, per molte ragioni, si possa desiderare di anticipare la morte del malato privo di speranza di vita, senza che il fatto divenga di pubblico dominio. In poche parole, il fatto potrebbe restare confinato nella coscienza di chi si adopera affinché l’aegrotus «citius moriretur». Le asserzioni dottrinali, le pene dei confessori svolgono certamente la funzione di prevenzione e deterrenza ma, in ultima analisi, la questione riguarda l’intima relazione del singolo con Dio. Similmente avviene quando sia il malato stesso a domandare un intervento medicale, eseguito il quale egli muore (Quid de custodientibus infirmos qui ad eorum petitionem uocauere flobothomatorem qui eum flobothomauit et mortuus est). Il criterio di giudizio tiene a riferimento di nuovo l’intentio. Si ha riguardo cioè al fine della richiesta, se sia cioè colpevolmente ed evidentemente finalizzata ad anticipare la morte (euidens culpa vel negligentia sibi possit imputari ex qua appareat mors secuta). In questo caso si incorre, come nei precedenti sopra esposti, in irregularitas (tunc enim irregularis est). Giovanni di Friburgo, anche per questa circostanza, detta la disciplina da seguire; e Alberico ad essa si attiene senza null’altro aggiungere.
[...]
Non è la prima volta – lo sappiamo – che l’‘interest rei publicae’ compare nelle argomentazioni presentate dai giuristi per spiegare la negotiorum gestio prestata prohibente domino. Già Cino aveva affermato «Reipublicae interest ne quis re sua male utatur», e Bartolo aveva fatto luce sul «quod tangit personam vel libertatem vel vitam vel ciuitatem». Ma Baldo, in più rispetto ai predecessori completa questa rassegna argomentativa. Non soltanto il potere pubblico è responsabile di evitare che i morti restino senza sepoltura ma anche è responsabile di garantire ai cittadini la vita. In poche parole, non la cultura della morte ma la cultura della vita risulta essere il valore recepito e tutelato dalla res publica. Per questo Baldo – «uomo dei due mondi, la cui profondità religiosa genera una sensibilità estrema per i contrasti tra le due leggi, che trovano una spiegazione coerente solo nel sistema dell’utrumque ius» – segna una tappa decisiva. Egli diviene frequente punto di riferimento nelle allegazioni dei giuristi successivi che accosteranno l’intervento del terzo in favore della vita delle persone all’intervento del medico in favore del malato che rifiuti la cura: un intervento legittimo, auspicabile e meritevole di tutela giudiziale. La dottrina di ius commune della prima modernità eredita dunque dal medioevo un lascito argomentativo sul rifiuto delle cure solido e gravido di ulteriori spunti di riflessione.
Dal capitolo VI: Considerazioni conclusive (pagg.155-156)
pp. 155-156: Il quadro medioevale imprime un carattere all’interpretatio della prima età moderna, la quale peraltro opera una scelta importante tra le differenti linee argomentative sviluppate per l’innanzi. L’intuizione baldesca dell’interesse pubblico risulta condivisa ed è resiliente. A essa si affianca l’ulteriore resistenza al tempo della riflessione del canonista Guido da Baisio circa il principio di humanitatis ratio, criterio guida per orientare la scelta del legislatore. A essere soggetta ai maggiori attacchi è invece la dottrina del glossatore ordinario del Decretum Gratiani, secondo il quale l’aegrotus invitus è presunto essere furiosus ed è perciò incapace di esprimere la valida volontà. Contro l’assolutezza di questa praesumptio si schiera Andrea Alciato e poi l’allievo, lo spagnolo Pedro Ruiz de Moros. Questi ragiona sulle possibili differenti cause che possono indurre il malato a rifiutare la cura: non tutte le causae del rifiuto riconducono all’insanità di mente. Si ingenera così una riflessione dottrinale volta a imprimere un diverso indirizzo interpretativo rispetto al passato: si dovrà valutare volta a volta la ragione del rifiuto, anche con il supporto dei familiari dell’aegrotus invitus.
Libro pubblicato in open access con licenza CC-BY-NC-ND 3.0 Italia scaricabile dall'archivio IRIS.