Un vetrino istologico ©Claudio Doglioni 

Innovazione

Dal vetrino al file

Anatomia patologica digitale per una nuova diagnostica e ricerca sui tumori e cure migliori

24 settembre 2024
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di Veronica Foletto
Fondazione Pezcoller

La diagnostica e la ricerca di nuova generazione sui tumori per una migliore qualità delle cure passano anche da Trento. Università di Trento e Fondazione Pezcoller durante l’estate, infatti, hanno firmato una convenzione per un progetto di anatomia patologica digitale. Le attività di didattica e di ricerca vedono protagonista Claudio Doglioni, professore straordinario dell’Università Vita e Salute - San Raffaele di Milano, che sarà in forza al Centro interdipartimentale di Scienze mediche (Cismed) dell’Università di Trento con un contratto di un anno di visiting professor, rinnovabile per un altro. A farsi carico del finanziamento è la Fondazione Pezcoller. UniTrentoMag entra nei dettagli del progetto e nelle nuove frontiere dell’anatomia patologica.

«Sono convinto che questo progetto, e altri che sono in essere e stanno nascendo, sia una bellissima metafora di come l’interazione tra tutti gli attori, clinici, ricercatori e terzo settore, possa fornire grandi opportunità di ricerca a soprattutto dare un contributo alla qualità delle cure» commenta Mattia Barbareschi, clinico dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari e docente Cismed dell’Università di Trento che lavorerà a stretto contatto con Doglioni. «Come diceva Umberto Veronesi: “Ci si cura meglio dove si fa più ricerca”».

Professor Barbareschi, qual è il ruolo dell’anatomia patologica nella medicina moderna?

«L’Anatomia patologica è la branca della medicina che permette di definire la natura di numerose malattie, in primis quelle neoplastiche. Nel tempo si è arricchita di metodologie grazie alle moderne tecnologie di analisi, come il sequenziamento genico di nuova generazione. Siamo alla base della moderna medicina di precisione, che cerca di individuare per ogni persona la terapia ottimale. Ora siamo a un passo ulteriore: trasformare la visione microscopica con una digitalizzazione delle immagini dei tessuti. È una tecnica che necessita di strumenti per scannerizzare i vetrini istologici. Ogni vetrino si traduce così in un file di circa 2 o 4 giga, ricchissimo di informazioni. Si apre una nuova fase della diagnostica e della ricerca, la Digital Pathology».

E qui parliamo del progetto di ricerca sui tumori appena avviato da Università di Trento e Fondazione Alessio Pezcoller e che coinvolge Azienda provinciale per i Servizi sanitari e Fondazione Bruno Kessler. Come nasce “Artificial Intelligence in Digital pathology: from morphology to spatial transcriptomics - AID-pathology”?

«Il progetto ha origini lontane: già nei primi anni 2000 con la Fondazione Bruno Kessler, soprattutto nelle persone di Stefano Forti e Francesca Demichelis, avevamo iniziato a studiare come trasformare i vetrini istologici in immagini digitali e avevamo pubblicato la nostra esperienza su varie riviste internazionali. Poi la tecnologia si è evoluta e ora grazie a uno scanner ad alta processività di Fbk e a uno scanner di Apss che verrà installato nell’Ospedale di Rovereto, stiamo realizzando un laboratorio di patologia digitale. Questo laboratorio avrà diversi obiettivi, sia di diagnostica che di ricerca. Con Claudio Doglioni, docente e ricercatore di fama internazionale proveniente dall’Ospedale San Raffaele di Milano e visiting professor a UniTrento, è stato possibile iniziare una attività di ricerca sulla diagnostica delle neoplasie del colon e lo studio delle caratteristiche biomolecolari correlate alla sua evoluzione nel tempo. Tali indagini si avvarranno degli scanner per la digitalizzazione delle immagini e di indagini biomolecolari sui campioni di tessuto. La attività di Doglioni sarà integrata con quella dei sanitari dell’Unità operativa medica di Anatomia patologica e con quella dei ricercatori della Fondazione Bruno Kessler, cui spetterà il compito di sviluppare gli algoritmi di intelligenza artificiale con cui interpretare le immagini digitali. È prevista la partecipazione delle unità di Gastroenterologia, Chirurgia, Oncologia medica e Radioterapia, Neurochirurgia e del Servizio di Epidemiologia clinica e valutativa di Apss, in quanto ci si propone di sviluppare ricerche a elevato impatto clinico».

E quali obiettivi si pone il progetto in termini scientifici?

«Il progetto è rivolto allo studio dei tumori del colon, del fegato e del sistema nervoso centrale. Inizieremo con due obiettivi relativi ai tumori del colon. Il primo è lo sviluppo di algoritmi di analisi di immagine basati su strumenti di intelligenza artificiale che permettano un miglioramento della attività diagnostica sia in termini di accuratezza che di velocità. In pratica ci si propone di avere un sistema che possa aiutare gli anatomopatologi nella diagnostica quotidiana. Il secondo obiettivo si propone di indagare le caratteristiche delle cellule tumorali che ne permettono la infiltrazione nei tessuti sani e la crescita a distanza, nel processo di metastatizzazione».

Professor Doglioni può specificare meglio questo filone di indagine?

«Le cellule tumorali interagiscono con il microambiente circostante attivando o inibendo fattori di crescita e queste modalità di interazione sono essenziali nel processo di infiltrazione e distruzione dei tessuti circostanti e di metastatizzazione a distanza. Queste funzioni sono dovute alla attivazione, nelle cellule tumorali, di alcuni processi biomolecolari che portano alla espressione di molecole che modulano le attività biologiche delle cellule normali che a loro volta attivano altri processi molecolari come risposta allo stimolo. Nel fronte di avanzamento del tumore si crea quindi un complesso processo di interazione tra cellule neoplastiche e normali: nostro obiettivo è identificare contemporaneamente vari biomarcatori cellulari per caratterizzare e quantificare queste interazioni utilizzando sia metodiche di indagine molecolare sia algoritmi di intelligenza artificiale che permettano di integrare numerose informazioni».

Cosa l’ha spinta a iniziare questa collaborazione con le strutture trentine?

«Con Trento ho una lunghissima storia di collaborazione scientifica, che ha portato a risultati molto significativi. I primi studi fatti assieme a Barbareschi sulle alterazioni geniche dei tumori risalgono al 1992. Trento ha sempre avuto un contesto favorevole alla ricerca clinica, per la accurata gestione dei dati e la eccellente collaborazione tra le varie unità operative dell'Azienda provinciale per i Servizi sanitari che si occupano di patologia tumorale e la integrazione con le strutture di ricerca provinciali quali la Fondazione Bruno Kessler. Poi la nascita della Scuola di Medicina dell’Università di Trento ha portato un ulteriore stimolo alla ricerca. La collaborazione con soggetti come Fondazione Pezcoller, in grado di sostenere i progetti di ricerca, è inoltre un elemento fondamentale per la crescita delle conoscenze scientifiche e per il miglioramento delle cure».