L’industria automobilistica rappresenta un settore strategico per il sistema produttivo europeo e italiano. La competitività, tuttavia, è minacciata dalla transizione verso i motori elettrici e dalla trasformazione digitale dei veicoli. UniTrentoMag ha chiesto un’analisi a Sandro Trento, professore di Economia e gestione delle imprese al Dipartimento di Economia e Management e responsabile della School of Innovation di Ateneo, per capire se è possibile cambiare marcia.
Professor Trento, perché il passaggio ai motori elettrici rappresenta una minaccia per l’auto europea?
«La Commissione europea l’anno scorso ha approvato l’obbligo per auto e veicoli commerciali leggeri di non generare alcuna emissione di CO2 dal 2035. Da quella data – a meno di un ripensamento da parte del nuovo esecutivo europeo – non saranno più vendute nuove auto con motore a combustione interna, che oggi alimenta più del 90% del parco circolante italiano, tedesco o francese. Il paradosso è che all’ambizioso obiettivo non corrisponde un primato industriale europeo nel settore della mobilità elettrica. Il quadro non è incoraggiante, basti pensare al gruppo Volkswagen. Per la prima volta in 87 anni, Volkswagen ha annunciato la chiusura di tre stabilimenti in Germania, la riduzione di circa 25mila dipendenti e un taglio degli stipendi di almeno il 10%. VW e tutta l’industria europea non sono state in grado di cogliere la sfida dell’auto elettrica e oggi ne vediamo chiaramente le gravi difficoltà».
Chi si contende il monopolio mondiale dell’auto elettrica?
«La Cina è il primo produttore ed esportatore mondiale di veicoli elettrici. L’americana Tesla è la sola che riesce a competere con il principale marchio cinese, BYD, per numero di vendite globali. Anche sul mercato europeo, i due modelli elettrici più venduti nel 2023 e nei primi mesi del 2024 sono stati di Tesla (18% del totale). Si stima che la penetrazione dei soli marchi cinesi nel mercato full electric europeo sarà dell’11% quest’anno, ed è prevista raddoppiare entro il 2027. La perdita di competitività dei produttori europei non riguarda solo il mercato continentale, ma anche quello cinese, il più grande al mondo».
L’altra incognita per l'automotive consiste nella trasformazione digitale dei veicoli. Qui l’Europa come si pone?
«Anche qui l’industria europea è in grave ritardo visto che tra i fornitori strategici di software predominano Apple, Intel e Google, e come produttori diretti di autoveicoli players cinesi come Xiaomi».
Da qui il ricorso ai dazi. Ma sono una contromisura efficace per riequilibrare la situazione?
«Nella produzione di batterie, la quota Ue a livello globale è intorno all’6% (come negli Usa) a fronte del 75% della Cina. Critica è anche la dipendenza per l’estrazione e raffinazione delle materie prime chiave per la produzione delle batterie e dei motori elettrici, con la Cina che detiene un forte vantaggio competitivo nella lavorazione del litio, del cobalto e della grafite sintetica.
A ciò si aggiungono gli incentivi diretti che il Governo di Pechino concede fin dal 2009 ai produttori cinesi di auto elettriche, sotto indagine della Commissione europea, perché ritenuti lesivi della concorrenza internazionale. Per questo a partire da luglio, l’Ue ha imposto dazi più elevati sulle importazioni dalla Cina di veicoli elettrici a batteria.
Ma il costo delle auto elettriche è elevato. Sono solo sei i modelli di auto elettrica venduti in Europa a meno di 30 mila euro, di cui tre cinesi. Oltre alla limitata scala di produzione, sui costi elevati delle auto elettriche europee pesa anche l’incidenza della bolletta energetica – doppia nella Ue rispetto alla Cina».
Quali sono i fattori che compongono il prezzo di un’auto elettrica?
«La batteria da sola rappresenta fino a un terzo del valore di un’auto elettrica. Un’auto elettrica inoltre contiene sei volte la quantità di minerali usati per una tradizionale. Inoltre, il valore del software sul costo di un’auto – oggi pari al 20% – potrebbe raddoppiare entro la fine del decennio».
Il prezzo elevato è uno dei fattori che rende spesso inaccessibile l’acquisto di un’auto elettrica. Quali sono gli altri aspetti che ne scoraggiano la scelta?
«A ostacolare la diffusione delle auto elettriche, oltre ai prezzi elevati, è la carenza di infrastrutture di ricarica. In più della metà dei Paesi Ue non si raggiungono i 100 punti di ricarica ogni 100mila abitanti. In Cina tale dato è quasi il doppio».
Da alcuni decenni, assistiamo a una profonda crisi del settore automobilistico italiano. Da quali fattori dipende?
«In trent’anni di decrescita abbiamo visto il Paese perdere terreno come centro produttivo di veicoli a motore. La produzione nazionale si è dimezzata, il numero di occupati si è ridotto del 17%.
L'industria italiana dell'auto mostra alcune fragilità strutturali. Innanzitutto quella di avere il 40% delle oltre 2mila imprese del comparto specializzato nella produzione di componenti per motori a combustione interna. Un’altra debolezza è la piccola dimensione delle imprese con una media di 46 addetti a fronte degli oltre 100 delle imprese ceche, polacche e tedesche. Inoltre, il sistema automotive italiano è dipendente dalle scelte di pochi, ma importanti player internazionali per portafoglio clienti e mercati di sbocco».
Quali politiche industriali potrebbero aiutare l’auto italiana a ripartire?
«Nonostante le criticità, l’automotive rappresenta uno dei pilastri dell’economia italiana, grazie anche alle eccellenze delle auto di alta gamma e sportive e ha consolidato una leadership internazionale in diversi ambiti della produzione di componentistica. La crisi dell’auto in Germania rappresenta però una seria minaccia per la filiera della componentistica italiana che è legata in modo essenziale all’automotive tedesco. Per non perdere tale centralità, oltre a un sostegno alla crescita dimensionale delle imprese della filiera, è necessario un mix di interventi che accompagni le imprese italiane nel percorso di riposizionamento tecnologico e di mercato.
Bisognerebbe favorire l’aumento dei volumi produttivi di auto, tramite un maggior coinvolgimento del principale costruttore presente sul territorio nazionale e l’attrazione di investimenti da parte di altri produttori, verificandone il potenziale impatto positivo su occupazione e innovazione.
In secondo luogo, è fondamentale sostenere le attività di ricerca, sviluppo e innovazione industriale delle imprese che operano e investono nella componentistica, nei servizi e nelle infrastrutture legate a elettrificazione e digitalizzazione, anche attraverso nuove piattaforme e poli tecnologici in Italia.
Sarebbe infine auspicabile che le imprese dell’automotive operassero anche in settori contigui (come aeronautica, aerospazio, ferrotranviario, macchine agricole, dispositivi medici) per migliorare gli andamenti dei ricavi e che diversificassero la loro geografia extra-Ue per puntare a quei paesi dove l’eliminazione dei veicoli endotermici sarà più graduale (come gli Stati Uniti) o dove non è ancora nell’agenda politica (come Turchia e Nord Africa) per assicurarsi risorse da investire in nuove tecnologie e nei sistemi di alimentazione alternativi».