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Internazionale

Focus Ucraina. Ritorno alla guerra fredda? La Russia e l'uso della storia

Approfondimenti a cura di UniTrentoMag e Scuola di Studi Internazionali

14 aprile 2022
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Sara Lorenzini
di Sara Lorenzini
Scuola di Studi Internazionali - SSI

L’aggressione all’Ucraina, iniziata il 24 febbraio 2022, ha rappresentato un momento di ritorno al passato, al clima e al linguaggio della guerra fredda. La copertina di “Time magazine”, il 25 febbraio, dal titolo “il ritorno della storia” alludeva proprio a questo. E il recupero di temi, animosità e dinamiche da guerra fredda, da drammatico e pericoloso scontro est-ovest, è sentito ovunque. Il linguaggio della guerra fredda è ritornato in svariate forme e nelle parole di molti, osservatori e protagonisti

Il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov, ad esempio, l’8 marzo 2022, descriveva le relazioni fra Russia e occidente come una nuova era di “coesistenza pacifica”. “Coesistenza pacifica” era appunto l’espressione utilizzata dall’Unione Sovietica per descrivere la guerra non guerreggiata con gli Stati Uniti dopo la morte di Stalin, nel 1953. Il racconto giornalistico di Vladimir Putin che trascorre il lockdown a escogitare argomentazioni storicamente plausibili le sue pretese alla sovranità sull’Ucraina sono una ricostruzione probabilmente esagerata. Certamente tuttavia, nei discorsi delle prime fasi del conflitto Putin ha insistito molto sull’uso pubblico della storia, giustificando la sua politica come un ritorno alla verità storica dell’unità fra Russia e Ucraina

In fondo, l’ambizione di Putin è quella di passare alla storia come colui che ha da un lato riportato in auge la grande Russia e, dall’altro, denunciato la drammatica debolezza dell’occidente, e in particolare dell’Europa. Si pone in chiara contrapposizione con la narrazione della vittoria trionfale dell’Occidente nella guerra fredda, con l’idea della supremazia del capitalismo occidentale sul comunismo. Il 1991, l’anno del collasso dell’Unione Sovietica, non è stato l’anno della “fine della storia”, come sostiene il rappresentante più famoso delle tesi trionfaliste, Francis Fukuyama. La versione di Putin vuole sottolineare questo: che il 1991 non è stato l’anno in cui il ruolo della Russia come potenza mondiale è giunto al capolinea. 

Nella sua rappresentazione della storia, Putin sostiene due tesi. Anzitutto che l’Ucraina non è una vera nazione. In secondo luogo che nel 1991 la leadership sovietica è stata vittima di un piano occidentale per distruggere la Russia. 

Cosa dicono gli storici al riguardo? In realtà, gli specialisti di storia post-sovietica hanno ben descritto il collasso dell’Unione Sovietica sostanzialmente come opera di autodistruzione e incapacità di Michail Gorbaciov e Boris Eltsin di gestire la transizione. Hanno anche rappresentato nel dettaglio come le élite occidentali, in particolare il presidente americano George Bush ma anche il cancelliere tedesco Helmut Kohl abbiano preso posizione a favore di Gorbaciov e per la continuazione dell’Unione Sovietica, temendo che il suo collasso si trasformasse in una crisi su modello jugoslavo, complicato dalle armi atomiche. Tanto che l’editoriale del New York Times del 29 agosto 1991, intitolato “After the Fall” attaccava Bush per la sua mancanza di coraggio, per aver preso le parti del centralismo moscovita. Visto da occidente, il collasso dell’Unione Sovietica era un rischio colossale. In particolare la situazione Ucraina era vista con apprensione e la sua indipendenza vissuta come un doloroso divorzio politico che l’Occidente non intendeva incoraggiare – al contrario delle aspirazioni dei paesi baltici. 

Quanto al primo punto della ricostruzione storica promossa da Putin, esso si fonda sull’idea che l’Ucraina non sia una vera nazione bensì una creazione della Russia bolscevica. Così si legge nel discorso del 21 febbraio 2022 e, con lunga argomentazione, nel saggio del luglio 2021 “Sull’unità storica di Russi e Ucraini”. Contrariamente alla ricostruzione putiniana, tuttavia, l’Ucraina come nazione, e il nazionalismo ucraino, hanno una lunga storia che risale al diciannovesimo secolo – come gli altri nazionalismi europei. Il fatto che i confini ucraini siano porosi, che molti popoli diversi si siano avvicendati attraverso l’Ucraina trasformandola in un melting pot dalla natura cosmopolita, non è certo sufficiente a negare l’esistenza dell’Ucraina – un paese dove nel referendum del 1° dicembre 1991 ben il 90% degli elettori (l’84% degli aventi diritto) ha votato per l’indipendenza.


A return to cold war?
by Sara Lorenzini

 

The Russian aggression of Ukraine, which started on 24 February 2022, brought us back in time to the atmosphere and language of cold war. The cover of “Time” of 25 February with the title “The return of history” meant exactly this. The return of the issues, animosity and tensions that characterized the cold war and the East-West conflict is felt everywhere. The language of cold war is back at different levels and in the words of many observers and key actors

On 8 March 2022, for example, the Russian minister of Foreign Affairs Sergey Lavrov described the relations between Russia and the West as a new era of “peaceful coexistence”. “Peaceful coexistence” was the term used by the Soviet Union to describe the silent war with the United States after Stalin’s death in 1953. The journalistic account of Vladimir Putin spending his lockdown days elaborating historically plausible arguments to justify his intention to reign over Ukraine is probably an exaggeration. But in the first phases of the conflict, President Putin made a public use of history when he justified his political strategy as a return to the historical truth of the unity of Russia and Ukraine

Mr. Putin’s ambition, after all, is to be remembered in history as the man who, on one hand, made Russia great again and, on the other, exposed the dramatic weakness of the West and of Europe in particular. He clearly opposes the narrative of the triumphal victory of the West of the cold war, and the idea that Western capitalism won over communism. 1991, the year of the collapse of the Soviet Union, was not the year of “the end of history”, as Francis Fukuyama, the author of the most triumphalist of theories, claimed. President Putin’s view of history underlines this: that 1991 was not the year in which Russia ended its time as a world power. 

In his revision of history, Mr. Putin defends two theses. First, that Ukraine is not a true nation. And second, that in 1991 the Soviet leadership was the victim of a Western plan to destroy Russia. 

What do historians say about this? Actually, experts of post-soviet history have already described the collapse of the Soviet Union, in practice, as the self-destructive work and inability of Mikhail Gorbachev and Boris Yeltsin to manage the transition. They have also described in detail how Western elites, in particular US president George Bush, but German chancellor Helmut Kohl as well, sided with Gorbachev and for the continuation of the Soviet Union for fear that the collapse might turn into a Balkan-like crisis, with the addition of nuclear weapons. In an essay published in the New York Times on 29 August 1991 entitled “After the Fall”, President Bush was accused of lacking courage for siding with the centralism of Moscow. Seen from the West, the collapse of the Soviet Union posed huge risks. The situation of Ukraine in particular was a cause of concern and its independence was seen as a painful political divorce that the West did not want to encourage, while supporting the freedom aspirations of the Baltic states. 

As concerns the first point of the rewriting of history presented by President Putin, it is based on the idea that Ukraine is not a true nation but a creation of Bolshevik Russia. That is what he said in his speech of 21 February 2022 and, with a long explanation, in the essay of July 2021 “On the historical unity of Russians and Ukrainians”. Contrary to Mr. Putin’s revision, however, Ukraine as a nation (and Ukrainian nationalism) have a long history that dates back to 19th century, like other European nationalisms. The fact that Ukrainian borders are porous and that different peoples have crossed through the country making it a cultural melting pot with a cosmopolitan atmosphere is not enough to deny its existence: a nation where more that 90% of voters (84% of eligible voters) voted for independence in the referendum of 1 December 1991.

[Traduzione Paola Bonadiman]