In Iran è in corso la più grande protesta antigovernativa dell'epoca postrivoluzionaria. Decine di migliaia di cittadini, particolarmente giovani e donne, stanno scendendo quasi ogni giorno in piazza, durante le ultime quattro settimane, chiedendo la fine della repubblica islamica, al potere in Iran a seguito della rivoluzione del 1979.
La miccia che ha fatto scatenare la protesta è stata la morte della giovane ragazza Mahsa Amini, arrestata, lo scorso 13 settembre, dalla polizia etica, per aver violato il codice d’abbigliamento islamico. Mahsa, dopo poche ore dall’arresto, è entrata in coma e poi ha perso la vita in ospedale per morte cerebrale. Sono bastate poche ore a scatenare la più grande dimostrazione iraniana in segno di protesta alla morte della giovane Masha, che secondo i manifestanti e secondo evidenze dimostrate da testimoni e familiari, sarebbe stata percossa alla testa dalla polizia etica durante l’arresto, causandone così ferite letali. Tale convinzione si è fortemente radicata in una buona parte della società, nonostante le autorità neghino di aver avuto responsabilità per la sua morte.
Così Mahsa si è trasformata in un simbolo in grado di coalizzare numerose forze antigovernative e di opposizione che ormai da anni esprimono il loro dissenso nei confronti della classe dirigente al potere a Teheran. Si tratta di un movimento di protesta composto, principalmente, dagli iraniani più giovani, nati e cresciuti sotto il codice etico della repubblica islamica, i quali oggi si ribellano alla dottrina religiosa a loro imposta e chiedono il rispetto delle libertà individuali e la garanzia di parità tra i diritti delle donne e degli uomini.
Il cambio generazionale, di fatto, rappresenta un fattore cruciale in Iran. Circa il 73 percento della popolazione, su 84 milioni, è sotto i 45 anni, mentre i giovanissimi (sotto i 25 anni), rappresentano il 37 per cento della società. Tra gli slogan principali dei dimostranti ci sono "Zan, Zendeghi, Azadi" (Donna, Vita, Libertà), "Mard, Mihan, Abadi" (Uomo, Patria e Prosperità) e "Azadi, Azadi, Azadi" (Libertà, Libertà, Libertà). Il movimento di protesta non distingue tra le varie fazioni politiche, riformisti o conservatori, presenti all’interno della repubblica islamica, ma chiede un cambiamento radicale. Non ha simpatie per l’Islam politico e per ideologie di sinistra; chiede la laicità dello Stato e una modernizzazione socio-politica basata sul pluralismo dei valori.
Si tratta soprattutto della generazione nata tra gli anni 1998 e 2008, che non ha conosciuto né l’epoca dello Shah di Persia, Mohammad Reza Pahlavi, né quella dell’ayatollah Ruhollah Khomeini, il fondatore della repubblica islamica. È, da un lato, una fascia di popolazione cresciuta e formata all’interno del sistema educativo della repubblica islamica, ma, dall’altro, è presente in modo significativo su internet e segue i canali satellitari in lingua persiana dall’estero. Ciò ha dato vita a una generazione ibrida, la quale, avendo vissuto sia il controllo sociale della repubblica islamica sia il pluralismo dei valori presenti nel mondo globalizzato, ha raggiunto una sintesi di pensiero, volto alla ricerca di un sistema politico libero da autoritarismi, ed è appunto questa sintesi che si sta esprimendo attraverso le proteste.
La reazione della ruling elite della repubblica islamica è stata violenta. Secondo fonti interne e agenzie all’estero quali l’organo indipendente per la difesa dei diritti umani iraniani a Oslo, sarebbero 223 i manifestanti uccisi, tra cui 25 minorenni. La risposta delle autorità, tuttavia, non si ferma solo alla repressione in piazza. Vi sono stati, sebbene in modo limitato, tentativi di aprire un confronto con la nuova generazioni. Il comandate dei Guardiani della Rivoluzione, il generale Salami, ad esempio, ha detto di voler bene ai giovanissimi, mentre il capo del potere giudiziario, l'hojjatoleslam Mohseni Ejei, ha chiamato le nuove generazioni ad aprire un dialogo, promettendo di valutare i loro disagi. Alcuni esponenti, più pragmatici, quali l’ex presidente del Parlamento, Ali Larijani, hanno sostenuto che sia importante rivedere alcune leggi quali quelle inerenti il velo islamico. Tuttavia non sembra che queste risposte, al momento, stiano avendo un effetto sul movimento di protesta che sta invece continuando ad espandersi.