Oggi le università si sentono europee. Sono istituzioni che cambiano continuamente, così come cambiano le persone che le scelgono e le vivono per un tratto più o meno lungo della loro vita. Che i giovani stiano cambiando nelle ambizioni, nell’apertura alla mobilità o nel modo di bilanciare vita, studio e lavoro, è ormai una valutazione condivisa. Ma le università non stanno a guardare. Pur con tutte le difficoltà e i paletti interni ed esterni al sistema, cercano di adeguarsi e, sempre più spesso, di anticipare i tempi. È in questa direzione che lavora l’associazione europea di professionisti dell’alta formazione Humane, fondata nel 1997 come gruppo operativo nell’ambito della Conferenza dei rettori delle università europee per mettere in rete manager e responsabili amministrativi degli atenei europei. Ad oggi mette in rete 172 università, di cui una ventina italiane, da 26 paesi. L’obiettivo principale è quello di accompagnare le università in questo costante cambiamento.
Per raccontare di cosa si occupa Humane abbiamo intervistato Alex Pellacani, direttore generale dell’Università di Trento e componente della giunta esecutiva in rappresentanza degli atenei di Italia, Francia, Belgio e Lussemburgo.
Dottor Pellacani ci spiega come un’organizzazione professionale di questo tipo può aiutare le università a crescere?
«La rete Humane supporta manager e professionisti di settore ad allenare la propria visione, a migliorarsi attraverso il confronto e a mettere in atto buone pratiche viste in altri paesi per rendere l’innovazione un’esperienza quotidiana nelle nostre università. L’aspetto interessante di questa associazione è la disponibilità che nel tempo si è manifestata a superare la mera discussione sui numerosi lacci normativi e la carenza di risorse che affliggono i diversi sistemi universitari, non solo quello italiano. Un atteggiamento che purtroppo a volte rallenta il cambiamento e ci fa pensare che gli ostacoli siano insormontabili. Il confronto su problemi e soluzioni ovviamente rimane, così come l’analisi delle migliori esperienze. Ma in Humane trovo molto di più. Le riflessioni più interessanti sono sui temi strategici, che riguardano la visione, lo sviluppo futuro delle università europee in un mondo che cambia in modo sempre più repentino.
È un modo per guardare le cose da una certa distanza, direi più oggettiva, che permette di mettere a fuoco i problemi e anche le sfide future. Ed è una discussione che cade proprio nel momento giusto, dato che in Europa, questa è la stagione delle alleanze universitarie e tutti creano e coltivano relazioni per elaborare un modello nuovo e funzionale di università europea».
Quali altri vantaggi porta questo "fare rete" tra gli atenei europei?
«Lavorare sulle relazioni è anche un modo per costruire una rappresentanza forte di sistema. Che è indispensabile quando si deve negoziare in sede europea, ad esempio, per portare a casa investimenti o progetti utili allo sviluppo della formazione e della ricerca universitaria o dei servizi allo studio. Ma fare rete è anche indispensabile per capire che ripercussioni avranno le decisioni prese su scala europea e internazionale sui nostri sistemi universitari e in ultima istanza sui nostri atenei, sui nostri studenti e collaboratori.
Negli anni ci siamo occupati di questioni cruciali per l’università, come quelle relative alla governance. È strategico, ad esempio, riuscire a gestire il bilanciamento tra due tipi diversi di leadership presenti nel mondo dell’università: accademica e manageriale. Due mondi che devono rispettarsi e cooperare al meglio perché le cose funzionino. O anche affrontare il tema dell’autonomia delle università nella formazione e nella ricerca, continuamente rimodulata o messa in discussione dalle pressioni politiche. Per non parlare del continuo dibattito fra modelli di finanziamento – pubblico o privato – a sostegno di ricerca e alta formazione o della necessità di continuare ad attirare sempre più risorse esterne.
Abbiamo parlato anche di sfide che riguardano la gestione ordinaria che cambia perché, in base anche a elementi esogeni, mutano continuamente i fabbisogni. Pensiamo al grande tema della sostenibilità ambientale, alla gestione delle pandemie ambientali o in generale alla sicurezza da garantire nelle situazioni di emergenza e di crisi. Ma anche promuovere buone pratiche di convivenza e tenere aperto il dialogo con gli studenti che chiedono sempre maggiore ascolto, rappresentanza, investimenti nel diritto allo studio, partecipazione».
Negli anni Humane ha anche svolto indagini e progetti sulla situazione e sulle prospettive delle università europee. Quali sono le partite più importanti?
«Le università di tutta Europa sono alle prese con innumerevoli sfide, vecchie e nuove. Alcune strutturali, connesse con la carenza di risorse o di spazi, la ricerca di una sostenibilità efficiente, la gestione di percorsi di carriera sempre più complessi e personalizzati, all’incidenza sempre maggiore della burocrazia o la necessità di investire. Altre sono invece connesse a fenomeni ancora difficili da decifrare come il calo demografico, le scelte di formazione delle nuove generazioni di studenti o una certa progressiva disaffezione del personale all’istituzione.
Il cambiamento che in questi anni sta interessando le istituzioni universitarie ha come parole chiave la flessibilità nell’offerta formativa, l’internazionalizzazione dei curricula, la sostenibilità. Ma anche il benessere delle persone. Pensiamo ad esempio a quanto sia forte il richiamo ad avere istituzioni più accessibili, più inclusive, dove la multiculturalità e l’apertura a punti di vista diversi si fanno valore radicato, normalità di pensiero».
Come saranno le future università europee? Quali valori, quali direzioni di crescita si rafforzeranno e come si potrà governare lo sviluppo strategico dal punto di vista della gestione amministrativa?
«Nella futura università europea che oggi stiamo costruendo entreranno in gioco capacità diverse. Per questo dobbiamo coltivare la ricchezza delle relazioni interpersonali, anche su scala internazionale. Il mondo che affrontiamo infatti è più complesso di quello di ieri e serve anche un ripensamento delle figure professionali che possono facilitare e sostenere questo cambiamento. Dobbiamo fare crescere le nostre professionalità interne, aprendole a nuove competenze, ad una ancora maggiore disponibilità al confronto e alla flessibilità. Anche per loro è importante allenare questa capacità di andare oltre ai problemi contingenti per stimolare un atteggiamento aperto al futuro, la capacità di mettere le persone al centro delle nostre scelte strategiche, la responsabilità.
In concreto, penso che la rete di relazioni e di opportunità che si è creata grazie a Humane possa diventare un punto di riferimento non soltanto per chi come me opera a livello di vertice o dirigenziale, ma anche per le altre figure professionali che ogni giorno contribuiscono a creare valore per la nostra università. Al momento sono previsti percorsi di formazione e specializzazione tematici (come i “professional pathways patterns”, analoghi a master dedicati alla specializzazione dei funzionari), scuole estive o invernali per formare le nuove leve dirigenziali, eventi o seminari tematici per presentare e condividere best practice o analizzare casi di studio. Ma anche "study visit" in una specifica università per approfondire l’analisi di qualche esperienza interessante, in senso più verticale, cogliendo quindi quella realtà direttamente all’interno del proprio contesto specifico. Un contatto che continua nel tempo grazie ad una vivace comunità di alumni usciti dalle diverse esperienze di formazione che, proprio come accade nelle università dopo la laurea, si mantengono in contatto per creare opportunità di crescita continua».
Che cosa significa per l’Università di Trento essere parte di questa rete?
«Se le persone fanno rete, le istituzioni fanno rete, e viceversa. La reputazione si costruisce passo passo sulla scena internazionale anche attraverso legami professionali, non soltanto attraverso le collaborazioni scientifica. Sono relazioni stabili, durature, estremamente utili nel lavoro quotidiano oppure quando si prospettano sfide particolarmente importanti. Il fatto di essere presenti, attivi in questa associazione come Università di Trento, significa essere coinvolti nei progetti pilota, essere informati dei trend nel mondo della gestione universitaria. Insomma, mantenersi orientati all’innovazione».