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Internazionale

Ucraina, un conflitto che rischia di diventare cronico

L'analisi di Alessandra Russo (Ssi e Dsrs): «Il destino della guerra deciso anche da dinamiche esterne al paese»

11 settembre 2023
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Paola Siano
Ufficio Stampa e Relazioni esterne

Scorre il drammatico calendario della guerra in Ucraina, con oltre 560 giorni di combattimenti. Negli ultimi mesi sono accaduti eventi che stanno influenzando l’andamento degli scontri, sulla cui fine incombono anche variabili esterne a Kiev, su tutte le elezioni in Europa e negli Usa. È il filo logico che segue Alessandra Russo, docente di Scienze politiche alla Scuola di Studi internazionali, nel raccontarci l’evoluzione del conflitto.

«La cosiddetta controffensiva estiva da parte delle forze ucraina sta procedendo molto lentamente», spiega la studiosa che si occupa di Europa Orientale. «Se da una parte si apprende della liberazione di alcune zone in mano alle forze russe e di un lento avvicinamento a territori strategici come quelli intorno a Bakhmut e lungo la direttrice che dovrebbe portare alla penisola della Crimea, dall’altra permane, sul fronte, la difficoltà di spezzare le linee russe. Ci sono poi paesi come Polonia, Estonia e Lituania che vivono con apprensione gli avvenimenti bellici. E che reclamano una maggiore centralità nei processi decisionali in materia di sicurezza e difesa a livello europeo». A proposito di Europa, si va rafforzando l’appoggio militare da parte di alcuni paesi come Olanda, Danimarca e Romania che hanno dato il via libera per l’invio di F-16 alle truppe di Zelensky e hanno offerto di addestrare piloti ucraini. «Elementi – spiega la docente - che sono centrali nel dibattito non solo politologico ma anche giuridico: si riflette infatti su neutralità e co-belligeranza degli stati membri e a livello europeo, proprio in virtù della fornitura di equipaggiamento militare e assistenza alle forze armate ucraine». Un altro evento che ha avuto un impatto sull’andamento della guerra è stata tutta la vicenda del gruppo di mercenari della Wagner: prima l’ammutinamento nel mese di giugno, poi l’incidente aereo con la morte del leader Evgenij Prigozhin. «Questa questione si inserisce in un’ampia dinamica di para-militarizzazione che ha coinvolto tutto l’arco delle operazioni militari in Ucraina. Fin dal 2014 nel paese è coinvolta nelle operazioni militari una eterogenea costellazione di attori armati e unità speciali (recentemente i media hanno raccontato per esempio delle truppe cecene), oltre a quelli che in altri contesti erano chiamati “foreign fighters”, ma che in questa guerra sono chiamati “foreign volunteers”, cioè volontari internazionali, anche europei, che scendono in campo. A fianco dell’Ucraina sono impegnati uomini provenienti da Balcani, Croazia, Bielorussia, Georgia, uniti a combattere quella che è stata recentemente definita una “guerra coloniale” contro la Russia». Seguendo con attenzione la cronaca degli ultimi giorni, si scopre che le truppe della Wagner si sono spostate in Bielorussia. Uno dei leader dell’opposizione bielorussa ha dichiarato che il suo governo ha fornito passaporti ai mercenari con identità nuove che consentirebbero loro di entrare con facilità nello spazio Schengen. Anche se molte delle notizie che passano quotidianamente sulla guerra non sono confermate, ciò che è certo è che i paesi dell’Europa orientale e baltici sono allarmati rispetto a possibili incidenti ai propri confini o ad un afflusso di migranti orchestrato per destabilizzare l’Europa”. Nello scenario complesso di questo conflitto si muovono anche Cina e Turchia, entrambi con un profilo ambivalente, paesi che condividono con Putin aspirazioni di attorialità globale. «Al summit di pace di Gedda dello scorso agosto al quale la Russia non ha partecipato, la Cina ha fornito una sponda alla soluzione negoziale proposta da Kiev. Già a marzo la Cina aveva proposto un possibile piano di pace, e allo stesso tempo in questi mesi non sono mancate esternazioni circa la solidità della partnership tra Mosca e Pechino. Nei confronti della Turchia invece inizialmente c’erano aspettative sul suo ruolo di paese mediatore, anche perché inserito nella Nato ma non nell’Unione Europea. In questi giorni però abbiamo assistito al fallimento della trattativa per il nuovo accordo sul grano con la Russia. E anche l’atteggiamento di Erdogan nella possibile soluzione del conflitto non è ben definito». E l’Italia come si colloca in questo contesto? «Il nostro Paese si muove come in un campo minato – risponde Russo che prosegue - anche con gli avvicendamenti al governo l’appoggio all’ Ucraina è sempre rimasto. Un consenso che ora potrebbe iniziare a scricchiolare, in Italia come in Europa. Da qua alla fine dell’anno dobbiamo aspettarci discussioni e tensioni per l’approvazione del bilancio dell’Unione Europea, frizioni che derivano dalle esitazioni di alcuni paesi membri per il supporto militare e finanziario all’Ucraina». Sullo sfondo di questa guerra, aleggiano le elezioni del prossimo anno che si svolgeranno in Europa e negli Usa. Appuntamenti elettorali che possono determinare il cambiamento di postura nei confronti del conflitto e avere un impatto sul suo andamento: «E’ difficile inserire nelle campagne elettorali, e più in generale nel dibattito pubblico, temi legati ad armi, spese militari e sicurezza, soprattutto a fronte di opinioni pubbliche incerte sul fronte interno a livello sociale, politico ed economico». Sulla durata delle ostilità Russo si dice pessimista: «E’ necessario guardare anche a livello regionale, nel vicinato orientale, ai molteplici processi di cronicizzazione dei conflitti, che diventano poi guerre dimenticate ai confini dell’Europa – basti pensare al caso del Nagorno Karabakh dove dopo venti anni, sono ripresi i combattimenti e dove si parla in questi giorni di crisi umanitaria». Alla Scuola di Studi internazionali il tema della guerra in Ucraina è stato affrontato più volte con eventi pubblici, seminari interni, incontri aperti alla cittadinanza. «Ci sono progetti di ricerca che veicolano l’urgenza di analizzare questi eventi – sottolinea Russo. Ogni docente inoltre è impegnato ad attrarre risorse per stabilire collaborazioni scientifiche che valorizzino le expertise locali e che possano creare conoscenza sul Vicinato orientale e sul conflitto, con uno sguardo interno offerto dai ricercatori di quei paesi».