Il presidente della Francia Emmanuel Macron ©LaPresse ph. Aurel Obreja

Internazionale

Rien ne va plus

Con il politologo Emanuele Massetti nelle pieghe della crisi di Macron e della Francia

13 ottobre 2025
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di Elisabetta Brunelli
Ufficio Stampa e Relazioni esterne

Cosa sta accadendo in Francia? Quali sono le ragioni dell’indebolimento di Macron, considerato l'enfant prodige della politica? Emanuele Massetti, professore associato di Scienza politica alla Scuola di Studi internazionali e al Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale, Cattedra Jean Monnet (2025-2028), entra nelle pieghe della crisi francese.

Professor Massetti, come si è arrivati all'attuale crisi politica?

«La crisi politica arriva da lontano. L’assetto istituzionale semipresidenziale era pensato per una competizione bipolare, tra una sinistra (social-comunista) e una destra (gaullista-repubblicana) con una certa omogeneità interna. Quindi, le scelte che si offrivano agli elettori erano molto chiare e il presidente eletto era espressione di una vasta area politica. Questo sistema partitico ha cominciato a trasformarsi all’inizio del nuovo millennio, con la crescita progressiva della destra radicale e del centro a scapito delle ali moderate. Dal 2017, si è creato un sistema a competizione tripolare, formato dall’area macroniana, un’area egemonizzata dalla sinistra radicale (con varie correnti interne) e quella della destra radicale. In questo sistema, la legittimità del presidente diminuisce perché egli è espressione di un’area politica più circoscritta e, allo stesso tempo, distante dalle altre due minoranze.

In realtà, quella politico-istituzionale, che trova evidenza in una serie di governi brevi, si inserisce in una crisi più ampia, che ha cause profonde di natura economica ed etnodemografica».

Qual è il nodo economico?

«Gran parte dell’instabilità politica è dovuta alle politiche che vengono proposte. Nell’eurozona, la Francia è il paese che meno ha perseguito la strategia dell’austerità, vale a dire gli abbassamenti salariali e la riduzione della domanda interna. Di conseguenza, oggi ha un grossissimo problema di competitività. Importa molto di più di quanto esporta e quindi accumula debito estero, che ormai si aggira intorno al 260% del Pil (mentre in Germania è al 150% e in Italia al 120%). Questo crea nervosismo nei mercati, che iniziano a temere potenziali crisi bancarie e, a cascata, una crisi di debito sovrano. La Francia si trova quindi di fronte a un bivio. Sarkozy si era rifiutato di imboccare la strada dell’austerità. Hollande ha pagato un prezzo altissimo e non ha ottenuto nulla. Il primo Macron non è stato abbastanza determinato e il secondo Macron è riuscito a far passare una riforma delle pensioni blanda, e solo ricorrendo a una procedura legislativa poco ortodossa. Ma dal vincolo del debito estero non si scappa. Chiunque sia il nuovo primo ministro, o chiunque vinca le prossime presidenziali, non potrà che perseguire l’austerità – a meno che i politici francesi non vogliano riaprire la questione della moneta unica».

E riguardo alle cause di natura etnodemografica?

«Decenni di immigrazione hanno posto grosse sfide alle capacità di integrazione del modello francese, soprattutto per quanto riguarda la popolazione immigrata di religione islamica, anche di terza o quarta generazione. Inoltre, la componente etnico-religiosa tende a fondersi con una stratificazione sociale e con una collocazione abitativa che vede queste comunità concentrarsi nelle classi basse della società e nelle periferie più degradate delle grandi aree metropolitane. In queste condizioni, eventuali riforme volte a una riduzione delle spese per il welfare – come assegni di disoccupazione o di sostegno alle famiglie numerose –rischiano di scatenare reazioni molto forti».

Le elezioni anticipate per una nuova Assemblea restano uno scenario possibile?

«Tutti gli scenari restano aperti. Credo che Macron proverà a giocare tutte le carte per arrivare a fine mandato. Tuttavia, se si dovesse andare avanti con altri governi di durata brevissima, la situazione potrebbe diventare per lui insostenibile. Inoltre, se dovesse dimettersi e indire nuove elezioni presidenziali a breve, toglierebbe a Marine Le Pen (in questo momento interdetta) la possibilità di candidarsi. In ogni caso, chi verrà dopo di lui avrà gli stessi problemi strutturali di debolezza politica, economica e sociale.».

La crisi francese, quali implicazioni politiche ed economiche ha per gli altri paesi europei, in particolare per l'Italia?

«In Italia bisogna distinguere tra governo e opposizione. La prospettiva più credibile è quella di una vittoria della destra radicale. Quindi dal punto di vista del governo italiano verrebbe vista come una cosa positiva. Discorso contrario per l’opposizione.

Dal punto di vista economico, se la Francia non trova una soluzione alla crisi, rischiano di saltare le banche francesi e quindi sarebbe una crisi generalizzata che coinvolgerebbe le principali banche dell’Italia e degli altri paesi perché quello delle banche è un sistema molto interconnesso».

Macron aspirava alla leadership europea in ambito internazionale. La crisi interna quanto cambia il suo ruolo in politica estera?

«Finché Macron resta presidente, la Francia rimarrà in una traiettoria europeista, di forte supporto all’Ucraina, anche con una certa spavalderia nello sfidare la Russia. L’asse creato con l’appoggio del Regno Unito, Polonia e Baltici dimostra la volontà di Macron di giocare un ruolo di leadership europea, anche per compensare la sua debolezza interna. Tuttavia l’asse dei volenterosi è meno unito di quanto possa sembrare. Soprattutto, per i paesi vicini alla Russia (come Polonia e Baltici), gli Stati Uniti (non la Francia o il Regno Unito) restano l’interlocutore principale».

Come legge, proprio in queste settimane, la condanna di Sarkozy per il presunto finanziamento libico della campagna per le presidenziali del 2007?

«Sarkozy da quando ha dimostrato di voler tornare in politica, ha raccolto varie condanne. Non è chiaro se abbia cercato di tornare in politica proprio per schermarsi dalle iniziative giudiziarie già in corso. Al di là di tutto, però, vedere un ex presidente che va in carcere sembra un’ulteriore dimostrazione che la Francia attraversa una crisi di sistema».